Colpire un bersaglio distante, fermo o in movimento, dona un fascino particolare in queste Olimpiadi di Parigi. O almeno portano la fama memetica dei social. Forse perché sono discipline singolari, di quelle che seguiamo solo una volta ogni quattro anni, quando arrivano i Giochi. E sembrano sempre così diverse da tutte le altre. Non c’è bisogno di forza bruta, esplosività o una particolare destrezza. Sono sport di attenzione, concentrazione e ovviamente mano ferma. Per questo spesso partecipano anche atleti un po’ in là con l’età. Mentre sono più sorprendenti i giovani, che sembrano sempre troppo rigidi rispetto all’età che hanno. Questi sport sono soprattutto ripetizione e dedizione, gli allenamenti sono un’ode alla monotonia. Per i ragazzi in età scolastica non è così scontato eccellere in una disciplina di questo tipo.
Eppure non sono mancate medaglie ai teenager. Il francese Baptiste Addis ha solo diciassette anni ma è un arciere già di altissimo livello in Europa, ha contribuito all’argento del Paese ospitante nella competizione a squadre. Nella Corea del Sud, dominatrice assoluta della specialità, c’è una doppia medaglia teen nel tiro con l’arco. È di Nam Su-hyeon, diciannovenne argento nell’individuale femminile, battuta solo dalla connazionale Lim Si-hyeon, con cui ha vinto l’oro nella gara a squadre. I sudcoreani non sono solo ottimi arcieri: nella carabina ad aria compressa Ban Hyojin, appena sedici anni, ha portato a casa l’oro.
Forse è giusto che sia Parigi il luogo degli exploit precoci e inaspettati. I giovani under-19 si contano nell’ordine delle centinaia (trentadue solo nella delegazione statunitense), spesso competono per le medaglie e non sono lì solo per onore di firma, come la ginnasta italiana Manila Esposito, la seconda più giovane della delegazione italiana (classe 2006), argento nel concorso a squadre di ginnastica artistica e bronzo alla trave. Peraltro in un’edizione in cui il pool da cui provenivano la maggior parte degli atleti giovani, cioè proprio la ginnastica artistica femminile, sta vedendo crescere la sua età media (la medaglia d’oro alla trave Alice D’amato ha ventuno anni; Simone Biles ventisette).
Ci sono teenager praticamente in ogni specialità e in alcuni casi-limite sono addirittura la maggioranza. Come in alcune gare dello skateboard, che a differenza di quel che si pensa non è appannaggio dei giovanissimi: si sono qualificati anche skater over-30 e over-40 e poi c’è il britannico Andrew Macdonald che di anni ne ha cinquantuno.
Però nella competizione street femminile c’erano ventidue skater in tutto, e più della metà erano adolescenti tra i dodici e i diciassette anni. Alla fine ha vinto la quattordicenne giapponese Coco Yoshizawa, in cima a un podio interamente teen completato dalla connazionale Liz Akama e dalla brasiliana Rayssa Leal. Hanno saputo strappare applausi a tutta Place de la Concorde, al punto che gli spettatori a centinaia di metri di distanza, nella vicina arena Bmx, si sono affacciati più volte per sbirciare cosa stava succedendo nell’arena.
Nella specialità park, invece, l’attenzione sarà tutta sulla cinese Zheng Haohao, undici anni, la più giovane in assoluto tra i 10,714 atleti in gara alle Olimpiadi di Parigi 2024, superata in precocità nella storia dei Giochi solo dal ginnasta greco Dimitrios Loundras che a dieci anni partecipò alla prima edizione dei Giochi moderni ad Atene.
L’elenco di talenti giovanissimi arrivati a Parigi con ambizioni di medaglia è lunghissimo, comprende la fenomenale nuotatrice canadese Summer McIntosh, che tra poco compirà diciott’anni ma può già andare via da Parigi con quattro medaglie di cui tre ori, la tuffatrice cinese Quan Hongchan anche lei diciassettenne, la skater britannica sedicenne Sky Brown e l’italiano Mattia Furlani nel salto in lungo.
La presenza di questi ragazzi al Villaggio Olimpico e tra i palazzetti e gli stadi richiede una particolare attenzione anche nella quotidianità, non solo in gara. Il Comitato Olimpico Internazionale incoraggia ogni Paese ad avere una persona addetta alla sicurezza degli atleti.
Ogni team nazionale sceglie in autonomia come muoversi. Il direttore delle comunicazioni della delegazione del Regno Unito, Scott Field, ha spiegato al Guardian che il comitato di Londra ha organizzato un piano ad hoc per gli under-16 in particolare: «Abbiamo un piano di welfare che stabilisce come gli sport dovrebbero gestire dove e con chi gli atleti alloggiano, nel Villaggio Olimpico o in altre sistemazioni, ha detto. «Gli under 16 hanno un accompagnatore con loro, che deve anche accompagnarli quando sono fuori dal Villaggio Olimpico/dalla loro sistemazione satellite. Abbiamo una guida completa al welfare che supporta i giovani durante la loro permanenza alle Olimpiadi. Abbiamo anche un gruppo dedicato di ufficiali di tutela designati che sono a disposizione per fornire supporto al welfare durante i Giochi».
L’Australia ha deciso che le sue atlete più giovani, tre skater di quattordici e quindici anni, devono alloggiare in hotel, fuori dal Villaggio Olimpico. E gli under-18 che si trovano nel Villaggio non condividono la camera da letto con un maggiorenne ma con un accompagnatore. La responsabile delle risorse umane e della cultura del comitato australiano, Amie Wallis, è la responsabile della tutela degli atleti, affiancata da altri quattro responsabili.
La competizione sportiva, soprattutto quella di massimo livello mondiale, non ha bisogno solo di una struttura regolamentare per tutelare i suoi protagonisti più giovani. A volte può essere un problema di natura psicologica difficile da gestire. Una nuotatrice quindicenne alle Olimpiadi di Sydney, Leisel Jones aveva quindici anni quando si era alle Olimpiadi di Sidney del 2000 e ha detto di essere stata sopraffatta dal Villaggio Olimpico e di essere stata «spaventata per tutto il tempo» durante quei giorni.
L’adolescenza è un periodo volatile, fisicamente, fisiologicamente, cognitivamente e sul piano psico-sociale. Aggiungere le esigenze di sport ultracompetitivi può essere un problema enorme. «Non puoi prevedere cosa accadrà e in ogni bambino ciò non avviene nello stesso modo, nello stesso momento, allo stesso ritmo e nella stessa intensità», ha detto Michael Bergeron, medico sportivo che ha svolto ricerche approfondite sui giovani atleti e lavora con il Cio sullo sviluppo atletico dei giovani.
È per questo che c’è anche chi esprime perplessità sulla presenza dei giovanissimi ai Giochi. Lo ha fatto ad esempio Linda Flanagan, già autrice di “Take Back the Game: How Money and Mania Are Ruining Kids’ Sports — and Why It Matters”, sul New York Times: «Questi bambini si sono indiscutibilmente guadagnati il loro posto alle Olimpiadi, ma guardare preadolescenti e adolescenti competere su un palcoscenico globale distorce le nostre aspettative sullo sport giovanile e distorce il nostro pensiero sul posto dello sport nella vita di tutti i bambini».
Michael Phelps, il più grande nuotatore della storia, aveva quindici anni a Sydney 2000, proprio come la collega Leisel Jones. Più volte ha raccontato di quanto abbia sofferto la pressione da giovane, la fatica fisica e mentale di allenamenti quotidiani da cinque o sei ore.
Anche la pattinatrice artistica olimpica Gracie Gold, citata da Linda Flanagan nel suo articolo, nelle sue memorie ha raccontato l’incredulità che ha provato a dieci anni nel vedere genitori impazienti consegnare i loro figli a un allenatore che trattava come professionisti bambini anche più piccoli di lei. E sappiamo dai racconti delle protagoniste, da inchieste giornalistiche e altri documentari quanto nel mondo giovanissimo della ginnastica artistica l’approccio cinico e sfrontato richiesto dalle competizioni possa danneggiare le ginnaste. Non sempre l’eccezionalità dei talenti precoci dello sport è una buona notizia. O almeno il minimo che si possa fare è costruire intorno a loro un ambiente sicuro e di supporto che li accompagni in una fase delicata della vita.