Tutto ha avuto inizio con Artissima, che a trent’anni dalla sua nascita si conferma la prima fiera del contemporaneo in Italia. Per quell’occasione Torino si prepara a offrire a visitatori e visitatrici il meglio di sé e i musei inaugurano le esposizioni in calendario fino ai primi mesi del nuovo anno. Sono molte, ma abbiamo scelto tre luoghi simbolo del contemporaneo a Torino per un piccolo viaggio nell’arte del presente. Tre mostre densissime, tre musei che raccontano la storia della città, tre tappe di un tour nel capoluogo piemontese, lungo due giorni. Già, il tempo: è essenziale. Occorre prenderselo e dedicarlo alle immersioni in mondi per niente scontati, come quelli in mostra.
Pinacoteca Agnelli/Pista 500. Sul tempo c’è chi gioca con grande maestria. È Salvo, artista cui è dedicata una monografica alla Pinacoteca Agnelli, dal titolo Arrivare in tempo, visitabile fino al 25 maggio 2025. Un gioco intrigante che ben racconta lo spirito del pittore amico di Alighiero Boetti e con lui grande viaggiatore, ma soprattutto giocoliere della storia e della teoria dell’arte, così come di una pratica artistica molto ricca. L’esposizione – curata da Sarah Cosulich e Lucrezia Calabrò Visconti – si apre su un anno particolare, il 1973. È ancora il tempo a giocare con lui perché in quello stesso anno il pittore siciliano ma torinese di adozione espone in due gallerie: la John Weber Gallery di New York e la Galleria Toselli a Milano. Ma il Salvo esposto non è lo stesso: New York sceglie il suo ormai collaudato lavoro concettuale in stretta connessione con l’arte povera, esponendo collage e fotomontaggi del volto di Salvo su immagini della stampa periodica per una riflessione sull’autorappresentazione.
Milano invece ha il coraggio di accogliere un nuovo Salvo, l’artista della pittura. A questa tecnica dedicherà il resto della sua vita, e qui l’artista si presenta con due grandi tele, un San Giorgio e il Drago e un San Michele. Ma il volto dei protagonisti è di nuovo quello del pittore. Se fino ad ora la mostra da Toselli del 1973 era stata letta come spartiacque tra due mondi antitetici, questa volta ne emerge la continuità, forse l’inevitabile – per l’artista –, confluire dell’uno nell’altro. Si arriva in tempo, in effetti, per capire la profondità della sua ricerca artistica. Arrivare in tempo è un titolo che ha una storia: per le curatrici indica la metodologia pittorica di Salvo nel cercare l’essenziale da trasporre su tela, ma gioca anche con l’inattualità (presunta) del suo fare artistico rispetto alla scena dell’arte in cui operava. Poi c’è un aneddoto che forse più di tutto ha guidato la scelta curatoriale: Salvo racconta in una lettera al suo amico scrittore Giuseppe Pontiggia di aver fatto un piccolo incidente in auto perché correva cercando di arrivare in tempo per vedere il tramonto. Otto tematiche, tre piani della pinacoteca e più di centosettanta opere realizzano, in stretta collaborazione con l’Archivio Salvo, un ritratto eccezionale dell’artista.
La Pinacoteca Agnelli si trova dentro gli spazi del Lingotto, luogo di produzione delle automobili Fiat e cuore di una lunga storia operaia torinese che si svela soprattutto sul tetto dell’edificio, adibito a pista di collaudo delle 500. Un luogo da visitare: sa di metafisica e di una follia creativa straordinaria. La lavorazione delle 500 partiva dal piano terra per essere completata all’ultimo piano, pronta per qualche giro di pista (con curve paraboliche) sul tetto della città. Solo le montagne superano in altezza quel territorio statico, pensato per sfidare la velocità. E ora accoglie l’arte contemporanea attraverso diversi linguaggi di artisti internazionali come per esempio Dominique Gonzalez-Foerster, che ha inaugurato la sua opera nel maggio scorso ed è ancora visibile su una delle due curve della pista. A dialogare con lei, sull’altra curva, è Monica Bonvicini, che ha appena svelato al pubblico Come Run With Me, la sua opera al neon che parla di cambiamento, libertà e velocità. Ma racconta anche di come l’architettura sia un medium e un progetto sociale connesso strettamente alla cultura e alla politica che la produce.
A parlare di medium è poi Chalisée Naamani con My Mother Was My First Country, vincitrice del premio Pista 500 ad Artissima 2023. Su un cartellone pubblicitario di grandi dimensioni l’artista franco-iraniana svela i tic della società occidentale a partire dal mezzo di comunicazione: uno spazio che veicola messaggi politici esattamente come merceologici. In scena, la donna e il suo essere madre in un continuo sovrapporsi di piani tra la storia dell’arte, i ruoli sociali e i diritti civili, narrati in prima persona dall’artista, che lancia anche un messaggio chiaro: “Make Europe Antifascist Again”.
Castello di Rivoli. Si intitola Mutual Aid ed è visitabile fino al 23 marzo 2025. La mostra curata da Francesco Manacorda e Marianna Vecellio approfondisce il tema dell’arte in collaborazione con la natura, e considera coautori – insieme agli artisti –, anche agenti non umani. Una collaborazione inter-specie, che si ispira al pensiero dello scienziato Pëtr Kropotkin (1842–1921). Il suo saggio Il mutuo appoggio. Un fattore dell’evoluzione contrasta la teoria di Charles Darwin, ipotizzando che, in uno scenario instabile e con risorse limitate, la migliore opzione di sopravvivenza sia la collaborazione tra specie. Il “mutuo appoggio” diventa il punto di partenza di questa riflessione che si sviluppa attraverso le esperienze di oltre venti artisti (e i loro collaboratori non umani).
Vivian Suter presenta le sue tele pittoriche finite dagli agenti viventi della foresta amazzonica, inclusi quelli atmosferici, e accanto a lei prendono posto gli alberi della serie Alpi Marittime, di Giuseppe Penone. Questi ultimi raccontano di uomo e natura, e di un incontro che si radica nella memoria e nel tempo con il bellissimo Trattenere 24 anni di crescita. Il nucleo storico si completa con il lavoro di Agnes Denes, la pioniera della Land Art, che espone due opere. Il viaggio è molto denso: comprende – tra gli altri – Tomàs Saraceno con le sue ragnatele, architetture meravigliose sotto teca; Maria Tereza Alves con i suoi progetti di coabitazione per gli animali presenti in una piccola località del Monferrato, in Piemonte; e la conturbante installazione di Nour Mobarak dal titolo Gods’ Facsimiles, in cui rievoca il mito di Dafne e chiede la collaborazione del micelio del fungo Trametes versicolor, che agisce trasformando le sculture in organismi viventi che mutano, si decompongono e si ricompongono.
Qualcosa di simile succede alle sculture lignee di Aki Inomata, che riprende il lavoro dei castori e lascia completare il processo a microrganismi interni al legno. E poi ci sono pensieri sulla fermentazione, sulla creazione artigianale (di microorganismi) e sul modificarsi delle pietre, per giungere alla penultima sala: un corridoio strettissimo di pareti specchianti reinterpreta il corridoio di Bruce Nauman e cela un susseguirsi di piante compresse in uno spazio troppo piccolo e illuminato al neon nell’opera di Henrik Håkansson, che fa da contraltare a The sun eats her children, di Precious Okoyomon: una giungla distopica che diventa urlo contro ogni forma di schiavitù. La Manica Lunga del Castello di Rivoli è una struttura architettonica edificata nella prima metà del 1600 da Amedeo e Carlo di Castellamonte su richiesta di Carlo Emanuele I. Al tempo collegata con il corpo centrale dell’Edificio Castello, la Manica Lunga era destinata a ospitare la pinacoteca ducale, un luogo bellissimo e ristrutturato in maniera interessante, da vedere.
MAO – Museo Arte Orientale. Ci sarebbe moltissimo da dire su questo museo perché ospita una collezione d’arte orientale recepita secondo criteri ottocenteschi in un edificio antico, adibito a spazio museale una quindicina di anni fa. Il discorso riguarda la selezione degli oggetti e la loro provenienza in rapporto al gusto occidentale dell’epoca. Ma soprattutto riguarda il direttore attuale del museo, Davide Quadrio, che ha un’idea di curatela decisamente interessante e radicale. Occorre rendere contemporaneo il patrimonio museale attraverso una serie di mostre temporanee, che hanno l’obiettivo di instaurare un dialogo con il pubblico, con la collezione, con altri artisti, e con il presente.
Perché il MAO diventi strumento di approfondimento di mondi asiatici inesplorati, ora mette in scena Rabbit Inhabits the Moon. L’arte di Nam June Paik allo specchio del tempo, visitabile fino al 23 marzo 2025; un lavoro corale che presenta pezzi cult dell’artista coreano, come l’opera che dà il titolo alla mostra, oppure Ecce homo, lavoro d’ispirazione leonardesca composta da vecchi apparecchi radio e tv, i suoi video del periodo Fluxus e le sue sperimentazioni con il violoncello insieme all’artista Charlotte Moorman, ma anche elementi della collezione MAO e opere di artisti coreani contemporanei, inclusa la dimensione performativa.
Prendendosi il tempo necessario si può visitare anche il resto del museo, che ospita l’esposizione permanente insieme alle opere del progetto Declinazioni contemporanee, opere di artisti in residenza e poi esposte, dove si possono vedere i bellissimi (e intensi) arazzi di Marzia Migliora e le mappe onirico-immaginifiche di Qui Zhijie. Di questo palazzo si hanno notizie sin dal 1587 e la sua storia è strettamente legata a quella dei suoi proprietari, le famiglie Solaro della Chiusa (derivati dai Solaro di Moretta) e Solaro della Margarita. Cambi di uso e passaggi di proprietà conducono fino alla cessione del palazzo alla città di Torino che nei primi anni Ottanta del secolo scorso ne fa la sede dei propri Uffici Giudiziari. Tra il 2004 e il 2008 il palazzo vede la sua ultima grande trasformazione per diventare l’attuale Museo d’Arte Orientale.