Quando a tredici anni ho aperto “Il libro dell’estate” di Tove Jansson, dove una bambina chiacchiera per pagine con la nonna in un’estate eterea, piena di realizzazioni profonde, di crescita e di ritmi sempre uguali, e quando alle elementari ho divorato “Boy” di Roald Dahl, la prima cosa che mi ha colpito era immaginare questi due piccoli ragazzini, in costume da bagno, accaldati e un po’ stancati dal sale e dal sole, nei riti delle vacanze in Paesi che associavo ai ghiacci e al freddo. Pensavo: ma come facevano?
Isolette svedesi, norvegesi, con quelle merende che poi ti ricordi da grande, con la vita sospesa tra la persona che sei a maggio-giugno e quella con lo zaino il primo giorno di scuola. Dahl parla di candele che brillano nell’oscurità, di quella sensazione del «che bello andarci perché poi ci si torna». Spiega che fino agli anni Trenta non c’erano aerei. In Africa ci arrivavi in due settimane, in Inghilterra per nave, la Cina era una terra magica, ma c’era sempre un posto abbastanza vicino che ti accoglieva, con le case dei nonni o un bagno in cui stavi per ore sulla battigia.
Prima di scoprire le vacanze delle gemelle Rossellini, pensavo anche a quelle di David Sedaris a Emerald Isle in North Carolina. La famiglia americana di origine greca, mi sembrava la controparte di quella inglese trasferita a Corfù dei Durrell. Le estati tutte uguali. Ore di esplorazioni a guardare tartarughe sulla sabbia, fratelli e sorelle buffe, madri indaffarate.
Ci sono anche pietre miliari musicali, film cult come “Magical mystery tour” dei Beatles e “Tommy” degli Who, ispirate alle vacanze che la classe medio-bassa inglese faceva per andare sulle spiagge del sud tra Cornovaglia e Devon (che ormai col cambiamento climatico saranno le mete più ambite nel 2034) per vedere prestigiatori sulla spiaggia, mangiare gelati magari più scadenti di quelli autentici doc dell’Italia di oggi, passare giornate a fare picnic, vivere dalla mattina alla sera in spiaggia. Non tanto diversi dai Woodies (Guthrie e Allen) a Coney Island, ma pure con più lidi. Poi ci sono i soliti Proust a Deauville e simili, ma mi soffermo sulla famiglia classica, non intellettuale, con la macchina piena di valige e cibo e figli che canticchiano urlanti.
Il coming of age estivo per eccellenza spesso è associato agli Stati Uniti. Da “romanzi rosa” che trovi in autogrill e libri caldi da spiaggia, a Nicholas Sparks, da film soprannominati teen beach e Doris Day, in ogni singolo decennio esiste il genere della storia legata ai cambiamenti delle vacanze estive, da capolavori come “Il buio oltre la siepe”, che ha tempi anche più grandi ma rimane un’estate di libertà e lezioni di vita, a “Camp Rock” della Disney.
La serie “Mrs. Maisel” ha fatto scoprire o riscoprire agli europei le Catskills, the Berkshire, la borscht belt, e i resort pseudo-mitteleuropei ebraici in cui molti ebrei, ma non solo, passavano interi mesi d’estate. La quantità di film per bambini, adulti, blockbuster, indipendenti, non si conta.
C’è un libro ambientato nell’estate del 1916, “Close To Shore”, da cui Steven Spielberg ha tratto da un minuscolo paragrafo di un capitolo “Lo squalo”. In realtà non è la storia principale, ma parla dell’estate del 1916, l’America lontanissima dalle guerre, quasi-felice, passate come le immaginano sulle coste italiani come pippo64, user nostalgico di Facebook, «eh ma come ai nostri tempi non si fa più». Parla di famiglie povere di Philadelphia, del New Jersey, e anche di figli di papà che andavano per mesi in vacanza negli stessi hotel sulla spiaggia; di padri severi speravano che i primogeniti diventassero medici e avvocati e non perdessero tempo in bagni notturni, che seguivano le elezioni politiche di quell’anno, festeggiavano il 4 luglio, con l’ultima copia di giornali americani e europei letta prima di andare al mare.
È un libro che ha connesso per sempre la parola America alla parola squali, quando invece gli attacchi di questi animali sono ben pochi e quasi inesistenti. Il mare non sono le onde di “Un mercoledì da leoni”, ma tutte le baie e i golfi, molto più mediterranei; alcuni da ricchi come Catalina Island, altri magari sono nelle zone meno frequentate delle outer banks della South Carolina, dove l’acqua è limpida. Non è una competizione, sopratutto è un mondo che sta implodendo con il clima estremo quindi cambierà tutto, ma sono meno raccontate persino dagli americani stessi. Siamo forse pigri. Meglio andare tutti a Santorini o nei soliti lettini in Liguria, pensando chi ce li ha i lettini oltre ai liguri? E cosa fare del dibattito sui costi? In fondo tutto il mare del mondo è uguale, così dovrebbe essere. Non un primato di orgoglio nazional-politico-turistico. Il turismo ovviamente è giustificato in patrimoni Unesco meravigliosi in Italia.
Uno degli stereotipi più tipici però è: «Gli americani non sanno cosa sono le vacanze, lavorano sempre». È un dibattito anche politico, in anno di elezioni perché l’America ha meno paid leave? E poi è veramente così? Non certo per gli insegnanti, anche se sottopagati ovunque. Di sicuro per le neo mamme, ma per gli altri cadono in fasce che non sono il forgotten man col forcone, né le signore sofisticate dell’Upper East Side. Sono famiglie normali, con voglia di passare tempo con i figli, lasciare ricordi, ma anche avere un po’ di spazio, magari con qualche programma, sono lavoratori, che hanno programmi estivi locali e comunitari che sono quelli su cui devono puntare i democratici. Non a cose astratte. A investire in modi per cui le persone normali possano avere una qualità della vita alta.
Dipende dalla generazione più che dalla nazionalità. Fino agli anni Novanta molte famiglie riuscivano comunque a infilare i loro road trip, le case al lago e brevi vacanze a trenta minuti dal Lake Tahoe a costo zero, con padri più o meno presenti (però quello ovunque…). Ora meno. Ironicamente però molto meno in Italia che negli Stati Uniti.
In periodi di divisioni è l’estate di Taylor Swift e del ritorno del Newport Folk Festival. Una spiaggia in Sicilia, in Puglia, in Costa Azzurra, nelle Langhe potranno mai valere come le campagne inglesi o una spiaggia a Fire Island? Forse per molti no, ma per i luoghi del cuore sì.
In estati di overtourism è difficile ancora quantificare alcuni cambiamenti. Gli americani ora si muovo in massa a luglio, più che agosto, ma anche la stagionalità non è più una certezza. In più, molti europei sembrano ignorare completamente la fascia “country”, quelle famiglie che hanno le vacanze scolastiche e da metà maggio a metà agosto di solito vanno nella casetta sporca del nonno in montagna; nel fango dei fiumi a giocare per giorni e tuffarsi, in avventure degne di “Stand By Me”; nella casa al mare in Georgia, dove l’acqua è come i Caraibi e il golfo del Messico. In New England il bagno lo fai di meno ma ci sono isole come Block Island dove si fa la dolce vita e le cene durano due o tre ore. Ci sono anche zone della California meno mitiche, meno da surfisti: Sausalito Beach per i bambini cresciuti a Marin County e nella Bay area è sinonimo di estati di falò, di giochi, di scambi di palette e secchielli. Nell’antiamericanismo latente dell’italiano medio non esiste tutto questo.
Non c’è nulla come il Mar Mediterraneo. Forse è vero. Ma un’estate a Lake Powell o Lake Tahoe, dove il costo è un quarto delle riviere mediterranee, ci sono quelle dinamiche he fanno sognare i muretti di moda negli anni Cinquanta. C’è musica con le chitarre, il ballo folk, i bagni con la maschera.
Mi stupisce sempre. Da quando ho un figlio ho l’istinto di aprirgli quella dimensione dell’estate europea: sembra prevalere sulla razionalità. Noi famiglia ormai di americani pensiamo: «ma in fondo un mese in Italia fa bene», e lo farà sicuramente, magari in futuro, ma non è così, non è necessariamente tutto bianco o nero. In Italia mancano infrastrutture di base e i bambini sono meno aiutati in alcune cose. Ma sarà bello insegnargli che è bello ovunque, non si vive di paragoni. Sono cambiate diverse cose negli ultimi anni. Anche nel cibo, ma quella è tutta un’altra storia. A Austin la mozzarella di bufala la trovi dal 2007, ma amen.
Poi c’è il vero cambiamento globale. La maggior parte dei giovani millennial e della Generazione Z non ha più un lavoro stabile, oppure hanno lavori con orari e tempi molto diversi rispetto al passato, quindi molto probabilmente lavoreranno tutti a luglio e per gran parte di agosto (o viceversa negli Stati Uniti). Sono raggiungibili ovunque e non hanno veri e propri contratti che garantiscano le vacanze. A luglio, negli ultimi anni, ho visto più amici italiani che americani al lavoro. Gli italiani hanno una casa di famiglia spesso ma oggi non sempre ciò si traduce in meno stress o meno lavoro. E hanno meno famiglie (e non lo dico nel senso negativo di J.D. Vance della destra estrema).
Gli insegnanti sono gli unici ovunque ad avere due o tre mesi di ferie. Hanno questo enorme vantaggio e hanno tradizioni estive, ma sono sottopagati. Tuttavia, la maggior parte dei Paesi interrompe le vacanze più frequentemente durante l’anno. Alcuni si trovano meglio così, dipende.
Hai bisogno solo di una bici da cross, un tappeto elastico, un campo estivo, una comunità vicina. Ci sono state intere generazioni costruite sui cambiamenti estivi (anni Cinquanta, Sessanta, Settanta, ecc.). Purtroppo questo è meno comune del passato ma era una cosa diffusa ovunque.
La maggior parte delle persone fa brevi viaggi instagrammabili e sembra che viaggino molto, alcuni sembra si divertano davvero di più o possano permetterselo, ma ciò non significa che non ci sia un “gap” nel tempo che sta scomparendo in alcuni luoghi.
Agosto era un mese in cui in Europa tutto era chiuso. Ormai è molto raro che sia così. Alcuni servizi, negozi o uffici chiudono, ma sono più o meno due settimane. A parte i pediatri che magicamente spariscono nel momento del bisogno, ci sono negozi inutili aperti 24/7, amici giovani che lavorano a Ferragosto – «Cosa vuoi fare? Sono costretto». Ci sono spesso servizi attivi per i turisti e oggigiorno sono spesso aperti agli affari. Anche gli influencer propongono sempre più trend sulle vacanze: si guadagna meno, punto.
L’età conta. Ventenni, trentenni e quarantenni fanno vacanze molto diverse. Le nazionalità hanno poco a che fare con questo. Le famiglie tendono a fare vacanze in uno o due posti a lungo termine (mare, montagna, campagna), mandando anche i figli a programmi estivi se lavorano (anche in Italia).
Gli Stati Uniti hanno cambiato rotta in materia di cibo e vacanze negli ultimi cinque o dieci anni, sono aumentate le visite nei parchi nazionali, nei luoghi vicini, o scuole comunque più flessibili, il cibo sano anche in alcune città del Texas. Mentre ironicamente l’Europa è andata in direzione opposta.
L’autore di “Fahrenheit 451”, Ray Bradbury, aveva scritto un’opera giovanile, una novella, “Dandelion wine”: ricorda le estati della sua infanzia e adolescenza. È un Cesare Pavese in una campagna americana. Riassume il dolce far niente, la bellezza dell’estate dove il lavoro non è flessibile e ansiogeno come per i giovani d’oggi. È un’estate di caldo, ricordi, tradizioni, colori vivi della campagna, del cielo, delle prime sensazioni emotive, di calore. E questo lo dico non per essere nostalgica, ma perché sarà così anche per la Generazione Alfa e Beta. Lo spero, almeno. I bambini di oggi alcune cose le faranno uguali a quelle dei loro genitori.
È Ray Bradbury che ha scritto il manifesto dell’estate italiana-americana-globale-locale-eterna: «Trattieni l’estate in una mano, versala in un bicchiere, un piccolo bicchiere ovviamente, dai un sorsetto ai bambini, cambia la stagione nelle tue vene, alzando un bicchiere, portandolo alle labbra e rovesciandoci l’estate dentro».