Pogrom e tulipaniI responsabili della caccia all’ebreo non sono solo ad Amsterdam

L’episodio di antisemitismo militante nella capitale dei Paesi Bassi è figlio del contesto creato da coloro che per mesi hanno parlato di «genocidio», «pulizia etnica», «bombardamenti indiscriminati» da parte di Israele verso Hamas

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Non si può fare una lista di proscrizione solo per ragioni di spazio. Non è abbastanza per elencare i responsabili del pogrom dell’altra sera ad Amsterdam, la città del Paese in cui siedono le Corti giudiziarie istigate a incriminare Israele e i suoi rappresentanti sulla base di accuse assurde e montagne di falsità messe insieme dagli uffici stampa dei macellai del 7 ottobre.

I responsabili della realizzazione in condotta della chiamata alla caccia all’ebreo sono quelli che per mesi hanno parlato di «genocidio». Quelli che per mesi hanno parlato di «pulizia etnica». Quelli che per mesi hanno parlato di «punizione collettiva». Quelli che per mesi hanno parlato di «bombardamenti indiscriminati». Quelli che parlavano di trentamila civili uccisi quando Hamas parlava di trentamila uccisi. Quelli che parlavano di quarantaduemila civili uccisi quando Hamas parlava di quarantaduemila uccisi. Quelli che parlavano di quarantamila uccisi «al novanta per cento civili». Quelli che parlavano di «cinquecento morti in un raid israeliano su un ospedale», quando erano dieci volte meno e non c’era nessun raid israeliano, ma un razzo palestinese, uno dei tanti lanciati contro i civili israeliani e invece finiti sui palestinesi.

I responsabili del pogrom olandese sono quelli che qui da noi partecipavano al Pride Judenfrei, la sottovalutata vicenda del generale andazzo da Kristallnacht che però, uffa, quante storie, dopotutto c’era brava gente che manifestava per i diritti: compreso quello di contestare i gay ebrei che oltraggiavano le purezze arcobaleno con la Stella di David, perché la Costituzione antifascista della Repubblica antifascista fondata sulla resistenza antifascista ben deve consentire che un gay ebreo, pur ammesso a partecipare al Pride, si prenda le sue contestazioni se espone la bandiera che sventola sul tank genocidiario.

Sono responsabili della caccia all’ebreo per le strade di Amsterdam quelli che liquidavano al rango di una spiacevole inurbanità il gesto dell’energumeno che davanti a una scuola ebraica italiana aggrediva un vecchio e un bambino, gridandogli assassini e figli di puttana. Sono responsabili di quella scena anni Trenta quelli che assicuravano «pieno sostegno al segretario generale dell’Onu a fronte di pericolosi tentativi di delegittimazione», i fiancheggiatori del malvissuto secondo cui il 7 ottobre non veniva dal nulla. Sono responsabili del pogrom di Amsterdam quelli che sulle scene delle stelle gialle sulle case degli ebrei, della sinagoga incendiata, del memoriale di Parigi verniciato di mani rosse, del cimitero ebraico devastato, delle università imbandierate di Hamas, giudiziosamente annotavano che «criticare Israele non è antisemitismo».

Tutti questi sono personalmente e direttamente responsabili della mostruosità che va squadernandosi, ma una categoria in più si giustappone  – anche più colpevole  – in quel milieu di istigatori. È la categoria di quelli che non li ritengono responsabili. La categoria di quelli che, non riconoscendone la responsabilità, fanno anche peggio che assolverne la responsabilità.

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