Dimensione artisticaNon contano più le parole, ma chi le dice (vale per Obama, Fedez, Vespa e Gasparri)

Alla convention di Chicago, il marito di Michelle fa capire che il problema di Trump è avercelo piccolo. Immaginate che cosa sarebbe successo se lo stesso gesto (virile e virale) l’avesse fatto un qualche impresentabile

LaPresse

Che cos’hanno in comune il marito di Michelle Obama e l’ex marito della Ferragni, e Bruno Vespa e Maurizio Gasparri, e molti altri ogni giorno alle cui parole reagiamo non a seconda delle parole ma a seconda di chi le dica? Questo, appunto: che reagiamo alle parole come ai gol allo stadio. Non per l’azione sportiva, ma per l’appartenenza alla tifoseria.

È andata così, sperare di cambiare uno stato di cose ormai irreversibile sarebbe folle, prendiamone atto e facciamo pace col mondo in cui viviamo. Un mondo fatto a forma di curva di stadio, in cui esultiamo o ci dispiacciamo a seconda del settore in cui siamo seduti. Un mondo in cui non contano niente le parole, e nientissimo i fatti: conta solo l’emittente.

L’ultimo è stato Barack Obama, primo presidente degli Stati Uniti nell’epoca di Instagram, fotogenico-in-chief il cui ritardo nell’appoggiare Kamala Harris (dopo Biden, ma anche molto dopo i Clinton) mi piace pensare sia dovuto al timore ch’ella possa risultare fotogenica quanto lui e inficiarne il primato.

Quindi Barack Obama martedì sera appare al congresso del partito democratico, congresso il cui scopo è deliberare che Kamala Harris sarà la candidata alla presidenza, e a un certo punto fa riferimento a Donald Trump. Il quale aveva fatto ciò che si fa nelle campagne elettorali, raccontare delle cazzate, dicendo che la folla al comizio della Harris era inferiore alla folla ai comizi suoi.

Poi, siccome nessuno lo batte in mitomania (nessuno in America: in Italia siamo in un campionato di mitomania che gli americani se lo sognano), aveva anche detto che la folla al più famoso comizio di Martin Luther King era minore della sua. Poiché quelli che fanno i meme non hanno memoria storica, non ho visto apparire il meme che sarebbe stato più logico a quel punto, cioè il Donald che dice «I’ve been to the mountaintop».

In compenso qualche giorno dopo è apparso Barry che, alla folla di Chicago, ha detto che Trump è infantile, nel suo storpiare i nomi (non è gentile che Obama dia dell’infantile a Marco Travaglio, io ve lo dico), nei suoi folli complottismi, e in questa bislacca ossessione per le misure della folla. «Bislacca» è il modo in cui per oggi ho deciso di rendere «weird», parola fondamentale di questa campagna elettorale americana per cui non ho ancora trovato una traduzione che mi convinca, che esemplifichi la sfumatura per cui i repubblicani si offendono ogni volta che i democratici li definiscono «weird», la zia matta che dice che è tutto un complotto e che quando parla alla cena di Natale tutti s’imbarazzano.

Ma non è «weird» il punto, per una volta. Il punto è il gesto che fa Obama. Che fa dopo averlo pianificato, ovviamente, perché non ti fai due mandati di presidenza instagrammabile senza sapere perfettamente che quel gesto lì diventerà il video più condiviso della serata e oscurerà qualunque istanza politica (parlando della politica da viva). Sei Barack Obama: lo sai, che quel momento diventerà quel che gli analfabeti contemporanei chiamano «virale».

Obama dice «ossessione per le misure» e fa quel gesto con le mani, quel gesto che potrebbe fare un Angelo Duro qui o un Sebastian Maniscalco lì, un comico di quelli che non piacciono alla gente che piace, un comico di quelli che hanno un ampio pubblico, ma un pubblico colpevole del ridere di battute di grana grossa e allusioni per niente sofisticate. Insomma: Barack Obama dice senza dirlo, ma incontrovertibilmente, che il problema di Trump è avercelo piccolo.

E lo fa un secondo dopo aver detto che è infantile storpiare i nomi, chiamare Kamala «Kambala». Lo fa alzandoci la palla, rendendoci facilissimo schiacciare l’obiezione: who’s childish, now? Se era infantile storpiare i nomi, alludere a misure di cazzi cos’è? Ma noi non lo diremo, e lui lo sa. Perché non capirà niente di politica, ma capisce tutto di come funziona la comunicazione in questo secolo.

Sa che, se l’ex marito della Ferragni dice «stanotte abbiamo fatto la storia della Costa Smeralda» dopo aver organizzato una qualunque dei milioni di feste che si organizzano in Sardegna, la gente che piace si indignerà non perché gliene freghi qualcosa della storia, dell’Aga Khan, del primato di cazzoneria della bandana di Berlusconi, del lascito di Marta Marzotto.

La gente che piace s’indignerà perché l’ex marito della Ferragni è culturalmente impresentabile, e quindi non ha diritto d’iperbole. Quel diritto d’iperbole che esercitiamo ogni giorno. L’articolo o il libro scritti dall’amico nostro sono «capolavoro», «imperdibile», «definitivo», gli amici nostri sono «genio», ma guai a quell’orrido arricchito se dice che ha fatto la storia, in questi giorni impazziti (cit.).

E, quando Bruno Vespa dice che Paola Egonu rappresenta un esempio di integrazione riuscita, eccoci pronti a strillare che la Egonu è nata in Italia: ignorante, fascista, utilizzatore di parole sbagliate che non sei altro.

Come se la Egonu non fosse nera in un paese in cui la borghesia nera è pressoché inesistente, in un paese in cui i neri sono o campioni sportivi o fattorini di Glovo, in cui la classe media è compattamente bianca e con quali diavolo di parole devi dirlo che è stata una bambina nera in una classe di bianchi, di grazia? Lo dici con «integrazione»; se l’avesse usata Massimo Giannini, ci sarebbe stato chiaro che era la parola giusta, ma è andata così: che l’emittente conta più del messaggio.

Il che fa esplodere cervelli quando l’emittente sbagliato se la prende con un altro emittente sbagliato: come ci posizioniamo, per far capire subito che siamo dei buoni, quando Maurizio Gasparri, che alcuni giri di posizionamento addietro era il Male Assoluto, non solo dice tutte le cose giuste ma le dice per obiettare a quel che ha detto Roberto Vannacci, ovvero un’incarnazione più recente di Male Assoluto?

Ma, soprattutto, come avremmo reagito se il comizio irridendo l’avversario a colpi di gesti sulle misure vitali l’avesse fatto Trump, l’avesse fatto Berlusconi, l’avesse fatto Vannacci, l’avesse fatto Bannon, l’avesse fatto Lollobrigida, l’avesse fatto uno qualunque degli emittenti sbagliati con, oltretutto, l’aggravante di non essere fotogenici?

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