La Sicilia fuori dalla Sicilia Gianluca Iacono, l’insalata di arance della nonna e lo street food

Una delle più note voci della televisione racconta i sapori del Sud della sua infanzia e quelli ritrovati viaggiando

Gianluca Iacono

È la voce di Vegeta, l’amatissimo e odiatissimo principe del Saiyan in “Dragon Ball”, di Marshall Eriksen, uno dei protagonisti di “How I met your mother”, di Gordon Ramsay, l’irascibile cuoco di “Hell’s Kitchen”, e di tanti, tantissimi altri personaggi del cinema e della televisione. Gianluca Iacono, attore e doppiatore, è nato a Torino, ma le sue radici sono in Sicilia.

Per i suoi fan e per tutti quelli che sono cresciuti a pane e Dragon Ball, Iacono è «la voce dell’infanzia». Ma la sua di infanzia ha l’accento e il profumo della Sicilia. Una Sicilia che ha incontrato da bambino in casa dei suoi nonni paterni, Carmela e Giovanni, a Torino: «Mio nonno era un uomo dell’Ottocento, fa un po’ impressione dirlo, ma era nato nel 1896 vicino a Ragusa, mentre la nonna, del 1904, veniva dalla provincia di Agrigento. Ho netto il ricordo dell’insalata di arance che preparava mia nonna, che viveva nel portone accanto. Faceva tante cose buone della tradizione Siciliana, come il pane con la giuggiulena: solo più tardi ho imparato che la giuggiulena era quello che in italiano si chiama sesamo. Cucinava anche una deliziosa parmigiana di melanzane, e con le melanzane faceva anche il sugo per la pasta, un po’ tipo pasta alla Norma. E poi ricordo gli anellini di pasta al sugo, che solo tanti anni dopo ho ritrovato nelle rosticcerie a Palermo: da “grande” ho iniziato a frequentare tanto la Sicilia per lavoro».

Sono tantissime le convention e le fiere sull’isola che raccolgono il popolo degli appassionati di comics e cartoon e Iacono, da ospite di questi eventi, ha conosciuto un volto diverso della Sicilia gastronomica: non solo gli anellini, formato di pasta corta che la tradizione vuole condito con sugo di pomodoro o usato come base di un ricco piatto di pasta al forno con ragù, formaggio, piselli e uova, ma anche «le frittate di pasta, che sono un po’ come uno sformato. Anche questo lo mangiavo dalla nonna, e l’ho ritrovato dopo tantissimo tempo. E ho scoperto un mondo di street food deliziosi: con pochi euro puoi mangiare davvero bene, in tutta la Sicilia, ma soprattutto a Palermo, forse la più cosmopolita delle città siciliane. Per chi viaggia arancine (a casa mia sono femminili), panelle e sfincioni sono una risorsa, ma non è solo quello: non si tratta semplicemente di fast food, non lo definirei così. Il cibo di strada qui è parte della città. Lo puoi vedere, toccare, nei vicoli, in tutto il mercato della Vucciria».

È questo il tempio dello street food, dove comprare crocché di patate o polpo bollito, ravazzate (sorta di brioche salate ripiene di ragù) e, per i più coraggiosi, pani ca meusa (panini con milza e polmone) e stigghiole (involtini di interiora di agnello avvolte su un cipollotto). Sapori antichi, a cui forse non siamo più abituati.

Ma il cibo crea un ponte tra passato e presente, nella storia e nella vita di ognuno di noi. E riporta Gianluca al ricordo di papà Emmanuele, arrivato a Torino tra il ’56 e il ’57, in un periodo in cui a Torino non si volevano affittare le case ai meridionali. «Ma lui ci sapeva fare e riuscì a trovare casa. Ricordo che papà sapeva esattamente dove fossero le migliori rosticcerie, dove comprare lo sfincione in una città dove si trovava forse la più grande comunità siciliana nel Nord Italia, più grande anche che a Milano, che gravitava soprattutto intorno alla Fiat».

C’erano ristoranti siciliani a Torino, tanti, ma anche pasticcerie, «dove papà andava a comprare i cannoli, sempre i migliori. Ora ho scoperto che qui in Sicilia li farciscono con la ricotta al momento, o addirittura ti danno la farcia da portare a casa a parte, e li riempi tu con la sac-à-poche. Ho ritrovato sapori, qui in Sicilia, ma tanti ne ho scoperti: quest’estate sono stato a Canicattì, e andando verso Naro, un paese di poco più di settemila anime dove si contano diciassette chiese, ho assaggiato una granita indimenticabile, frutti di bosco e pistacchio, cremosa come un gelato. Mi ha colpito molto, come mi ha colpito la cura che mettono nel riempire i cannoli in modo che la pasta non si ammosci».

E poi c’è il sapore degli ingredienti, quelli locali: «Mia nonna faceva la spesa a Torino, all’epoca non si potevano far arrivare gli ingredienti da giù. O meglio, si potevano fare arrivare ma doveva portarli qualcuno con quei treni infiniti, lentissimi. E ormai i miei erano tutti a Torino». Oggi è diverso, a Milano come a Torino si possono acquistare le stesse focacce che si trovano a Palermo, ma il sapore che hanno i ricordi è un’altra cosa: «Per me, che sono andato a stare da solo a vent’anni, che mi sono trasferito in un’altra città, la memoria di quando ero bambino ha contorni netti e definiti». E ha il sapore buono dell’insalata di arance della nonna.

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