Chissà se gli edifici hanno un’anima. Prendiamo il palazzo storico di via Mario de’ Fiori 98 a Roma, dove ha appena aperto La Ménagère, il concept restaurant nato a Firenze nel 2015 e al suo primo step di espansione in Italia con in programma una seconda location sempre a Firenze, una a Milano e un obiettivo di crescita dai tredici milioni di euro di fatturato 2023 a venti milioni in tempi brevi.
Nel Seicento, ci viveva Gian Lorenzo Bernini, scultore, urbanista, architetto, pittore, immenso protagonista del Barocco. Al piano terra dove ora ci si accomoda per per prendersi un buon caffè, per appollaiarsi lungo il bancone del cocktail bar, per gustare il filetto alla Wellington o lo spaghetto aglio, olio, peperoncino, prezzemolo e bottarga tipici del brand, si dice ci fosse il suo atelier e che lui dall’alto tenesse d’occhio il lavoro dei garzoni di bottega. Senza dimenticare che, quattro secoli dopo, quegli spazi a pochi passi da Piazza di Spagna hanno infiammato le notti della capitale.
Quando alla Roma chic è arrivato l’invito per l’inaugurazione dei mille metri quadrati di La Ménagère con una capienza di duecento coperti, in tanti hanno avuto un sussulto: «Dove c’era il Gilda!». Il Gilda è un pezzo di storia della nightlife locale, fondato dallo stesso proprietario del Piper nel 1987 e teatro di feste memorabili, come quella durata tre sere di seguito organizzata dalle sorelle Fendi a fine anni Ottanta, oltre a esibizioni stratosferiche da David Bowie a James Brown, Liza Minnelli, Quincy Jones, Duran Duran, Rod Stewart, fino alla chiusura nel 2017. Ecco perché varcare oggi la soglia del “luogo dei luoghi”, come la proprietaria famiglia Manfredi ama definire La Ménagère, ha qualcosa di unico.
Se i palazzi hanno un’anima, di sicuro quella del 98 di via Mario de’ Fiori sorrideva l’altra sera nel rivedere la gente chiacchierare, occhieggiare, sorseggiare, assaporare sotto al grande lucernario che di giorno inonda di luce lo spazio progettato dall’architetto Claudio Nardi, già al fianco dei Manfredi nella ristrutturazione toscana. Ma forse avrà sorriso ancor di più nel pomeriggio, quando il personale si muoveva svelto e silenzioso in sala per gli ultimi ritocchi.
È raro assistere al dietro le quinte di un’inaugurazione importante. Aleggia un’agitazione sottile, qualcuno controlla che il pianoforte a coda accanto al corner dedicato ai fiori sia bene accordato. Le sarte occupano temporaneamente la sala privè con ritratti di cardinali alle pareti e uno splendido tavolo di palissandro al centro per dare ancora un punto alle uniformi dei camerieri (giacchine bianche durante il giorno, rosse per la sera). Mentre nell’area bookshop, i libri vengono allineati con cura e le cristallerie, pronte per la vendita, spolverate a dovere.
Ernesto Manfredi, alla guida del progetto, ci prova a dialogare con la stampa con tono professionale: «Questo recupero conservativo ci consente di rispettare e valorizzare un’importante parte del patrimonio romano e di renderlo nuovamente fruibile per un pubblico non necessariamente di addetti ai lavori, anzi, variegato come lo sono i nostri campi di expertise e le occasioni di incontro e di confronto che La Ménagère offre», dice, ma gli brillano gli occhi per l’emozione. E chissà che l’anima del palazzo non si sia commossa nel vedere il direttore abbracciare di slancio i suoi collaboratori, come un allenatore con la squadra prima di una partita importante.
Ecco, ora a Roma c’è un locale in più dove fare colazione, pranzare, cenare o soltanto fermarsi a prendere dei fiori, un libro, una porcellana per la tavola. Una volta entrato a regime ci saranno sessanta persone assunte e pronte ad alternarsi dalle otto di mattina fino alle due di notte, sette giorni su sette. Forse i palazzi l’anima non ce l’hanno ma se vi capiterà di andarci, provate a non badare solo alla puntualità del servizio, al cibo, ai drink. Per mettere in piedi una struttura simile ci vogliono soldi e visione. Per renderla autentica, serve l’anima di chi lì ci lavora.