Calcio alle IstituzioniLa Russa, Sala e la crisi internazionale di San Siro

Le uscite del presidente del Senato non hanno nulla di folcloristico e andrebbero anzi meditate con attenzione, scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette

In queste ore cariche di tensione per le sorti del mondo, meriterebbero forse maggiore attenzione le parole pronunciate dalla seconda carica dello stato a proposito della grave crisi internazionale che ha portato la Uefa a non assegnare la finale di Champions League del 2027 a Milano, per via dei lavori di ristrutturazione dello stadio (e la difficoltà di mettere d’accordo Milan e Inter sul da farsi). «La responsabilità è tutta di una giunta comunale inadeguata», ha dichiarato martedì il presidente del Senato, Ignazio La Russa. «In attesa di capire se a sinistra si arriverà mai a un “campo largo”, ci saremmo aspettati nel frattempo una maggiore difesa del “campo di San Siro” e di decisioni che andassero nell’interesse della città».

Inevitabile la replica del sindaco di Milano, Beppe Sala, che ha giustamente sottolineato quanto fosse improprio un simile comportamento da parte del presidente del Senato, peraltro già molto impegnato nel promuovere una sua personale soluzione al problema dello stadio, con cui non annoierò il lettore.

Mi interessa piuttosto notare come oggi un’intervista della seconda carica dello stato al Corriere della sera sia finita per queste ragioni nel taglio basso di pagina tredici, da dove La Russa non manca di controreplicare con questo folgorante incipit: «Trovo strano che Sala non si sia accorto che per un atto di pura cortesia istituzionale non ho mai nominato il sindaco, ma sempre la giunta, dando quindi la colpa non a lui ma all’eterogeneità di chi lo appoggia e che gli rende impossibile prendere decisioni. È un complimento implicito non dovuto. Se fosse attento avrebbe dovuto ringraziarmi».

Certo sono molto lontani i tempi della deprecata Prima Repubblica, in cui le presidenze delle Camere andavano alle personalità più prestigiose di maggioranza e opposizione, motivo per cui la guida del Senato era tradizionalmente la migliore premessa per aspirare alla stessa presidenza della Repubblica (e meno male che quei tempi sono lontani). Ma anche dopo l’introduzione del maggioritario e il cedimento alla logica dello spoils system, per quanto non siano mancati, di conseguenza, personalità di minore caratura politica e istituzionale, il ruolo ha pur sempre garantito, diciamo così, un minimo di autorevolezza e imparzialità.

Sia stato per un residuo di quelle antiche consuetudini, mai abbastanza rimpiante, dei tempi del proporzionale, o magari per quella che nella chiesa chiamano «grazia di stato», fatto sta che i presidenti delle Camere erano rimasti tra le poche figure di garanzia ancora in piedi. Oltre, ovviamente, al presidente della Repubblica. Ecco perché l’elezione di La Russa alla guida di Palazzo Madama e le sue uscite pressoché quotidiane non hanno nulla di folcloristico, ma andrebbero sempre meditate con attenzione, insieme con la riforma presidenziale (ed elettorale) con cui questa destra vorrebbe portare l’opera a compimento.

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