Che le trattative finali di Cop29 non stessero andando nella direzione giusta è stato chiaro a tutti quando l’inviato per il clima degli Stati Uniti, John Podesta, uscendo dalla sala dei negoziati sulla finanza, è stato accolto con serie di grida di «vergogna». Pochi minuti prima, la coalizione dei Paesi più poveri del sud globale aveva abbandonato la stanza dei colloqui.
US climate envoy John Podesta heckled with cries of “shame” after climate vulnerable countries (temporarily?) walk out of finance talks #COP29 https://t.co/VnsmUcEE1L pic.twitter.com/bh8tmKEOf8
— Joe Lo (@joeloyo) November 23, 2024
Segnali che avevano fatto immaginare che a Baku la ventinovesima conferenza delle Nazioni unite sul clima sarebbe finita senza l’accordo sulla finanza. Invece, poi, nella notte azera tra sabato 23 e domenica 24 novembre, il presidente di Cop29, Mukhtar Babayev, ex dirigente della compagnia petrolifera Socar e attuale ministro dell’Ambiente dell’Azerbaijan, ha battuto il martelletto. L’accordo c’è.
L’intesa più importante di questo negoziato riguarda il nuovo obiettivo per la finanza climatica (New collective quantified goal, Ncqg): soldi indispensabili per la transizione e l’adattamento di Paesi che non hanno economie in grado di sostenere la spesa per risolvere un problema a cui non hanno contribuito.
Il vecchio pacchetto – cento miliardi di dollari all’anno entro il 2025 – è ora sostituito dalla decisione di mobilitare annualmente almeno trecento miliardi di dollari entro il 2035. A guidare gli investimenti – potranno essere sia pubblici, sia privati – saranno le Nazioni industrializzate.
La proposta di aumentare di tre volte il precedente obiettivo, che non ha mai raggiunto il goal annuale dei cento miliardi, è stata avanzata proprio dai ricchi: Unione europea, Stati Uniti, Giappone, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Un passo avanti del gruppo dei donatori che avevano inizialmente proposto la cifra di duecentocinquanta miliardi, ritenuta inaccettabile dal sud globale. «Stiamo triplicando l’obiettivo dei cento miliardi di dollari e riteniamo che sia ambizioso, necessario, realistico e realizzabile», ha detto il commissario europeo per il Clima, Wopke Hoekstra.
Una soluzione che lascia scontenti molti dei Paesi in via di sviluppo che hanno continuato a chiedere 1.300 miliardi di dollari l’anno, una cifra frutto di un’analisi fatta da tre degli economisti più esperti di clima al mondo (Amar Bhattacharya, Vera Songwe e Nicholas Stern). Ne tiene conto anche la presidenza azera, che nel testo dell’accordo inserisce la formula con cui «invita tutti gli attori a lavorare insieme per consentire l’aumento dei finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo per l’azione climatica, da tutte le fonti pubbliche e private, ad almeno 1.300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035».
Un mantra da ripetere almeno fino alla prossima Cop30, visto che per rendere più concreti questi 1.300 miliardi ed evitare il fallimento del vertice di Baku l’escamotage è stato inserire nel testo (paragrafo ventisette) una roadmap da Baku a Belém – città brasiliana che ospiterà il trentesimo negoziato – per portare avanti una serie di ricerche per capire come raggiungere l’obiettivo. La strada da fare, però, è decisamente lunga.
Se c’è, però, un risultato di cui la presidenza azera può essere soddisfatta è l’approvazione delle norme che regolano il mercato del carbonio controllato dall’Onu e fermo da dieci anni all’articolo sei dell’accordo di Parigi. In sintesi, a Baku è stato standardizzato il sistema che permette di ridurre le emissioni attraverso l’acquisto di crediti derivanti dalla realizzazione di progetti di decarbonizzazione.
D’altra parte, c’è il sospetto che la presidenza azera non abbia fatto abbastanza sul tema della mitigazione e dell’abbandono delle fonti energetiche fossili, visto che l’Azerbaijan ha un’economia trainata quasi esclusivamente dalla vendita di petrolio e gas. Nell’anno, il 2024, con una temperatura media superiore di 1,5 gradi rispetto a quella del periodo preindustriale, l’accordo di Baku sulla mitigazione e sull’implementazione del testo firmato alla Cop28 non fa alcun riferimento al limite di Parigi e neanche a quel transition away dai combustibili fossili, che solo un anno fa – alla Cop28 di Dubai – aveva parzialmente tenuto viva la speranza di salvare l’ecosistema di vivibilità umana sulla Terra.