Divieti d’accessoLeggi spia e pushback legalizzati: così Svezia e Finlandia ostacolano l’immigrazione

Mentre Stoccolma studia una legge che impone ai dipendenti pubblici di denunciare chi è senza documenti, Helsinki ha approvato una norma che autorizza i respingimenti alla frontiera russa

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Chi ha detto che la crisi migratoria è soltanto una questione meridionale? Nulla di più sbagliato in Europa, dove l’estremo Nord riveste un ruolo determinante negli equilibri migratori. E poco importa se a prima vista potranno risultare perfino marginali: vietato cadere in sottovalutazioni quando in discussione c’è la vita delle persone. Svezia e Finlandia, che insieme occupano i due terzi della penisola scandinava, si sono distinte recentemente per una serie di provvedimenti che, a ben guardare, rappresentano una vera e propria stretta all’immigrazione, fra norme che incentivano atteggiamenti delatori e legalizzazioni dei pushback alle frontiere.

Stoccolma è in fibrillazione per la cosiddetta snitch law, la legge spia prevista dall’accordo di cooperazione fra i partiti di governo e l’estrema destra che, una volta approvata, finirebbe per imporre ai dipendenti pubblici l’obbligo di denunciare le persone prive di documenti. Finora nient’altro che un’idea alla cui attuazione, però, sta lavorando una commissione nominata appositamente dal governo centrale, con i risultati attesi per inizio dicembre. Intanto in Svezia si comincia già a fare i conti con gli scenari che potrebbero spalancarsi con tale normativa: quasi un milione di lavoratori, dai medici agli insegnanti, si vedrebbero costretti a denunciare alle autorità ogni eventuale contatto con persone sprovviste di documenti di riconoscimento.

Misure che, secondo gli esperti dei diritti umani e del lavoro, rievocherebbero addirittura le limitazioni liberticide imposte nell’Unione Sovietica e nella Germania nazista. Intervistata dal Guardian, la direttrice della Platform for International Cooperation on Undocumented Migrants, Michele LeVoy, ha definito la proposta di legge «totalmente disumana» e ha sottolineato gli effetti negativi per la vita della gente («le persone saranno terrorizzate»), col rischio di un incremento di discriminazione e paura sociale.

«Sono diventata dottoressa per aiutare le persone, non per monitorarle e denunciarle», ha dichiarato Sofia Rydgren Stale, presidente della Swedish Medical Association. La protesta dei medici ha indotto la ministra delle Migrazioni, Maria Malmer Stenegard, a fare chiarezza circa l’esenzione dagli obblighi previsti dalla proposta di legge per rispettare l’etica professionale di alcune categorie, fra cui per l’appunto quelle legate alle attività sanitarie ma anche alla formazione e all’educazione. A maggio il Consiglio deontologico degli insegnanti ha dichiarato che, se la proposta dovesse venire attuata, i problemi di natura etica raggiungerebbero una tale gravità che «la disobbedienza civile sarebbe l’unica ragionevole via d’uscita».

Nel giro di appena dieci anni la Svezia ha invertito totalmente la tendenza relativa ai flussi migratori. Accantonata la politica open heart rivolta ai rifugiati, gli ultimi dati dell’Unhcr mostrano per la prima volta da mezzo secolo a questa parte un calo delle domande di asilo e di permessi di soggiorno rilasciati, a dispetto di una storia che vede il Paese meta tradizionalmente ambita da emigranti provenienti da ogni dove, in Europa e nel resto del mondo. Risultati soddisfacenti secondo la ministra Stenegard, mentre le organizzazioni che forniscono assistenza a migranti e richiedenti asilo denunciano come questi siano il frutto di una retorica anti-immigrazione promossa dal governo, che instilla nelle persone il desiderio di lasciare il Paese anziché quello di chiedere ospitalità e sviluppa nella popolazione locale un senso diffuso di ostilità nei confronti degli stranieri.

Nell’attesa che in Svezia vengano sciolti i dubbi sull’eticità di una norma così controversa, la Finlandia sta disponendo tutti gli strumenti normativi per arginare definitivamente gli ingressi lungo gli oltre 1.300 chilometri di confine con la Russia. A metà luglio il Parlamento ha approvato infatti la cosiddetta pushback law con la quale poter stoppare in modo legale i migranti in arrivo da Mosca: l’accusa mossa da Helsinki all’indirizzo del Cremlino è di strumentalizzare i flussi a fini politici per incrementare la pressione sui suoi vicini, così come già avvenuto lungo la frontiera tra Polonia e Bielorussia.

Una «norma speciale» come l’hanno definita: nei fatti, una deroga alla Costituzione prevista in casi di emergenza nazionale e approvata con centosessantasette voti a favore. Il primo ministro Petteri Orpo ha espresso soddisfazione per il «forte sostegno da parte della Commissione europea per il mantenimento delle frontiere», aggiungendo poi il netto rifiuto a «una via d’ingresso incontrollata come quella nel Mediterraneo». L’obiettivo dichiarato del governo è il contrasto all’immigrazione strumentalizzata, definito uno strumento di guerra ibrido messo in campo dalla Russia nell’ottica di una tensione crescente nell’area Nord-Est dell’Europa a seguito, fra le altre cose, del protrarsi del conflitto in Ucraina.

Da gennaio a oggi appena una quarantina di migranti sono riusciti a oltrepassare il confine tra Russia e Finlandia facendosi largo tra gli anfratti naturali più impervi, essendo chiusi tutti i valichi di frontiera a eccezione di quello ferroviario riservato alle merci. La legge ha scatenato le proteste di numerosi esperti e osservatori: il difensore civico, Kristina Stenman, definisce «allarmante» lo scenario in cui la Finlandia possa deliberatamente rifiutare di accettare le domande di asilo, mentre da Amnesty International  mettono in guardia sui rischi per i diritti dei migranti, definendo la norma una potenziale «luce verde per la violenza alla frontiera». Oltre alla possibilità che si verifichino soprusi e vessazioni, sebbene la legge preveda la possibilità di fare delle eccezioni nel caso di minori e persone vulnerabili, i detrattori mettono in guardia sull’estrema difficoltà (per non dire impossibilità) di garantire al cento per cento queste tutele.

Nella pratica, la pushback law autorizza il rimpatrio in un Paese terzo, ossia il respingimento di migranti e richiedenti asilo contrassegnato come illegale dal diritto internazionale ed europeo. «La Finlandia non dovrebbe violare gli accordi internazionali limitando i diritti delle persone bisognose di protezione», si legge in una nota congiunta di Unhcr, Croce Rossa e Consiglio nazionale per i rifugiati. Fermo restando il diritto al controllo dei propri confini nazionali, il punto è che «la procedura delineata nella proposta consente di negare l’accesso senza un esame delle domande di asilo», mentre è invece compito della Finlandia garantire «una procedura che tenga conto delle circostanze individuali anche in tempi di emergenza, e la proposta di legge non lo fa».

Con l’estate che si avvia lentamente al termine, nel giro di qualche settimana le temperature fresche e gradevoli della Scandinavia lasceranno spazio al freddo pungente tipico del Nord Europa, ma le vicende di Svezia e Finlandia in termini di politiche migratorie, per certi versi complementari, promettono di infiammare il dibattito pubblico già a partire dal prossimo autunno. Il tutto, mentre ai confini dell’Europa, da ogni parte si rigiri la cartina, migliaia di persone continuano imperterrite a cercare una via di scampo da guerra e povertà, la salvezza per la propria famiglia, o semplicemente qualcosa che assomigli al futuro.

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