Originario di Torino, classe 1974, Roberto Artusio inizia la sua carriera poco più che ventenne a Champoluc (nell’alta val d’Ayas, in Valle d’Aosta) nel bar Rimbaud, tuttora esistente e affacciato sulla via centrale del paese (ma con un nome diverso sull’insegna). All’epoca era gestito da Mario Gaillard, viaggiatore, esperto conoscitore di whisky e curioso esploratore di tutte le novità in fatto di alcolici. Qui scopre qualcosa di molto diverso rispetto ai drink stereotipati che imperversavano negli anni Novanta e che – a detta dello stesso Roberto – «hanno contribuito a rovinare la reputazione del tequila in Europa».
Dal Chupito e dal Tequila Bum Bum preparato con tequila mixto (prodotto con solo il 51% di agave, più sciroppo di canna da zucchero o altre sostanze zuccherine) o tequila gold (arricchito e colorato con del caramello), da gustare con una fetta di limone e sale sul bordo del bicchiere, al mitologico mezcal “con il verme” (erroneamente associato alla mescalina, una sostanza afrodisiaca e psichedelica contenuta in una particolare specie di cactus messicano), la lista è lunga. Nel 1998 un rappresentante di liquori gli fa assaggiare il primo tequila 100% agave introdotto sul mercato e lì prende vita la sua grande passione.
Tequila e mezcal – ne abbiamo parlato in maniera estensiva – si differenziano per il fatto che il primo può essere ricavato da un solo tipo di agave (agave Blue o Weber), mentre il secondo può essere ottenuto da più di cinquanta varietà diverse (tra le oltre duecento tipologie sparse sul territorio messicano), sia di origine selvatica sia di cultura selezionata, e in zone specifiche del Paese. Ma entrambi trasmettono il fascino di un prodotto ancestrale, autentico, antico ma sempre attuale, unico e al tempo stesso variato da centinaia di possibili caratteristiche conferite dall’aroma che ricorda la terra, il fuoco, la tradizione di un luogo sospeso tra le due Americhe.
L’ambizione all’internazionalità contemporanea si combina con l’attaccamento fiero alla propria identità atavica che, per esempio, mantiene vivo il culto di Mayahuel, la dea della fertilità ancora celebrata dai maestri mezcaleri ogni 21 ottobre con il Mezcal Day. Dal 1997, questa «cultura liquida» è protetta dal Consejo Mexicano Regulador de la Calidad del Mezcal (analogo ai nostri consorzi), e dal 2018 ha aperto un filo diretto con l’Italia grazie proprio a Roberto Artusio che, insieme al socio Cristian Bugiada, è stato insignito della fascia di Ambasciatore del Mezcal per conto del Consejo (unico caso in Italia su sei totali nel mondo).
Nel 2009 a Roma, insieme a Leonardo Leuci, Antonio Parlapiano e Alessandro Procoli, Artusio fonda il Jerry Thomas Speakeasy, un locale ispirato a quelli degli anni Venti e Trenta del secolo scorso, in cui si ballava e si beveva in barba al proibizionismo. La sua passione resta però quella per il viaggio, che lo porta – tra il 2014 e il 2016 – a compiere diverse trasferte in Messico e a percorrere migliaia di chilometri, per conoscere i ritmi, le abitudini, le tradizioni dei campesinos raccoglitori e coltivatori di agave. Si imbatte in produzioni ancora poco catalogate e studiate – quantomeno in Italia – come bacanora, raicilla, sotol e dalla fascinazione nasce nel 2016, a Roma, La Punta Expendio de Agave. Un vero e proprio tempio dedicato a mezcal, tequila e distillati messicani minori, che mette a disposizione di centinaia di persone circa ottocento etichette a tema. «Per costruire la nostra drink list abbiamo innanzitutto dovuto imparare a dire tanti “no” a chi si aspettava di trovare i grandi classici della miscelazione internazionale, per puntare sulla miscelazione sperimentale, ma quella scelta inizialmente provocatoria si è rivelata un punto di forza».
L’obiettivo del progetto è quello di estirpare questi stereotipi e far comprendere al pubblico quanto ogni prodotto (anche un semplice sciroppo d’agave) abbia una propria identità. Per far passare questo messaggio, Roberto ha coniato il termine agavigno (da vitigno): «Nel mondo esistono circa trecento varietà di agave, e quasi tutte crescono in Messico, dove ben cinquantadue sono utilizzate in distillazione. Parlare del mezcal come di un vino consente di ritrovare il concetto di terroir tipico dei vitigni, di acquisire la consapevolezza che di questo prodotto esiste una ricca tipologia e di valorizzare le peculiarità di ciascuno dei distillati derivanti dalle diverse aree del Messico».
Il sentore di affumicatura spesso riconosciuto come un carattere distintivo del mezcal non è un semplice vezzo bensì il retaggio di un passato in cui anche il Messico ha dovuto far fronte a diversi periodi di proibizionismo. Durante queste fasi si è continuato a distillare mezcal illegalmente, talvolta (soprattutto nel Sud del Paese) utilizzando il metodo di cottura dell’agave più antico, in forni conici scavati nella terra che, rispetto ai metodi più evoluti, conferiva al prodotto finito un inevitabile aroma affumicato. «In Messico – spiega Artusio – non ci sono regole troppo restrittive; si distilla a fiamma libera e si utilizzano alambicchi di diversi materiali, da quello filippino con una base di terracotta e la parte superiore in legno a quelli di terracotta, rame o acciaio», ciascuno dei quali conferisce al mezcal una sua caratterizzazione aromatica: «L’alambicco di rame trattiene alcune “impurità” e restituisce un distillato più “pulito” anche nel gusto, dalla terracotta invece si ottengono mezcal più spigolosi, pungenti ed esplosivi in bocca, con caratteristiche particolari che parlano del territorio».
Nel 2015 Roberto e soci hanno ampliato i loro orizzonti dedicandosi direttamente alla produzione della materia prima da utilizzare dietro il bancone. A una prima linea (La Punta) di prodotti realizzati con cinque produttori diversi di Jalisco, ne seguirà una seconda (La Vuelta de la Punta) ottenuta collaborando direttamente al processo di distillazione insieme ad altri cinque produttori selezionati. Nel settembre 2023 si è aggiunto alla lista anche Agavesito, uno sciroppo composto da un nettare di 100% di Agave biologica. Un prodotto studiato appositamente per la miscelazione a base agave e con un’elevata densità zuccherina da bilanciare con gli altri ingredienti del drink. In più, i tre soci hanno creato il progetto “Galacticos”: una proposta di bestseller classici e drink storici rivisitati con distillato d’agave, per far sì che i clienti possano abituarsi al nuovo gusto e iniziare a chiedere questa variante anche altrove.
«Il compito del barman oggi non è solo quello di servire buoni drink, ma anche quello di spiegare al consumatore il valore di determinati prodotti e il perché delle scelte effettuate dietro il bancone. Mentre un vino o un whisky invecchiano al sicuro, in botti e cantine, l’invecchiamento di un mezcal avviene “a terra” con il ciclo vegetativo della pianta (che può impiegare decine d’anni a maturare) ed è quindi molto più rischioso» racconta Roberto.
Un progetto, quello de La Punta, di vita e di business, che va al di là del cocktail bar, una missione che non può fare a meno di lunghe spedizioni in Messico alla ricerca di micro produttori, agavi selvatiche, tecniche ancestrali e che ogni anno cresce, alimentando un archivio liquido prezioso, e aperto al pubblico, cui tutti possono attingere.