Ministro disperatoL’austera verità di Giorgetti fa a pugni con le bugie del governo

Il titolare dell’Economia ha dovuto ritrattare sull’annuncio di nuove tasse per colpa della premier, di Salvini e di Tajani che non vogliono guardare in faccia la realtà dei conti pubblici. In un Paese normale si sarebbe dimesso

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Giancarlo Giorgetti, nella sua lunga esperienza ministeriale e di governo, ha minacciato tante volte le dimissioni, ma non le ha date mai. Chissà se farà la stessa mossa quando, a un certo punto dello scontro dentro la maggioranza, dovrà tirare una linea sopra le richieste dei partiti e resistere al loro malcontento. Magari ha cominciato a minacciarle l’altro ieri, quando ha dovuto correggere il tiro sull’annuncio di nuove tasse e di sacrifici per tutti, perché i conti nella legge di bilancio devono quadrare.

L’avvertimento lo ha lanciato due giorni fa in un’intervista rilasciata a Bloomberg, un’agenzia cosiddetta “market sensitive”, e ascoltata da una platea di manager e imprenditori. Tutto con le borse ancora aperte e il conseguente tonfo dell’1,5 per cento. Quando l’agitazione e la sorpresa di Palazzo Chigi (Giorgia Meloni non sapeva nulla dell’intervista) è arrivata alle stelle, alimentata dallo sconcerto di Antonio Tajani e Matteo Salvini, il ministro dell’Economia ha fatto una ritirata strategica. Mandando in cortocircuito le forze del centrodestra che hanno sempre avuto successo seguendo la lezione di Silvio Berlusconi: mai parlare di tasse, semmai diminuirle.

Ma per trovare una decina di miliardi dei circa ventidue necessari nella legge di bilancio c’è poco da fare se non tagliare le spese o aumentare le tasse. C’è un programma di rientro del debito pubblico, promesso a Bruxelles, che ci vincolerà a passare sotto sette forche caudine. Tutto questo trascina nel discorso pubblico la parola impronunciabile nel centrodestra: austerità. Una bestemmia che poteva pronunciare Mario Monti e hanno dovuto pronunciare i premier che lo hanno succeduto, ma mai gli attuali governanti, in particolare Meloni e Salvini che contro il rigore hanno costruito il loro successo elettorale.

Giorgetti invece è un discepolo di Mario Draghi e non ci pensa lontanamente di abolire la legge Fornero sulle pensioni. Nonostante il leader del suo partito in campagna elettorale aveva promesso di abrogare quella legge una volta arrivata al governo, e se non l’avesse fatto, ognuno sarebbero stato autorizzato a prenderlo a pernacchie. Anche Meloni, sempre in campagna elettorale, si era esibita in varie promesse roboanti. In uno spettacolare video, si vede lei che allunga 50 euro al benzinaio ma questo le dice che a lui spettano solo 15 euro: gli altri 35 se li prende il suo socio, un tipo con gli occhiali neri che mostra una borsa nera con su scritto FISCO, il quale incassa l’accise. Adesso questo governo intende aumentare quella sul gasolio ma lo zuccherino è il verbo “rimodulare”, cioè equiparare il diesel alla benzina. Come cambiasse la sostanza delle cose.

Allora Giorgetti ha detto esplicitamente quello che bolle in pentola, poi ha frenato. Così dottor Jekyll è stato costretto a smentire Mr Hyde. Ora, in un Paese normale, un ministro che dice quelle cose davanti a operatori economici internazionali, e poi deve fare una piroetta su questioni di tale portata, dovrebbe dimettersi. Ma in Italia ci si dimette per questioni di donne. Vedremo se Giorgetti tornerà a minacciare le dimissioni nel momento in cui affonderà gli artigli sul suo presunto capo leghista e su Tajani, contrari a qualsiasi aumento delle tasse.

Il ministro è disperato, cerca le coperture per la legge di bilancio e tutti al vertice del governo sanno di non avere scampo e allora devono gettare tante zolle di zucchero nell’amaro calice. E via con i concordati preventivi e relativi condoni fiscali, con il decreto per le piccole sanatorie edilizie, una spolverata di porporina securitaria. Tutto per nascondere che le ricette elettorali della destra in campo economico non funzionano.

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