Questo è un articolo del nuovo numero de Linkiesta Etc dedicato al tema della nostalgia, in edicola a Milano e Roma, e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia. E ordinabile qui.
Una giovane coppia passeggia per strada e a un tratto, nel mezzo della folla, si scambia un romantico bacio. Il bacio più famoso della storia della fotografia, Le Baiser de l’Hotel De Ville di Robert Doisneau. Durante la breve intervista realizzata a Carole Mills Noronha scopro che proprio questa è la prima fotografia ad avere avuto un grande impatto su di lei. Tanto che da adolescente ne ha comprato una grande stampa per appenderla nella sua camera. La capacità di Doisneau di catturare i momenti quotidiani fatti di scorci belli, tristi, divertenti ed emotivi spira Carole. La fotografa però lega questa tensione verso il quotidiano a un’esperienza emotiva travolgente e inizia a scattare That Place he Goes, un diario personale che racconta, giorno dopo giorno, la vita quotidiana del padre Harold, che soffriva di demenza vascolare e di Alzheimer.
Con questa malattia il passato diventa l’unico presente possibile: il peggiorare della malattia fa resistere solo i ricordi più profondi che progressivamente si nascondono. Tutte le fotografie che le persone scattano e conservano sono come specchi della memoria e, come talismani, trattengono lo svanire del tempo che avanza. Le fotografie degli album di famiglia ricordano momenti e luoghi significativi, persone dimenticate, segreti, aneddoti e possono essere una vera terapia della reminiscenza atta a stimolare la memoria autobiografica mediante la rievocazione di eventi ed esperienze passate migliorando la qualità della loro vita.
«Come fotografa, mi propongo di creare fotografie oneste, tenere, crude e intime, che nascono dall’amore, dal rispetto e dal bisogno di raccontare la storia di un altro». La fotografa utilizza l’obiettivo per aprire le finestre della mente del padre. Lo fa con tutto l’amore e la tenerezza possibile. Il suo non è uno scopo terapeutico, ma l’effetto che ne trae è una terapia che per gli ultimi tre anni di vita del padre le permette di rimanere in contatto, seppur breve, con le emozioni e il ricordo.
«Ho fotografato mio padre per registrare la sua vita. Con il progredire della demenza e dell’Alzheimer, le mie fotografie sono diventate la prova visiva dei momenti che mio padre non era in grado di ricordare. Le visite in ospedale o in famiglia, i pasti insieme e i momenti di ordinaria quotidianità erano ricordi che rivivevamo insieme. Più foto scattavo, più mi sembrava di catturare parti di lui mentre scomparivano. La sua mente si stava erodendo davanti ai miei occhi e ho affrontato la sua perdita registrando la sua vita».
Le fotografie di Carole sono diventate storia quotidiana: «Spesso aprivano ricordi nella mente di papà. Luoghi in cui era stato. Finestre nella sua mente. Le mie fotografie lo facevano sorridere, rivivere la sua infanzia con assoluta chiarezza, come fosse ancora quel bambino. Sono diventate delle ancore per il presente, mentre papà si affievoliva sempre di più nel luogo in cui la demenza lo portava. Le fotografie, come ricordi perduti, per non dimenticare».