Bidonì è uno dei comuni più piccoli della Sardegna, dodici chilometri quadrati per poco più di cento abitanti. Lo si raggiunge dopo una serie di tornanti intagliati in una collina verdeggiante che affaccia sul lago Omodeo, in provincia di Oristano. All’ora del tramonto le facciate delle case si accendono di arancione. Per strada nessun passante, solo qualche gatto accoccolato sui gradini. È qui che Marcello Contu, trentatreenne originario di Cabras, dopo varie esperienze all’estero ha deciso di aprire Veghu, il primo centro di produzione e vendita di formaggi vegetali dell’isola.
L’accostamento di queste due parole, caseificio vegano, in una regione dalle antiche tradizioni casearie, potrebbe sembrare una provocazione. In realtà è il titolo di una storia di rientro, di micro imprenditoria e di riattivazione di un territorio altrimenti destinato allo spopolamento. Protagonista un ragazzo sardo che a diciott’anni ha lasciato la sua terra d’origine in cerca di nuove possibilità. Quando se n’è andato pensava di tornare a vivere in Sardegna solo per trascorrere la sua vecchiaia. Mentre era in Australia, gli si è accesa una lampadina dopo che alcuni suoi amici avevano deciso di ritornare.
«Dal 2018, più o meno, è iniziata una sorta di controesodo, un fenomeno che riguarda soprattutto la mia generazione» racconta Contu, che ricostruisce le tappe del suo viaggio a ritroso verso casa. «Sono cresciuto professionalmente nel mondo della ristorazione, sia all’interno di ristoranti che come formatore per progetti sociali che usavano il cibo come strumento di inclusione sociale. In particolare a Barcellona ho lavorato con immigrati, senza tetto e sex worker». Qui è diventato prima vegetariano e poi vegano e sempre nella città catalana ha creato nel 2013 il suo prototipo di formaggio vegetale. «Sembrava una mattonella in terracotta, voleva essere un parmigiano».
La curiosità per la fermentazione è nata in Australia, che per il mondo vegano, soprattutto Melbourne, è un centro importante. Poi questa passione si è trasformata e Marcello ha iniziato a usare le nozioni apprese negli anni per creare un’alternativa ai formaggi tradizionali. «Di formaggi vegetali ne esistono di due tipi: quelli industriali, che negli Stati Uniti ci sono dagli anni Novanta e di cui qualcosa è arrivato anche da noi; poi nel 2016 è arrivata la nuova scuola che invece fermenta, stagiona, inocula, controlla la temperatura e quindi applica tecniche tradizionali a basi vegetali. Io ho avuto la fortuna di incontrare i primi che hanno iniziato a sperimentare in questo campo. In particolare un ragazzo di Berlino – Anderson Santos – colui che ha gettato le basi della fromagerie vegana in Europa».
Marcello ha imparato dai libri di Sandor Ellix Katz – definito dal New York Times «una delle poche rock star della scena gastronomica americana» – e in particolare da “Il grande libro della fermentazione”. Fondamentale anche il gruppo Facebook, Cashewbert Cheese Making Group, all’interno del quale avveniva un continuo scambio di informazioni. Cashewbert era il nome dell’impresa di Santos, che in quegli anni era un faro per chi si stava addentrando nella materia perché, oltre a raccontare le ricette, vendeva anche i kit per l’autoproduzione e altri materiali utili. «Anderson è stato il primo a inviarci i batteri, gli starter e le muffe». In tutto all’inizio erano una trentina. Oggi nel gruppo ci sono oltre cinquemila iscritti.
Contu ha iniziato a produrre formaggio vegetale al rientro dall’Australia. È partito con produzioni piccolissime ma continuava a ricevere richieste. «Ricordo che le prime volte scendevo a Cagliari per portare cinque formaggi, poi sono diventati dieci, poi hanno iniziato a chiedermeli anche a Sassari, poi ho iniziato a partecipare ai mercatini». Del resto gli italiani che consumano prodotti plant based, cioè a base di proteine vegetali, sono in aumento. Secondo un’indagine condotta da Astraricerche e Unione Italiana Food nel 2023 erano ventidue milioni, il 2,8 per cento in più rispetto al 2022.
«Ho fatto quasi due anni da pirata – continua Contu – durante i quali producevo formaggi e lavoravo alla fattibilità del progetto. Poi grazie a un percorso di incubazione per start up del Mediterraneo, da cui ho ottenuto anche un micro finanziamento, sono riuscito a far nascere Veghu».
«Nell’ottobre del 2019 mi sono licenziato dal ristorante dove lavoravo, ho acquistato una casa a Sorradile, un paese vicino a Bidonì dove abbiamo l’altra sede, e mi sono ritrovato nel mezzo della Sardegna, in pieno Covid, a lanciare un’azienda da zero, da solo». Ma le cose andavano così bene che nel giro di un anno si sono uniti anche Carlo e Francesca, anche loro due ragazzi sardi emigrati in Inghilterra, che dopo aver conosciuto Marcello, hanno deciso di tornare per affiancarlo nel progetto.
Quando Santos ha deciso di chiudere Cashewbert nel 2022, ha chiamato Marcello per una sorta di passaggio di testimone perché lui stava già facendo qualcosa di molto simile in Italia: oltre a produrre formaggi vegetali infatti vendeva anche i kit con i materiali per l’autoproduzione e organizzava momenti di formazione. Veghu è così diventato il referente in Europa per questo mondo fatto di tante piccole realtà artigianali.
I Formhù – così li ha chiamati Contu – sono principalmente a base di mandorle e anacardi, usati singolarmente o miscelati, e soia biologica, no ogm e italiana. Tra gli obiettivi di Veghu c’è anche quello di riattivare la filiera della mandorla sarda. «La cosa assurda è che la Sardegna è da sempre zona di mandorleti, tant’è vero che la mandorla è un ingrediente centrale nella nostra pasticceria, ma adesso la maggior parte sono abbandonati. Le mandorle sarde costano il doppio di quelle siciliane e non si trovano pelate. Per cui le usiamo entrambe. Per gli altri ingredienti che non sono locali, come gli anacardi, cerchiamo di rifornirci da aziende che abbiano una filiera biologica o del commercio equo solidale» racconta Carlo che oggi è il direttore di produzione.
Veghu produce formaggi vegani a pasta dura e spalmabili, semi-stagionati e freschi. A crosta fiorita in stile francese ed erborinati. Prodotti che guardano alla tradizione francese e altri simili ai formaggi sardi, come la loro alternativa al pecorino. Le tecniche di produzione sono state affinate da Marcello nel corso degli anni, anche a costo di buttare ore di lavoro e materia prima. Ma adesso le ricette hanno quasi raggiunto la loro stabilità e funzionano. In linea di massima applicano tecniche tradizionali a basi vegetali: si parte da un latte vegetale fatto da loro, poi si fermenta, si caglia, si mette in fuscella e si fa stagionare o si inocula con le muffe. «La base è una lattofermentazione, nel nostro caso chiaramente non c’è il lattosio, che è lo zucchero presente nel latte, ma ci sono gli zuccheri delle mandorle e degli anacardi. Poi manca la caseina, però ci sono altre proteine che chiaramente a livello enzimatico reagiscono diversamente. Quindi, per esempio, c’è ancora un vuoto per quanto riguarda le paste filate e i formaggi che fondono, perché la caseina è fondamentale per quel tipo di formaggi, ma ci stiamo lavorando». Al momento al mese producono tra il quintale e il quintale e mezzo di formaggi vegetali.
Avere un’azienda nel cuore della Sardegna logisticamente ha qualche limite, ma è superabile. Ormai i tempi sono cambiati, le persone si sono abituate a comprare su ordinazione. Loro spediscono di solito il martedì. E poi i loro prodotti ormai si trovano in vari punti vendita sparsi in tutta la Sardegna e anche in altre città come Milano e Roma.
La cosa curiosa è che gli abitanti del paese anziché guardarli con pregiudizio li hanno accolti a braccia aperte, perché Marcello e i suoi soci stanno riattivando l’economia di due paesi – Bidonì e Sorradile – a alto rischio spopolamento. Sono le cosiddette zone fantasma, quelle che tra vent’anni potrebbero non esistere più visto che i residenti sono quasi tutti ultraottantenni e le nascite pari a zero. «Quindi il fatto che ci sia qualcosa, anche che rompa un poco con la tradizione o comunque di molto diverso, non è accolto bene, ma benissimo».