Siciliano per scelta. Roberto di Alicudi, pittore, è nato a Napoli, ma ha deciso di vivere nella piccola isola delle Eolie. Un artista, in uno dei luoghi più belli del mondo. Eppure «la pittura è un’attività in realtà un po’ noiosa, che implica di starsene a lungo chiusi in casa, soprattutto per me che dipingo su vetro. Ma poi guardo fuori e capisco che devo uscire. Qui tutto cambia in continuazione, la luce, il paesaggio, ma la caratteristica principale di Alicudi è il silenzio, non ci sono macchine, non ci sono strade: il silenzio è quasi assoluto, rotto solo dai rumori di fondo del vento e del mare».
«Assoluta è anche la bellezza del panorama, con le isole all’orizzonte, e due vulcani attivi visibili a occhio nudo. Ma è il “paesaggio antropologico” a catturare l’attenzione più di ogni altra cosa: i pochi abitanti qui hanno una forte memoria contadina e una capacità di vivere in un luogo molto faticoso, quasi completamente verticale. Loro mi hanno insegnato a riconoscere le erbe che crescono spontanee nell’isola e che in alcuni casi rappresentano una vera ancora di salvezza. Qui ci sono solo due negozi di alimentari, che vendono prodotti di base. E quando scendi a fare la spesa e poi risali per cinquecento gradini non torni giù se hai dimenticato qualcosa. E poi la varietà nei negozi è poca, conviene saper cercare e riconoscere il classico finocchietto selvatico, ma soprattutto i rapuddi: sono una sorta di broccoletto selvatico, che cresce in determinati punti dell’isola e si può cucinare in tanti modi diversi, ma io lo uso soprattutto per condire la pasta. Bisogna saperli riconoscere, i rapuddi, e saperli trovare in autunno e in primavera, tra le rocce, e bisogna anche saperli cucinare, perché hanno un sapore forte, amarognolo. Ma è una vera salvezza per gli isolani».
Un mondo sospeso nel tempo e nello spazio, Alicudi, anche per quanto riguarda il cibo. E se si pensa che il pesce, in questo piccolo punto in mezzo al mare, sia la base dell’alimentazione, ci si sbaglia di grosso: «Non c’è una grande tradizione di pesca, e trovare il pesce è piuttosto difficile. Bisogna cercarlo, conoscere le persone giuste, sapere chi ha messo le reti. Si mangiano i gamberetti di nassa, quelli piccoli, rossi, buonissimi, e soprattutto il totano, che è la vera tradizione isolana: lo si cucina in mille modi, fritto, grigliato, con la pasta o con l’insalata arcudara, che si prepara con patate, pomodori, cipolla e capperi. I capperi delle Eolie sono rinomati e riconosciuti, e quelli di Alicudi sono particolarmente buoni: ci sono quelli grossi, che si usano appunto nelle insalate e sono i boccioli un po’ cresciuti, quelli piccoli, bocciolini, usati soprattutto nei ripieni e nelle imbottiture, e poi i cucunci, i frutti del cappero. All’insalata si può unire il tonno, che qui viene messo sott’olio e inscatolato in casa: quando un peschereccio arriva dopo aver catturato il tonno, le famiglie se lo dividono e lo lavorano in casa».
Insomma, un piccolo mondo antico, dove il turismo di massa non è ancora arrivato, «scoraggiato anche dal fatto che l’isola è piuttosto impervia, faticosa», ma dove la volontà può tutto: «C’è anche una piccolissima produzione di vino, destinata a uso privato, locale: nella parte più interna dell’isola, che chiamiamo “montagna”, ci sono le “lenze”, fazzoletti di terreno strappati alle pendici scoscese e destinati alla vite. L’uva che se ne ricava viene ancora pigiata con i piedi, per ottenere un vino forte, davvero particolare».
Un vino che non è per tutti come non è per tutti la scelta di vivere in un’isola lontana, dove a volte ti capita di pensare «che il mondo sia tutto qui, su questo angolo di terra in mezzo al mare».
Si ringrazia Marguerite de Tavernost per le fotografie.