Nasce sulla Ande, legata ai culti ancestrali delle popolazioni autoctone. Ma oggi è un superalimento riconosciuto come tale dall’università di Harvard e di cui nel 2013 si è celebrato l’anno internazionale. La quinoa, che tecnicamente è uno pseudocereale perché, pur non essendo un cereale, in cucina si usa come se lo fosse, è sempre più di moda tra i cultori del mangiar sano e fra vegetariani e vegani, anche in Europa e soprattutto in Italia. I suoi punti forti sono che contiene un bel po’ di proteine – una tazza di quinoa (circa 237 millilitri) fornisce otto grammi di proteine di alta qualità e cinque grammi di fibre – ed è del tutto priva di glutine. Un successo planetario che all’inizio del boom internazionale aveva messo in difficoltà le popolazioni più povere che tradizionalmente se ne cibavano, per via dell’aumento del prezzo del trentacinque per cento.
Le mille vite dei semi della pianta, un arbusto annuale che ricorda un po’ il miglio, ma appartiene alla stessa famiglia degli spinaci, hanno origine in un culto divino. Da oltre cinquemila anni, infatti, viene coltivata sugli altopiani andini, ad altitudini comprese tra i 3.800 e i 4.200 metri. Fin dai tempi degli Inca, che la consideravano una pianta sacra e la chiamavano «madre di tutti i semi», viene impiegata nelle cerimonie religiose ed è offerta come simbolo di prosperità.
Con l’arrivo dei conquistadores spagnoli, la sua coltivazione, tuttavia, fu ostracizzata. La Chiesa, infatti, incoraggiò e diffuse al suo posto la coltivazione del grano, necessario alla produzione del pane; un alimento quotidiano, ma anche centrale nel rito eucaristico. Con il tempo, tuttavia, vinsero il miglior adattamento della quinoa all’ambiente andino e la tradizione, e la coltivazione ricominciò come prima.
Ancora oggi, Perù e Bolivia sono i maggiori produttori delle oltre 160 mila tonnellate di quinoa che si coltivano nel mondo, ma tra le sue 220 varietà, con semi gialli, marroni e neri, selezionate per prosperare in climi ben diversi dall’habitat naturale, se ne trovano di adatte anche al clima italiano. Come la Quipu, la prima totalmente nazionale, messa a punto dall’università di Firenze.
La naturale resilienza ai climi aridi, alla mancanza di acqua e alla salinità del terreno, e anche al calore, sopporta temperature fino ai trentotto gradi, rendono la quinoa ideale per affrontare i cambiamenti climatici e le sue caratteristiche nutrizionali ne fanno un cibo sano, nutriente, con un alto potere saziante, e benefico. Ha un’azione antiossidante che contrasta l’invecchiamento cellulare agendo contro i radicali liberi, svolge un’azione antinfiammatoria sull’organismo, le sue proteine contengono tutti e nove gli aminoacidi essenziali, è ricca di minerali, tra cui ferro, magnesio, zinco e potassio. Inoltre, ha un basso indice glicemico, ed è quindi una fonte di carboidrati adatta anche a chi soffre di diabete o segue una dieta a basso tenore di carboidrati.
La quinoa è anche particolarmente ricca di fibre, necessarie per il funzionamento dell’intestino, e di molecole antiossidanti come vitamina E, selenio, manganese e di ferro e rame, importanti per la produzione dei globuli rossi.
Ci sono anche studi che l’accreditano come un cibo capace di favorire la longevità. Siano verità o suggestioni nate dall’atmosfera magica e fuori dal tempo degli altopiani andini, vale la pena dare alla quinoa un posto a tavola, non fosse altro perché è piacevole e versatile.
L’unica ma importante avvertenza, per evitare qualsiasi effetto collaterale, è lasciare i semi in ammollo per dieci/quindici minuti e risciacquarli sempre e con cura sotto l’acqua corrente prima di cucinarli, a causa del loro contenuto di saponina, un glicoside di origine vegetale che può causare problemi gastrointestinali.
In insalata, come alternativa esotica al riso, ingrediente di una zuppa, come secondo e persino come dolce: gli utilizzi in cucina della quinoa sono tanti e ricalcano in parte quelli dei legumi e dei cereali, con il vantaggio di avere un prodotto interamente vegetale. Non a caso il quotidiano inglese Guardian l’ha ribattezzata, con qualche imprecisione scientifica, ma con effetto di grande suggestione, il «beluga dei cereali».