A tutto gas naturaleIl ruolo di primo piano del biometano nella decarbonizzazione dei trasporti

I combustibili organici possono contribuire a ridurre l’inquinamento generato dalla filiera dell’automotive, grazie a tecnologie attualmente disponibili su scala industriale e a soluzioni innovative. La fattibilità economica di queste ultime dipenderà da politiche favorevoli allo sviluppo di un mercato di sostituti verdi

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Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul numero 61 di We – World Energy, il magazine di Eni

Da anni il ruolo dei biocarburanti nella decarbonizzazione dei trasporti è oggetto di intenso dibattito in Europa e il continente si sta rapidamente muovendo verso soluzioni non basate sul carbonio quali le energie rinnovabili (solare, eolico) e l’idrogeno verde, mentre altre regioni del mondo valutano la possibilità di combinare biocarburanti sostenibili in configurazioni ibride efficienti, come nel caso dei veicoli elettrici ibridi plugin (PHEV, Plug-in Hybrid Electric Vehicle). Ma il nemico della transizione verde è l’anidride carbonica fossile rilasciata nell’atmosfera, non il carbonio biogenico sostenibile. 

La maggior parte del potenziale bioenergetico inutilizzato risiede in catene di valore che vanno oltre la tecnologia in sé, anche se ovviamente resta un grande margine per lo sviluppo e il miglioramento di processi e tecnologie: in quasi tutti i settori vi è ampia possibilità di aumentare le prestazioni in termini di gas serra e generare co-benefici con la riduzione delle emissioni di anidride carbonica.

Il biometano è certamente una delle scelte migliori per attuare una transizione verde che abbia un alto potenziale di produzione e diffusione, che rispetti l’ambiente e crei nuove opportunità. Lo studio “Development of outlook for the necessary means to build industrial capacity for drop-in advanced biofuels” è stato commissionato nel 2023 dal General Directorate on Research and Technology Development (DG RTD) della Commissione Europea, allo scopo di indagare i mezzi necessari alla costruzione di capacità industriale per i biocarburanti drop-in avanzati.

La ricerca è stata condotta da un team di esperti della società greca Exergia, coordinatrice del progetto, dell’austriaca BEST, dell’Università di Wagenignen (Paesi Bassi) e di E3Modelling (Grecia), riuniti sotto la direzione scientifica del Politecnico di Torino. Secondo lo studio, il potenziale maggiore in termini di tipologia e disponibilità di feedstock, al 2030 come anche al 2050, è rappresentato dalle biomasse agricole, seguite dalle biomasse da silvicoltura, i rifiuti organici e i residui agroalimentari: tale conclusione sottolinea ulteriormente l’importanza di catene del valore agricolo sostenibili che valorizzino non solo i residui ma anche le pratiche di gestione agricola sostenibile quali la rotazione delle colture, la non lavorazione del terreno o la riduzione della sua lavorazione, eccetera. 

I volumi effettivi varieranno secondo il livello di mobilitazione della biomassa raggiunto. Inoltre, l’analisi ha rivelato il potenziale ruolo del biometano, in particolare quello ottenuto da residui quali il letame, molto abbondante nell’Unione Europea, per la generazione di biometano avanzato secondo le definizioni dell’Allegato IX della RED II e successive modifiche.  È opportuno sottolineare che questo percorso per i biocarburanti vanta un alto livello di

maturità tecnologica (Technology Readiness Level, TRL). Tuttavia, date le altre misure legislative dell’Ue, è probabile che il settore dei trasporti si trovi a poter sfruttare solo parzialmente il grande potenziale del biometano da feedstock avanzato: il piano RE-Power EU pone per il 2030 l’obiettivo di trentacinque miliardi di metri cubi di biometano l’anno come alternativa sostenibile al gas fossile, e di conseguenza, lo studio della DG RTD ipotizza che solo il cinque o dieci percento del volume stimato sarà allocato al settore dei trasporti.

Il Gas for Climate Report stima un potenziale di trentotto miliardi di metri cubi l’anno, leggermente superiore a quello indicato dal RePowerEU: i feedstock principali di questo potenziale sono il letame (trentatré per cento), i residui agricoli (venticinque per cento), le colture sequenziali (ventuno per cento), e le acque reflue industriali (oltre il dieci per cento).

Il Report considera fattibile una produzione complessiva di novantuno miliardi di metri cubi l’anno nei ventisette paesi membri dell’Ue, quantità in cui avrebbero un ruolo di primo piano le colture sequenziali (quarantasette per cento), seguite da letame (diciannove per cento), residui agricoli (diciassette per cento), e acque reflue industriali (più del dieci per cento). A tal proposito, un caso esemplare di approvvigionamento di feedstock sostenibile è il Biogas Done Right Model, ampiamente diffuso tra gli agricoltori italiani: il modello utilizza

colture sequenziali e residui (per esempio letame) come input principale per generare biometano avanzato, producendo contestualmente, grazie all’implementazione di pratiche agricole sostenibili, sostituti organici (digestati, nutrienti) che sostituiscono i fertilizzanti fossili.

A fronte di questo considerevole potenziale e della possibilità di adottare pratiche agricole sostenibili, la domanda di gas naturale non pare particolarmente elevata: nell’Ue, nel 2019 la quota di autovetture alimentate a gas naturale era lo 0,5 per cento del totale, uguale a quella degli autoveicoli leggeri, la quota degli autobus era dello 0,7 per cento e quella dei veicoli medi e pesanti lo 0,4 per cento. Quindi, la domanda è se vi siano altri modi per sfruttare il potenziale del biometano sostenibile nei trasporti.

Il biometano può anche essere considerato un vettore energetico: ciò quando vi siano infrastrutture sufficienti che consentano di iniettarlo nei gasdotti da più unità di digestione anaerobica per poi raccoglierlo (virtualmente nella medesima quantità) presso una raffineria centralizzata per la conversione in prodotti liquidi. Il sistema normativo esiste già (garanzie di origine, GO), come anche gli standard tecnici.

Naturalmente, vi è anche la possibilità alternativa di liquefare il biometano e trasportare il risultante gas naturale liquefatto (GNL). Questo schema necessita di tecnologie ad alto TRL (come Fischer-Tropsch, Gas-to-Methanol, fermentazione del gas) capaci di generare carburanti per l’aviazione e per il trasporto marittimo, oltre che per il trasporto su gomma, diversificando e ampliando il portafoglio dei feedstock sostenibili.

Il potenziale di biometano stimato potrebbe quindi contribuire in modo importante a rispondere alla domanda di carburanti: entro il 2030, nell’Ue i metodi Gas-to-Liquids (GTL) potrebbe soddisfare dal quattro all’undici percento della domanda di carburante per jet e dal venticinque al ventisei per cento della domanda di carburante marittimo.

Nel 2050, sempre nell’Ue, i metodi GTL potrebbero arrivare a coprire dal nove al venticinque per cento del fabbisogno di carburante per jet e dal quarantotto al centocinque per cento di quello di carburante marittimo. Quanto all’Italia, entro il 2030 il GTL potrebbe arrivare a soddisfare dal sette al diciotto per cento della domanda di carburanti per jet e dal sessantanove al centocinquantadue per cento di quella di carburante, ed entro il 2050 tale copertura potrebbe salire rispettivamente dall’otto al ventidue per cento e dal novantuno al centonovantotto per cento.

Nel settore dei trasporti il biometano potrà essere sfruttato con tecnologie di produzione e di utilizzo di scala industriale. Per potenziare il contributo di questo gas è opportuno prendere in considerazione nuovi metodi che contemplino sia l’uso diretto del biometano come GN e GNL sia soluzioni più innovative che integrino la digestione anaerobica con metodi di conversione termochimica e biochimica, anch’essi facilmente disponibili in quanto basati sulla conversione del CH4 in altri prodotti. La fattibilità economica di questi metodi dipende dai diversi fattori necessari allo sviluppo di un mercato dei sostituti verdi, e in particolare dalle politiche e dalle normative in materia.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul numero 61 di We – World Energy, il magazine di Eni

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