Quesiti linguisticiIn quanti modi si può chiedere la data? Risponde la Crusca

Da «Quanti ne abbiamo?» a «Che giorno è?». Le espressioni usate sono tante e nessuna, in realtà, è scorretta

(Unsplash)

Tratto dall’Accademia della Crusca

Tra le espressioni usate per chiedere la data che i lettori portano alla nostra attenzione, quella che sembra suscitare più dubbi è l’interrogativa parziale Quanti ne abbiamo (oggi)?: è una forma corretta in italiano, si può utilizzare quotidianamente? Precisiamo, innanzitutto, che nell’espressione segnalata, molto diffusa nel parlato quotidiano, ne ha valore partitivo e va riferito all’espressione di giorni, che resta implicita; altrimenti si può pensare a un enunciato ellittico rispetto a Quanti ne abbiamo oggi di giorni del mese?, in cui il pronome ne ha funzione cataforica, e anticipa il partitivo oggetto di giorni dislocato a destra: in ogni caso, di giorni può essere sottinteso, probabilmente perché questa espressione per chiedere la data è, in italiano, così diffusa (se ne trovano esempi in varie grammatiche già dall’Ottocento, soprattutto nella forma Quanti ne abbiamo del mese?) che è immediatamente comprensibile a tutti. Possiamo quindi affermare che la frase Quanti ne abbiamo (oggi)? è corretta dal punto di vista grammaticale, che può certamente essere usata nelle dinamiche della comunicazione quotidiana (perché permette di chiedere la data del giorno in modo veloce e senza possibilità di fraintendimenti), ma anche che è sconsigliato utilizzarla in testi scritti o in situazioni che richiedono maggiore formalità, perché la frase marcata, per di più ellittica, appartiene soprattutto al parlato colloquiale. Si ricordi, anche, che il computo al plurale dei giorni del mese (tranne il primo) permane tuttora, specie nel linguaggio burocratico, nelle date: “Luogo, li (giorni) 10 aprile”; ma l’articolo plurale li, diventato ormai opaco (in quanto non più usato), viene spesso impropriamente reinterpretato come avverbio di luogo (lì).

Di questa espressione alcuni lettori segnalano anche la variante con il plurale femminile e non maschile dell’aggettivo interrogativo: Quante ne abbiamo?, molto più rara nell’uso. Essa suscita, però, qualche dubbio: se nella frase al maschile il genere è condizionato dal sottinteso sostantivo giorno al plurale, in questo caso risulta difficile individuare il sostantivo femminile che ne determina il genere. Si potrebbe forse pensare al sostantivo giornata, in molti casi sinonimo di giorno, che però difficilmente può essere usato con l’accezione di ‘data’. In questo senso, forse potremmo immaginare che il sostantivo giornata possa indicare il periodo di luce dall’alba al tramonto, che scandiva i ritmi della vita quotidiana fino a non molti decenni fa e, soprattutto, la vita lavorativa contadina. Questa ipotesi potrebbe essere avvalorata dal fatto che alcuni giovani parlanti tra i 25 e i 30 anni, che usano la frase al femminile (intervistati in una piccola inchiesta che ho effettuata nell’area dei Castelli Romani) affermano di averla sentita dalle nonne e dai nonni e, pertanto, potrebbe trattarsi di un uso mutuato da una generazione precedente, abituata a seguire il flusso della luce e della natura per il lavoro e la vita quotidiana. Sulla forma femminile utilizzata dalla coinquilina abruzzese di una nostra lettrice potrebbe aver influito anche la vocale indistinta finale (detta schwa) della pronuncia dialettale di giorno tipica dei dialetti meridionali, nei quali però il sostantivo è maschile, come conferma l’articolo (lu jurnə) Si può forse ipotizzare che la variante con il femminile possa riferirsi all’antico dia, derivato, come il maschile die (da cui dì), dal latino diem (che era ambigenere), e questa spiegazione potrebbe essere valida in Sardegna, dove alcune varietà locali presentano l’uso del sostantivo dì femminile (cfr. AIS, carta 336 Il giorno).

La frase Che giorno è (oggi)?, che pure i nostri lettori ci segnalano, chiedendosi se non sia proprio questa quella da utilizzare, segue invece il normale ordine della frase interrogativa parziale, introdotta dall’aggettivo che prima del nome giorno. Essa ha, dunque, il vantaggio di essere utilizzabile anche nello scritto e in situazioni formali, ma porta con sé anche uno svantaggio: nel rispondere al quesito, potrebbe non risultare chiaro se il sostantivo giorno sia usato dall’interlocutore per riferirsi alla data precisa o al nome del giorno della settimana (opzione pure possibile). Si potrebbe quindi generare una piccola incomprensione, comunque facilmente risolvibile se immaginiamo uno scambio del genere: “Che giorno è oggi?”, “Martedì”, “Intendevo il numero/la data!”, “Ah! È il 3 (ottobre)” (o viceversa). Infatti, nonostante questa possibile ambiguità, la frase Che giorno è oggi? sembra essere attualmente la più diffusa nel parlato (come risulta da una breve indagine effettuata tramite il social network Instagram e anche in base all’esperienza quotidiana), forse perché è il contesto che può aiutarci a comprendere quale sia la richiesta specifica che il nostro interlocutore ci sta rivolgendo. È improbabile, infatti, che possiamo dimenticare in che giorno della settimana ci troviamo (o, se ciò avviene, si tratta di una dimenticanza di pochissimi secondi, cui possiamo fare fronte autonomamente), mentre è più facile che possiamo dimenticare la data specifica, se non teniamo sott’occhio un calendario, e che, per ricordarla, possiamo richiedere l’aiuto di chi è con noi, evitando così di dover controllare il cellulare o l’agenda. Questa forma è la più diffusa anche nei testi scritti digitalizzati in Google libri: il motore di ricerca restituisce, infatti, 8.590 risultati per “Che giorno è oggi?” e solo 1.420 per “Quanti ne abbiamo oggi?”.

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