Stesso passaporto, ma con due anime ben distinte, tequila e mezcal sono entrambi distillati di agave messicani, che hanno seguito due sviluppi profondamente diversi. Si parte dalla zona produttiva e si prosegue con le varietà di agave, per poi passare a differenti tecniche e approcci produttivi.
Se da una parte il tequila sembra un mondo dominato dai grandi brand e dai grandi volumi produttivi – anche se non è esattamente tutto così – il mezcal sembra una sorta di bastian contrario della famiglia, di quelli che «o li odi o li ami», sempre pronto a fare a modo suo, attraverso il lavoro di tanti piccoli produttori, per tirar fuori l’anima più verace del distillato.
Dalla pianta alla bottiglia, proviamo quindi a mettere in evidenza le principali differenze, per capire meglio ciò che poi si ritrova nel bicchiere (miscelato e non).
Questioni di geografia
La base è il Messico, dove viene prodotta la maggior parte dei distillati di agave. Tequila e mezcal non sono gli unici, ma tra tutti sono i più importanti a livello di produzione e anche i più conosciuti fuori dai confini nazionali.
Messico sì, ma dove? Per ragioni storiche, il tequila prende il nome dall’omonima città dello stato di Jalisco e lo si produce qui e in altri quattro stati centrali del Paese, Nayarit, Guanajuato, Michoacán e Tamaulipas. Si tratta di una Denominación de origen con un disciplinare, tutelata da un organismo di controllo, il Consejo Regulador de Tequila.
Anche il mezcal ha un disciplinare ed è una Do, nonostante possa risultare controverso il fatto di tutelare come denominazione una parola universalmente utilizzata per definire il “distillato di agave” (dai termini dell’idioma locale metl, agave, e ixcalli, cotto). A tutelarlo c’è il Consejo Mexicano Regulador de la Calidad del Mezcal e lo si produce negli stati di Oaxaca (il più celebre), Guerrero, San Luis Potosí, Zacatecas e Durango, più due municipalità di Guanajuato, undici di Tamaulipas, ventinove di Michoacán e centosedici di Puebla.
Diverse varietà di agave
L’agave, o maguey, come la chiamano in loco, è una pianta succulenta di cui esistono oltre duecento specie, di cui più della metà si trovano in Messico. Sono tutte diverse, ma generalmente tutte costituite da un cuore attorno a cui si sviluppano delle foglie. Più lunghe, più larghe, più o meno pungenti, di un colore dall’azzurrino al verde più acceso, dipende tutto dalla diversa specie, ma ciò che conta è la capacità di queste piante di concentrare all’interno del cuore – la cosiddetta piña – una sostanza zuccherina che serve allo sviluppo del fiore. Perché è questa l’altra particolarità, durante tutta la sua vita – fino ai vent’anni e oltre – queste piante accumulano nutrimento per far crescere un unico stelo florale e, morire subito dopo l’impollinazione. Quel nutrimento, catene complesse di zuccheri assieme a una serie di altre sostanze, sono la base per il fermentato da cui nascerà il distillato. Appena spuntato, lo stelo florale viene tagliato in modo che le sostanze si concentrino all’interno della piña, poi la pianta viene privata delle foglie e portata in distilleria.
Attenzione però, una delle differenze basilari tra tequila e mezcal sta nelle diverse specie di agave impiegate. Mentre per il tequila l’unica varietà ammessa dal disciplinare è l’Agave tequilana Weber, varietà azul, più comunemente chiamata agave blu; per il mezcal sono ammesse tutte le varietà di agave. La più diffusa è l’espadín (Agave angustifolia Haw), ma ce ne sono molte altre, coltivate e spontanee, il che amplia notevolmente il ventaglio aromatico.
Diverse scuole di cottura
Sebbene la parola piña ricordi un po’ le pigne dei nostri pini, nella realtà ci troviamo di fronte a un bestione che, a seconda della specie, può oltrepassare i cinquecento chilogrammi, pieno di zuccheri che per essere fermentati devono essere modificati. Per farlo vanno cotti. Ed ecco che si incontra un altro spartiacque. Nella produzione tradizionale di tequila, l’agave viene cotta a vapore lentamente, in grandi forni di mattoni. Le produzioni industriali impiegano ormai anche delle autoclavi che, come delle gigantesche pentole a pressione a vapore, impiegano molto meno tempo, ma col rischio di scottare le piña, impoverendo la materia prima.
Il vapore può essere impiegato anche nella produzione di mezcal, ma il metodo tradizionale prevede la cottura dentro grossi forni interrati, pavimentati da pietre, dentro i quali viene acceso un fuoco. Una volta scaldate le pietre, il forno viene riempito di piña e ricoperto fino a cottura completata. È da questo procedimento che deriva il caratteristico sentore affumicato tipico del mezcal e, sebbene non tutti i mezcal siano affumicati, si tratta anche di una delle differenze che lo rendono facilmente distinguibile dal tequila al momento dell’assaggio.
Bivi di fermentazione
Una volta cotte, le piña devono essere macinate per facilitare la fermentazione e questo procedimento è stato in larga parte meccanizzato, tranne che nelle zone del mezcal, in cui resiste ancora una parte di produttori che preferisce la molitura artigianale. In genere questa avviene per mezzo di una grande macina chiamata tahona, che ricorda quella per la spremitura tradizionale delle olive, girata con l’aiuto di un animale da soma. Molto più difficile è trovare questo tipo di procedimento nelle zone del tequila.
Giunti alla fermentazione, ci si imbatte in un’altra importante differenza tra tequila e mezcal. Per la prima è consentito aggiungere zuccheri di origine diversa rispetto a quelli dell’agave fino a un massimo del 49 per cento, mentre per il secondo no. Questa variazione influisce ovviamente sul distillato finale, in cui le note caratteristiche dell’agave risulteranno più o meno attenuate. Attenzione, non è detto che il distillato abbia una qualità minore, la qualità del prodotto finale dipende piuttosto dalla qualità delle materie prime e dal processo di produzione, semplicemente si tratterà di un prodotto meno caratterizzato dall’agave che in etichetta potrà chiamarsi soltanto “Tequila”, differenziandosi dalle “Tequila 100% agave”. Il mezcal è invece, da definizione di disciplinare, solo cento per cento agave.
Per innescare le fermentazioni è piuttosto diffuso l’impiego di lieviti selezionati, mentre – come al solito – per il mezcal si tende a ricercare la fermentazione tramite lieviti indigeni, anche avviata spontaneamente grazie a quelli presenti nell’ambiente o portati dagli insetti (in caso vi sembrasse strano, qui c’è un articolo sulle api che potrebbe interessarvi).
Alambicchi e tradizione
Arriva il momento di distillare e i due mondi si dividono di nuovo o, per lo meno, si dividono i procedimenti, tra dimensione industriale e dimensione artigianale, con tutte le sfumature che ci stanno in mezzo. Gli alambicchi a colonna per la distillazione continua sono consentiti sia per il tequila che per il mezcal, ma in genere per le produzioni di alta gamma si impiegano alambicchi discontinui, per una distillazione più lenta in grado di raccogliere più sostanze aromatiche e caratteristiche della materia prima.
Anche qui, soprattutto nel mondo del mezcal, si aprono un’infinità di possibilità. C’è chi si è dotato di un alambicco di rame e chi ancora distilla in alambicchi tradizionali in terracotta, legno o cuoio. Particolarità che vengono prese in considerazione dal disciplinare produttivo che, a differenza di quello del tequila, cerca di valorizzare i metodi tradizionali, seppur con qualche mancanza nei confronti dei produttori più piccoli, che non hanno i mezzi per adeguarsi a tutti gli standard e che per questo spesso decidono di restare fuori dal disciplinare, producendo ottimi distillati e chiamandoli semplicemente “Destilado de agave” o “Aguardiente de agave”.
Per chi rientra nel disciplinare, è prevista la menzione “Mezcal” che consente qualsiasi metodo di cottura, molitura e distillazione; “Mezcal Artesanal” con solo forni tradizionali interrati o in mattoni e alambicchi in legno, terra cotta o acciaio; “Mezcal Ancestral” con solo forni interrati, molitura a pietra con la tahona e alambicchi in legno o terra cotta. La varietà di agave è menzionabile in etichetta.
Invecchiamenti e non
Sebbene per i distillati di agave l’invecchiamento non sia popolare quanto lo è per altri distillati, le versioni invecchiate di tequila e mezcal ci sono, sono previste dal disciplinare e in qualche caso sono anche simili.
Oltre alla versione Blanco, ci sono il Reposado, che indica un distillato invecchiato per almeno due mesi in legno, mentre l’Añejo ha almeno un anno di invecchiamento. Il tequila prevede anche altre due tipologie, l’Extra Añejo, invecchiato per almeno tre anni in legno, e il Joven, che però è una cosa diversa. Si tratta infatti di un blend di tequila Blanco con Añejo o Extra Añejo, senza ulteriore necessità di invecchiamento minimo. Inoltre – questo riguarda tutti i tequila invecchiati – è permessa l’aggiunta di sostanze coloranti e dolcificanti, i cosiddetti abocantes, che servono ad ammorbidire e bilanciare la tonalità del prodotto e che i produttori non sono tenuti a menzionare in etichetta.
Oltre alle versioni invecchiate in legno, il mezcal prevede anche una versione maturata in vetro, “Madurado en Vidrio”, per almeno dodici mesi e una versione aromatizzata in diverse maniere, “Abocado con”, tra cui frutta e il famoso gusano, il verme dell’agave, che però oramai è diventato più una sorta di leggenda che una pratica frequente. Infine è prevista una versione “Destilado con” che include alcune pratiche come l’aggiunta di frutti o anche diversi tipi di carne durante la distillazione. Categorie, queste ultime, decisamente meno diffuse.