È un momento critico per l’automotive europeo. Le immatricolazioni sono ai minimi da tre anni, trascinate in basso dal crollo dei veicoli elettrici (-44 per cento su base annua) e degli ibridi plug-in (-22 per cento) ad agosto. Volkswagen e Volvo hanno dovuto ridimensionare i piani sulla mobilità a batteria, ancora troppo costosa per imporsi sul mercato di massa, mentre Stellantis ha sospeso la produzione della Fiat 500e per mancanza di ordini. Le case produttrici riunite nell’Acea (European automobile manufacturers’ association) hanno suggerito alle autorità europee di rivedere le regole sulle emissioni di CO2 a livello di gamma che entreranno in vigore l’anno prossimo, perché le vendite di auto elettriche sono troppo basse e chi non rispetta i nuovi limiti rischia multe miliardarie.
Poi c’è la questione dei dazi sulla Cina. Il divario di competitività con i costruttori del Paese asiatico è grande, e le tariffe che dovrebbero aiutare a ridurlo potrebbero però compromettere le esportazioni dei gruppi europei – tedeschi, in particolare – in un mercato sì vasto, ma che tuttavia non garantisce più i numeri di un tempo. Infatti, Mercedes-Benz ha lanciato un secondo allarme sugli utili per il 2024. Di tempo per adattarsi, comunque, non ce n’è molto, dato che il 2035 segnerà la fine o quasi del motore a combustione interna.
Tutto questo ha fatto da sfondo ai vertici istituzionali – la conferenza promossa dall’Ungheria, prima, e il Consiglio Competitività, poi – che si sono tenuti questa settimana sul futuro dell’industria automobilistica europea. L’Italia ha un obiettivo: ottenere dalla Commissione Ue il rinvio dei nuovi obblighi sulle emissioni e la revisione del divieto all’endotermico con lo scopo di preservare la capacità manifatturiera e tutelare l’occupazione.
Intervistato dal Financial Times, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha posto la questione in termini sia economici che geopolitici. I veicoli elettrici «costano troppo rispetto ai redditi degli italiani e degli europei», ha detto, e se l’Ue abbraccia questo cambio tecnologico con troppa fretta, senza aver prima sviluppato una filiera propria, rischia di finire dipendente dalla Cina. «Il rischio», ha spiegato, «è di passare dalla dipendenza dai combustibili fossili russi alla dipendenza da materie prime critiche provenienti, prodotte o lavorate in Cina».
Come illustrato alle associazioni di categoria e ai sindacati nazionali prima degli incontri europei, Urso ha chiesto di anticipare al 2025, anziché al 2026, la revisione del bando alle auto con motore termico (2035) e di adottare un approccio tecnologicamente neutrale: vale a dire inserire una deroga per i veicoli alimentati a biocarburanti, come quella che la Commissione ha già previsto per gli elettrocombustibili (o e-fuel) su pressione tedesca.
Al di là dell’origine – organica nel primo caso, sintetica nel secondo –, i biocarburanti e gli e-fuel non sono così diversi: sono entrambi combustibili che possono circolare nei motori tradizionali e che rilasciano CO2 quando bruciano, ma sono complessivamente neutri dal punto di vista delle emissioni perché il carbonio di cui sono fatti è “riadoperato”. L’idea che questi carburanti possano salvare l’automobile endotermica rischia però di essere un po’ ingenua, considerati sia i loro costi (alti) che i livelli produttivi (bassi). In particolare, le prospettive della Germania sugli e-fuel, che dipendono dall’idrogeno e dalla cattura della CO2, si sono offuscate dopo la cancellazione della tubatura con la Norvegia.
Il ministro dell’Economia tedesco, Robert Habeck, si è detto favorevole ad anticipare all’anno prossimo la revisione dello stop al motore a combustione interna, ma senza mettere in discussione la data del 2035. Rimane aperta la discussione sul “come” – cioè con quale approccio e con quali risorse – arrivare all’appuntamento.
Al Consiglio Competitività, Adolfo Urso ha presentato la proposta dell’Italia per una nuova politica industriale comunitaria, l’European automotive act, basata su tre punti: neutralità tecnologica (non solo elettrico, ma anche biocarburanti, e-fuel e idrogeno); autonomia sulle batterie e le materie prime; istituzione di un fondo di sostegno per la filiera e per i consumatori che acquistano vetture elettriche prodotte in Europa.
I dettagli verranno illustrati successivamente in un documento informale (non-paper). È palese l’aggancio al rapporto sulla competitività di Mario Draghi, al quale infatti Urso si richiama: «È necessario, come dice Draghi, affrontare la tematica (della transizione del settore automobilistico, ndr) senza paraocchi, senza ideologie, ma con una visione di neutralità tecnologica», ha dichiarato il ministro.
Nel report, Draghi ha scritto che «il settore automobilistico è un esempio chiave della mancanza di pianificazione dell’Unione europea, che ha applicato una politica climatica senza una politica industriale. Il principio di neutralità tecnologica non è sempre stato applicato»; nelle pagine 147 e 148 è anche presente un box dedicato al «potenziale dei carburanti alternativi» per la decarbonizzazione dei trasporti. Ma Draghi sottolinea anche come la perdita di competitività dell’automotive europeo rispetto alla Cina sia dovuta anche ai costi di produzione più alti, all’incirca del trenta per cento. Non basterà, insomma, puntare su vettori diversi dall’elettrico (peraltro costosi) o rimandare di qualche anno il bando ai motori endotermici per risolvere il problema di fondo.
Resta il tema delle risorse economiche. Urso ha detto al Financial Times che se la Commissione intende mantenere lo stop al 2035, allora dovrà stanziare somme significative – e soprattutto comuni – per accelerare la conversione. La Germania, secondo il ministro, potrebbe appoggiare la richiesta italiana.