GoatSimone Biles ha cambiato per sempre la ginnastica artistica, e il mondo dello sport

Gli ori olimpici vinti a Parigi confermano una volta di più la sua grandezza e il suo talento unico. Ma la miglior ginnasta di tutti i tempi è un esempio per tutti gli atleti ben al di là dei suoi successi

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Se Michael Phelps è il migliore di tutti in acqua, e Usain Bolt è migliore di tutti in pista, non c’è dubbio che la migliore di tutti in aria sia Simone Biles. Alla Bercy Arena, la ginnasta statunitense si è regalata un’esibizione storica, un’altra, l’ennesima della sua carriera. Ha conquistato l’oro olimpico nell’all-around individuale. Lo ha fatto modo suo, con gli elementi che portano il suo nome e quella perfezione tecnica che la posiziona una, due, tre categorie sopra le altre concorrenti. Semplicemente inimitabile.

Simone Biles è già la ginnasta più medagliata di sempre, con nove medaglie olimpiche, di cui sei ori, a cui aggiunge trenta medaglie mondiali, con ventitré ori. L’unica a vincere nell’all-around in due edizioni non consecutive dei Giochi. Il successo individuale a Parigi arriva tre giorni dopo quello a squadre, in cui ha guidato Sunisa Lee, Jade Carey, Jordan Chiles e Hezly Rivera sul primo posto del podio.

Si era visto fin dall’inizio, fin dai primi allenamenti alla Bercy Arena, che il suo talento era destinato a brillare ancora sul palcoscenico olimpico. Ma i risultati sportivi sono solo una parte del racconto di Biles, la cui eredità sportiva in termini tecnici, atletici e di risultati è ineguagliabile per chiunque. Lei lo sa bene, d’altronde è la stessa che nell’agosto del 2019 indossato un body sul cui retro c’era scritto il suo nome a caratteri glitterati seguito dal ricamo di una capretta: l’acronimo “G.O.A.T.”, capra in inglese, nello sport sta per “greatest of all time”. La più forte di sempre.

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Nella ginnastica artistica spesso gli elementi più difficili vengono portati a termine rinunciando a rifinire tutti i dettagli della forma e della tecnica: piegando le gambe qui, atterrando male lì, e varie altre imperfezioni che condizionano il giudizio finale. Per Biles, e solo per Biles, questa consuetudine non è valida. Per lei le regole della fisica e della biomeccanica prendono altre rotte. I suoi punteggi sono altissimi perché realizza anche i movimenti più difficili con precisione ultraterrena. «La cosa che rende speciale la ginnastica di Simone, è proprio la sua capacità di controllo. Il modo in cui può pensare una variazione, aggiungere un’intera rotazione, e farlo», ha scritto Ludovica Merletti.

A volte i suoi elementi – ne ha cinque che portano il suo nome – hanno coefficienti di difficoltà così alti da diventare un pericolo per le altre ginnaste. Ai Mondiali di Stoccarda del 2019 le avevano assegnato un punteggio basso per il suo “Biles II” nel corpo libero (un doppio salto raccolto indietro con tre avvitamenti). La Federazione Internazionale di Ginnastica si era giustificata così: «È stato assegnato un valore “ragionevole” allo Tsukahara avvitato di Simone Biles: ci sono dei rischi concreti, tra cui un potenziale atterraggio sul collo». Assegnarle un punteggio «ragionevole» era anche un tentativo di scoraggiare le altre ginnaste a cimentarsi in salti così pericolosi. La storia si è poi ripetuta nel 2021, poco prima dei Giochi di Tokyo. Biles era stata penalizzata dai giudici, ma sapeva di non dover rinunciare alla sua eccezionalità: «Continuerò a farlo, perché io posso».

Il suo talento unico è evidente a tutti da oltre un decennio, cioè da quei Mondiali di ginnastica artistica in Belgio nel 2013, che aveva chiuso diventando la prima donna nera e la settima americana a vincere l’oro mondiale nel concorso generale. Sono passati undici anni da quel momento. Nella ginnastica artistica sono una vita. La carriera di una ginnasta è piuttosto corta, molte atlete raggiungono il prime, l’apice sportivo, tra i quindici e i sedici anni. È vero, negli ultimi tempi qualcosa sta cambiando, l’età media delle ginnaste sul podio si sta alzando: alle scorse Olimpiadi, quelle di Tokyo, l’età media delle medagliate è stata di venti anni e sei mesi, il dato più alto degli ultimi cinquant’anni. Ma per Simone Biles, ormai ventisettenne e con gli acciacchi di un’atleta di primissimo livello alle spalle – «provo una strana sensazione quando non sento dolore», aveva detto nel 2018 – certi movimenti, certe torsioni e avvitamenti dovrebbero esserle preclusi. Solo che lei non vuole saperne.

Eppure il grande lascito di Biles alla ginnastica artistica va molto oltre i risultati sportivi, le medaglie, le vittorie. Biles ha cambiato la ginnastica, ne ha ridefinito i parametri tecnici e fisici, le ha dato una visibilità maggiore. E ha contribuito a cambiare anche lo sport, in senso più ampio, offrendoci una prospettiva diversa per guardare gli atleti in campo e fuori, aprendo una finestra sulla nostra capacità di comprendere cosa c’è dietro una medaglia d’oro, dietro un grande campione.

Il giorno prima della cerimonia d’apertura delle Olimpiadi, la ginnasta tedesca Sarah Voss ha postato su Instagram un piccolo aneddoto: Biles aveva aiutato lei e una sua compagna di Nazionale ad accaparrarsi i posti a sedere su un autobus molto affollato diretto alla Bercy Arena, in modo da tenere il corpo a riposo. Poi Voss ha postato anche la foto di una spilla personalizzata a forma di cuore, con la firma di Biles.

La carriera della ginnasta americana è disseminata di piccoli racconti di questo tipo, di momenti in cui ha mostrato empatia verso compagne di squadra, avversarie, staff. Perché da quando ha compreso il peso della sua immagine pubblica, Biles sa di essere un modello e una fonte di ispirazione, e sa come comportarsi per valorizzare al massimo tutto questo. Lo sa perché lei per prima è passata attraverso sacrifici e rinunce come tutte le ginnaste d’élite, ha saputo mettersi alle spalle un contesto familiare problematico – dopo aver trascorso i primi anni di vita in un orfanotrofio a causa dell’incapacità della madre, tossicodipendente, di prendersi cura di lei e dei suoi fratelli, a sei anni è stata adottata insieme dai nonni materni –, e ha ignorando il razzismo che può attirare una delle poche ragazze con la pelle nera in uno sport a maggioranza bianco o asiatico.

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Le medaglie d’oro in questi Giochi parigini fanno da contraltare ai problemi avuti da Simone Biles alle Olimpiadi di Tokyo 2021. Nel gergo della ginnastica si chiamano twisties, una disconnessione tra il cervello e il corpo. Quando accadono mentre la ginnasta è in aria può capitare che perda la percezione di sé nello spazio, rischiando pericolosamente all’atterraggio. È tutto raccontato anche nel nuovo documentario Netflix “Simone Biles: Rising”. Nella competizione a squadre aveva sbagliato sorprendentemente il primo volteggio, la si vedeva con gli occhi fissi a guardare il vuoto, la testa annebbiata, il corpo fragile come un cristallo di Boemia: «Mentre ero in aria non mi rendevo conto di dove ero, avrei potuto farmi male».

In quel momento, insistere avrebbe significato mettere a rischio la salute. «Sono le Olimpiadi. Ma alla fine della giornata, è come se volessimo andarcene da qui, non essere trascinati via da qui su una barella. Quindi devo fare ciò che è meglio per me», aveva detto in conferenza stampa. Aveva deciso di condividere quei momenti delicati con il mondo, nella speranza che ciò che le era successo non dovesse accadere ad altri. A dimostrazione che è possibile essere d’ispirazione senza rimetterci una caviglia o due, o l’osso del collo.

La sua rinuncia è diventata simbolo di un nuovo approccio, di una maggiore sensibilità in questi ultimi anni verso il benessere degli atleti. Lo ha fatto a sue spese, squarciando il velo di Maya che nasconde i difetti e i limiti dei grandi atleti: le stelle dello sport sono i nostri supereroi, incapaci di mostrare il minimo segno di fragilità umana, se i comuni mortali si arrendono e cedono alle difficoltà, ai campioni non è concesso. Biles ci ha ricordato che non è così.

Dopo i twisties di Tokyo, Biles ha deciso di prendersi una pausa. Due anni di stop. Lei stessa in “Rising” spiega che probabilmente si trattava di difficoltà connesse a anni di stress e traumi irrisolti, fisici e non. Tra questi rientra certamente quello che ha dovuto subire nei centri della Usa Gymnastics per mano di Larry Nassar, osteopata della Nazionale statunitense di ginnastica artistica dal 1996 fino al 2017, quando è stato accusato e in seguito condannato a un totale di 176 anni di reclusione, per aver abusato sessualmente di almeno 256 atlete durante le sue sedute. Uno scandalo che poi si è allargato ben oltre le colpe di Nassar. Biles ha contribuito, con la sua testimonianza, a rivelare che non si trattava della solita mela marcia, ma di un modus operandi della Usa Gymnastics, che per anni ha oscurato un sistema di intimidazioni e abusi. Recentemente abbiamo conosciuto casi simili anche in Italia, con le dovute proporzioni.

Dopo quell’episodio Biles ci ha messo un po’ per rimettere insieme tutti i pezzi della sua vita. Nel 2023 si è sposata e ha deciso di tornare a gareggiare. È tornata ad allenarsi in palestra due volte al giorno e lo scorso ottobre, ai Mondiali di Anversa, si è presentata in gara come se non si fosse mai fermata. Nessun accenno di ruggine, nemmeno un po’ di polvere sul body. Ha aggiunto tre ori individuali alla sua collezione (all-around, trave, corpo libero), l’argento nel volteggio e ha restituito a tutti gli spettatori quel senso di appagamento e stupore che danno certi fenomeni naturali troppo belli per sembrare veri.

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