La Cop29 (Conference of Parties, la riunione annuale dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, Unfccc) si è conclusa il 24 novembre a Baku, in Azerbaijan, il Paese ospitante dell’edizione 2024. Come per la Cop28, che si era tenuta nel 2023 negli Emirati Arabi Uniti, la sede della conferenza ha suscitato i primi malumori da parte di attivisti e non solo, essendo l’economia azera per larga parte basata sull’utilizzo ed esportazione di combustibili fossili: ma anche quest’anno si è cercato di andare oltre questo primo ostacolo, essendo solo il primo – e di certo il meno importante – di molti.
Dove eravamo rimasti? Lo scorso anno i sistemi alimentari sono stati centrali per la Cop28, che ha raggiunto l’obiettivo di approvare una dichiarazione su agricoltura sostenibile, sistemi del cibo resilienti e azione climatica (UAE Declaration on Sustainable Agriculture, Resilient Food Systems, and Climate Action), in cui 162 leader mondiali si sono impegnati a inserire obiettivi relativi alle emissioni collegate alla filiera agroalimentare all’interno dei target di riduzione delle emissioni generali entro novembre 2025. Prima dell’inizio della Cop29, e a un anno dalla data di riferimento, circa quaranta Paesi avevano effettivamente fatto seguire le azioni alle parole.
Come tutto ormai sia interconnesso con il clima e di conseguenza con il cambiamento climatico è ormai evidente: che Pedro Sanchez, il primo ministro spagnolo, abbia parlato a Baku solo qualche giorno dopo la tragedia che ha colpito Valencia non è una coincidenza, ma uno dei tanti segnali che il pianeta sta mandando. Che i sistemi alimentari siano – o meglio dovrebbero essere – in prima fila quando si parla di contrasto all’emergenza climatica è meno scontato, ma quanto mai necessario: rappresentano un terzo delle emissioni che causano la crisi climatica, dovute soprattutto all’agricoltura e agli allevamenti intensivi, e nonostante ciò ricevono circa il quattro per cento della finanza climatica, obiettivo e tema principale di questa Cop29. Uno squilibrio che riflette una mancata priorità politica, con implicazioni dirette sulla sicurezza alimentare e sulla capacità di mitigare i cambiamenti climatici.
Non è infatti solo una questione di emissioni, ma di un ciclo che coinvolge i cittadini del mondo su più fronti: per produrre cibo tramite allevamenti e colture intensive l’ecosistema viene distrutto, contribuendo allo stesso tempo a innalzare il livello di gas effetto serra nell’atmosfera, che causano alterazioni nel clima ed effetti atmosferici estremi, arrivando ad impattare direttamente nei nostri negozi e supermercati. È uno dei punti che ha sollevato Simon Stiell, capo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e a tutti gli effetti organizzatore delle Cop, nel suo messaggio di apertura dei lavori, tracciando una linea diretta tra crisi climatica e sistemi alimentari. Se intere regioni agricole in Colombia, Madagascar o Spagna vengono spazzate via non sono solo gli abitanti di quel Paese a subirne gli effetti, ma anche le nostre tavole, perché quando c’è scarsità di un prodotto – soprattutto se non pianificata – ma la domanda rimane inalterata, l’unico risultato che può derivarne è un aumento dei prezzi lungo tutta la filiera.
La Cop29 ha scontentato quasi tutti i partecipanti un po’ su tutti i fronti: nel documento finale, a cui si è arrivati in extremis tra sabato 23 e domenica 24 notte, si parla sì di 1.300 miliardi di dollari che i Paesi in via di sviluppo colpiti dalla crisi climatica dovrebbero ricevere per far fronte alle emergenze, ma è più un “vorrei ma non posso” che un vero e proprio impegno. La cifra vincolante è stata fissata a trecento miliardi di dollari l’anno, da raggiungere in modo crescente entro il 2035. Un’inezia in confronto alle richieste di partenza iniziali che si aggiravano più intorno al trilione che alla sua metà. Una base da cui puntare più in alto, se si vuole essere ottimisti, viste le premesse con cui la conferenza è iniziata, una su tutte la rielezione di Donald Trump. Replicherà le scelte del suo primo mandato, con l’uscita dall’Accordo di Parigi tra le sue prime decisioni da presidente? E come impatterà i negoziati sul clima il fatto che uno dei principali Paesi, sia per emissioni che per ruolo nel supportare la finanza climatica, si tira fuori? Domande per la prossima Cop, o forse no: a febbraio gli impegni dell’Accordo di Parigi – dieci anni dopo – vanno ratificati.
Intanto, alla Cop29 i sistemi alimentari sono stati protagonisti di 133 iniziative e oltre mille eventi dedicati (dati EIT FOOD), ma alla fine del giorno, o meglio della conferenza, gli impegni vincolanti non riflettono neanche lontanamente il numero di dibattiti sull’argomento:
- La Presidenza della Cop29, insieme alla Fap, ha lanciato la Baku Harmoniya Climate Initiative for Farmers, che ha l’obiettivo di riconoscere l’importante contributo che agricoltori e allevatori possono dare alla lotta contro il cambiamento climatico.
- La Danimarca è stato il primo Paese al mondo a impegnarsi a tassare le emissioni derivate dall’agricoltura.
- 35 Paesi (no, l’Italia non è tra questi, ma sette su dieci dei Paesi che registrano i volumi più alti di emissioni di metano sono tra i firmatari) hanno sottoscritto la dichiarazione sulla riduzione del metano dai rifiuti organici, impegnandosi a definire una roadmap precisa per contrastare le emissioni di quello che è uno dei gas ritenuti più nocivi per l’ambiente.
E ora? I riflettori, se così si possono chiamare, si spengono sulla Cop di Baku, ma l’orizzonte a cui tendere è chiaro: la Cop30 nel 2025, anno topico a dieci anni dagli accordi di Parigi, ma simbolo anche e soprattutto per il luogo in cui la conferenza si terrà, in Amazzonia, forse una delle zone più colpite al mondo dalla deforestazione. Per fare spazio ad allevamenti intensivi. Per produrre più cibo a prezzo basso.
La Cop29 ha lasciato molti interrogativi e poche certezze: con la Cop30 in Amazzonia, una regione simbolo sia della devastazione ambientale che del potenziale di rigenerazione, il mondo avrà un’ultima opportunità per dimostrare che le parole possono davvero trasformarsi in azioni concrete.