Il report sulla competitività di Mario Draghi pubblicato negli scorsi giorni è un programma così ampio sul futuro dell’Europa da travalicare l’oggetto per cui era stato pensato, diventando di fatto un’agenda politica per fermare quella che lo stesso Draghi definisce «la lenta agonia dell’Ue».
Ieri, presentando il testo di fronte al Parlamento europeo, Draghi è stato chiarissimo sul punto cardine della questione: l’Unione europea potrà e dovrà facilitare la mobilitazione dei finanziamenti privati tramite norme più flessibili, così come realizzando l’unione dei mercati dei capitali, ma per affrontare in maniera adeguata le sfide che ha di fronte «l’intervento pubblico sarà necessario».
Nella visione di Draghi è possibile tenere insieme competitività e decarbonizzazione solo agendo in maniera coordinata, prevedendo interventi diretti nei settori strategici e creando una piattaforma industriale comune. Nel report, si calcola che serviranno investimenti annuali pari a circa il cinque per cento del Pil europeo: come precisato nel testo stesso per dare il senso delle proporzioni, sono numeri enormemente superiori a quelli del Piano Marshall (che stanziava il due per cento dell’allora Pil americano).
A Strasburgo, Draghi è tornato anche sulla più discussa delle sue proposte, ribadendo che serve riaprire la discussione sulla creazione di un debito comune europeo, strumento a lungo rigettato ma oggi indispensabile per reperire i capitali necessari. Se la posta in gioco è quella di dare un futuro all’Unione europea nel nuovo contesto globale e contribuire realizzare gli obiettivi stessi per cui essa è nata, ha affermato Draghi, allora non essere d’accordo con la messa in discussione di vecchi tabù significa, in ultima istanza, non essere d’accordo con gli obiettivi storici dell’Ue. Lungi dall’essere un semplice strumento di reperimento di capitali, il tema del debito comune per Draghi è decisivo per la sopravvivenza stessa del progetto europeo.
Parlare di competitività, quindi, significa parlare di una politica industriale comunitaria, per la quale è necessaria più integrazione europea. Proprio per questo, però, il rischio è che le misure caldeggiate da Mario Draghi trovino scarsa applicazione in questa legislatura europea, visto l’aumento dei seggi dei partiti euroscettici a Bruxelles e la crescita dei partiti antieuropeisti negli Stati membri. La domanda, quindi, è se oggi si possa davvero creare, in Europa, una volontà politica maggioritaria compatibile con le proposte di Draghi.
Una forte approvazione dei temi sollevati da Draghi arriva dai principali gruppi al Parlamento europeo, il Partito Popolare Europeo (Ppe) e i Socialisti & Democratici (S&D). Toni entusiastici arrivano ad esempio da Massimiliano Salini, eurodeputato di Forza Italia e vicepresidente dei popolari: il report «propone in modo conclusivo strumenti e obiettivi», e così facendo «riscrive l’agenda politica del Partito Popolare e di tutte quelle forze che credono nell’Unione europea». E ciò vale anche per il debito comune, verso il quale esiste da parte di alcuni Paesi «un imbarazzo che non è giustificato» perché «chi mette in discussione questi strumenti, in fondo, mette in discussione il futuro del mercato unico europeo e il suo protagonismo nel mercato globale». «Senza debito comune – chiude Salini – non c’è possibilità di un sostegno a una politica di investimenti per la quale non bastano gli investimenti privati».
Per Zingaretti, capodelegazione del Partito democratico, «quelle di Draghi sono scomode verità», perché se «l’Ue non riesce a garantire prosperità creando ricchezza e salvando il pianeta, perde la sua ragion d’essere». «Nel gruppo S&D c’è una sostanziale approvazione delle misure poste da Draghi, che vanno nella direzione di un’Europa più unita e integrata anche sul piano politico e non solo industriale», aggiunge Brando Benifei, eurodeputato del Partito democratico e coordinatore per il gruppo dei Socialisti & Democratici nella commissione sul commercio internazionale. «Le misure, però, sono una sfida nel contesto attuale: ma alcune di esse, come il debito comune e progetti industriali condivisi in settori strategici, possono vedere una prima fase di realizzazione in un contesto europeo che preveda più livelli di integrazione».
Più scettici e critici, invece, i deputati appartenenti a The Left: per Pasquale Tridico (Movimento 5 Stelle) «nel report di Draghi non c’è un’analisi delle disuguaglianze oggi presente in Europa, non c’è il piano dell’Europa sociale». Sulla stessa linea Ilaria Salis, di Sinistra Italiana: «il report di Draghi appare interamente focalizzato sul concetto di competitività», mentre oggi la priorità è «tutelare e sostenere famiglie e individui, e favorire politiche che tutelino ed espandano i diritti dei lavoratori». L’idea del debito comune, però, è apprezzata: per Salis «serve una politica fiscale coraggiosa che preveda di reperire i fondi dove sono già presenti, tassando i grandi patrimoni», mentre per Tridico il Movimento 5 stelle loda «il piano di investimento pubblico».
Come era lecito aspettarsi, toni apertamente contrari verso il debito e l’idea di una politica comune sono venuti dai deputati e dai gruppi sovranisti. La convergenza tra S&D e Ppe, tuttavia, evidenzia come il vero scoglio per l’agenda tracciata da Mario Draghi non sarà tanto da rintracciare nelle istituzioni europee, ma nei governi nazionali degli Stati membri. I temi sollevati da Draghi infatti, pur nell’urgenza e nei toni netti del report, sono da tempo presenti nel dibattito europeo, e ripropongono, in ultima analisi, l’antica domanda su quanta sovranità nazionale sono disposti a cedere gli Stati membri per poter contare di più collettivamente nel contesto globale.
In questo senso, come detto da più parti, le misure proposte da Draghi scavano un solco tra chi crede nell’Europa e nel progetto per cui è nata, cioè creare un organismo sovranazionale in grado di agire da protagonista nel contesto globale, da chi immagina una organizzazione interstatale destinata a soccombere alle prospettive nazionali (e ai protagonisti più forti sulla scena globale). Il dibattito non è certo nuovo, ma il peso della figura di Draghi può essere cruciale nel porre il tema degli investimenti pubblici e del debito comune, se la prossima Commissione Europea seguirà con coerenza questa strada.