A un anno dal Sabato Nero neppure gli osservatori meno prevenuti nel giudizio verso Israele hanno saputo spiegare la guerra di Gaza, che è la guerra di Hamas. Quelli che ma Bibi. Quelli che ma Ben-Gvir. Quelli che ma il diritto internazionale. Quelli che ma la popolazione civile. Non hanno saputo spiegare la guerra di Gaza perché non l’hanno capita, perché non hanno capito che la guerra di Gaza è la guerra di Hamas che Israele ha deciso di combattere. Non hanno capito nulla di tutto questo perché non hanno capito ciò che veramente è successo il 7 ottobre.
È successo che gli israeliani, vedendo le immagini dei mostri che ridacchiavano calpestando le pozze di sangue nelle stanze dei genitori uccisi davanti ai loro bambini, e si rifocillavano nelle cucine delle famiglie appena massacrate, hanno deciso di fare la guerra che ha voluto Hamas.
Questo non è stato capito. Gli israeliani, vedendo quelle immagini, hanno deciso di combattere alle condizioni poste, e al prezzo stabilito, da Hamas: vale a dire la distruzione di Gaza, con conseguenze terribili per la popolazione civile. Questo voleva Hamas: vincere contro Israele, tramite la distruzione di Gaza; portare Israele a combattere la guerra di Hamas, dove e come la voleva Hamas, a quelle condizioni e a quel prezzo. E confidando di sconfiggere Israele esibendo montagne di morti in faccia all’esecrazione generale.
Il grosso degli osservatori occidentali ha considerato un errore, un fallimento, quando non un crimine punto e basta, quella decisione degli israeliani. Ma la guerra di Gaza, cioè la guerra di Hamas, ha rappresentato e rappresenta per gli israeliani un orrore, non un errore. Quando si dice che i morti civili di Gaza vanno sul conto delle responsabilità di Hamas si pronuncia una verità approssimativa, sfuocata. È così nel senso che Hamas voleva quei morti e anzi ne voleva di più, affinché lo Stato Ebraico soccombesse in quell’orrore e fosse travolto dallo sdegno che esso avrebbe provocato. Ma si tratta solo di un profilo della vicenda, e questa prende la fisionomia genuina quando si considera l’altro: che è il profilo di Israele rivolto ad andare incontro all’orrore di Hamas, e ad andarvi incontro non per errore, ma per decisione. La decisione di combattere non la propria guerra contro Hamas, ma di combattere la guerra di Hamas, e cioè la guerra per la distruzione di Gaza.
Gli israeliani hanno preso questa decisione non per responsabilità di Benjamin Netanyahu, ma nonostante Benjamin Netanyahu, cui gli israeliani semmai addebitano di essere stato lontano, latitante, incapace di condividere le ragioni di vita e di morte del popolo in armi di Israele. Gli israeliani considerano che non dovrebbe esserci quel capo, un anno dopo il 7 ottobre, cioè un anno dopo il giorno in cui Hamas ha sventrato Israele anche per colpa di quel capo. Ma questo non c’entra nulla con la guerra di Hamas, non c’entra nulla con la guerra che gli israeliani hanno deciso di combattere e di vincere – si ripete – alle condizioni poste e al prezzo stabilito da Hamas. Non era cadere “nella trappola di Hamas”, come invece molti, stoltamente, osservavano. Era infilarcisi risolutamente, per distruggerla.
Poi ci si può dividere sul fatto che quella decisione fosse saggia o folle, giusta o troppo gravida di ingiustizia o perfino di crimine, e sul fatto che ci fossero o no alternative: e, se sì, quali. Ma poi. E cioè dopo aver capito che la distruzione di Gaza era la guerra che Hamas voleva vincere, e che Israele ha deciso di combattere affinché la distruzione di Gaza non fosse la vittoria di Hamas.