Prima dell’invasione russa dell’Ucraina del 2022, il destino e lo scopo delle truppe Nato nei baltici e dei difensori del Baltico erano chiari: morire. L’ostacolo baltico, come era noto, non avrebbe mai potuto tenere a bada un’invasione russa di molte volte superiore al suo numero. I piccoli contingenti di truppe statunitensi, britanniche, francesi e di altri Paesi della Nato dovevano garantire che la loro morte avrebbe trascinato i loro Paesi nel conflitto, portando infine alla liberazione dei baltici, proprio come la liberazione dell’Europa occidentale durante la Seconda Guerra Mondiale.
Non è più così. Durante la guerra in Ucraina, si sono verificati due eventi significativi che hanno mostrato chiaramente l’ingenuità di questo pensiero e le conseguenze che avrebbe avuto per l’Europa. Il primo motivo per cui questa strategia non può e non sarà accettata dalle nazioni dell’Europa orientale si è reso evidente durante la prima controffensiva ucraina, quando sono stati liberati i villaggi della regione di Kyjiv.
Fino a quel momento le forze russe erano considerate un esercito moderno che agiva come “liberatore” e lasciava i non combattenti generalmente da soli. I massacri a Bucha e in altri luoghi hanno rivelato che i crimini di guerra non sono solo un evento regolare, ma anche una tattica deliberata utilizzata per costringere la popolazione locale a sottomettersi alle autorità russe.
Dopo i ritrovamenti delle fosse comuni a Bucha, i Paesi baltici hanno deliberatamente preso posizione sul fatto che l’occupazione di parti o dell’intero Paese, anche per un breve periodo, non è accettabile, costringendoli a riscrivere i piani che prevedevano un’occupazione su larga scala. Le atrocità commesse a Bucha hanno segnalato alla Nato che un’occupazione, anche breve, potrebbe portare a conseguenze impensabili per i civili.
Un cambiamento più ampio nel pensiero della strategia della Nato è avvenuto nell’estate del 2023. Mentre la tanto attesa controffensiva ucraina si arrestava dolorosamente, la leadership della Nato è stata costretta ad ammettere che la strategia di attacco rapido e snello impiegata in Iraq e in Afghanistan non era in alcun modo compatibile con un nemico grande ed esperto come la Russia.
Riprendere alla Russia aree come quelle baltiche non può essere fatto con attacchi rapidi e indolori. Se la Nato dovesse perdere i Paesi baltici, potrebbe ritrovarsi coinvolta per anni in una terribile guerra di trincea che distruggerebbe tutto ciò che incontra sul suo cammino, molto più simile alla battaglia della Somme che alla guerra Blitzkrieg. L’attuale Nato, con i suoi eserciti relativamente piccoli ed estremamente specializzati, non è tagliata per questo tipo di conflitto, a differenza dell’Ucraina o della Russia.
Poiché questi errori di calcolo sono diventati evidenti, la strategia della Nato sta cambiando, anche se lentamente. La presenza avanzata della Nato è cresciuta fino a raggiungere numeri tali da avere l’effettiva capacità di cambiare l’esito di un’eventuale invasione, con alcune unità che sono state persino incorporate nelle catene di comando degli eserciti baltici.
Il cambiamento più grande sta avvenendo nei Paesi baltici, dove si è deciso che l’unica opzione è quella di non fare un passo indietro. Se la guerra arriva nel Baltico, la difesa deve iniziare e finire sul confine, lungo il quale si stanno costruendo le fortificazioni. A maggior ragione, il nemico, se possibile, deve essere sconfitto sul proprio territorio, colpendo le unità di retrovia.
Le forze di difesa, che già comprendono una grande parte della popolazione, nei Paesi baltici stanno aumentando il proprio numero. Anche con un numero maggiore di alleati nei baltici, la maggior parte del sangue versato per l’Europa sarà sangue baltico, in volumi che potrebbero portare quei Paesi sull’orlo del collasso.
Questi Paesi potrebbero essere sull’orlo del collasso, ma se non cadranno almeno avranno ancora una possibilità. Sebbene questo cambiamento di strategia comporti sacrifici più pesanti per i Paesi baltici, resta l’unica strada per garantire la loro sopravvivenza contro un nemico non disposto a fare un passo indietro.