«Gli Stati Uniti d’America in questa fase storica devono lottare per evitare uno scivolamento verso un sistema illiberale, ma in realtà questa è una battaglia vecchia quanto il Paese stesso, e non credo assolutamente che sia già finita». Lo ha detto Robert Kagan, uno dei principali commentatori politici americani e autore del libro “Insurrezione” (edito da Linkiesta Books), in collegamento con Linkiesta Festival, intervistato dal direttore de Linkiesta Christian Rocca.
Nel tuo libro descrivi le ragioni storiche e intellettuali che reggono l’ascesa politica di Donald Trump e del trumpismo. Perché in questo momento è una ricetta vincente?
Il mondo illiberale fa parte dell’America fin dall’inizio. Anche dopo la Guerra Civile, dove sono state sconfitte, le forze illiberali sono rimaste lì, principalmente negli Stati del Sud, con le loro posizioni sullo schiavismo e le idee su cosa dovesse essere il governo centrale. E per tutto il Novecento sono rimasti al loro posto pur non avendo grande popolarità, come parte del Partito Democratico, in risposta al rafforzamento dei valori liberali negli Stati Uniti. L’attacco a quello che gli americani chiamano wokism è in realtà un attacco al cambiamento dei ruoli nella società a mano a mano che le minoranze guadagnano diritti e rispetto dal nostro sistema. Quello cui stiamo assistendo (con la vittoria di Trump, ndr) è una forte reazione contro il riconoscimento del fatto che tutte le minoranze in questo paese meritano protezione e diritti. E molte persone non sono contente.
Ma cosa vedono in Trump?
Vedono prima di tutto che non ha nessun tipo di rispetto per i principi basilari del sistema americano, una persona che vuole sfasciare il sistema costituzionale, cambiare moltissime legge, e vedono in lui anche qualcuno che li rappresenti, che rappresenti principalmente l’uomo bianco cristiano. È una rivalsa che abbiamo visto già all’inizio del secolo con il Birtherism, le accuse di chi considerava Barack Obama non adatto alla presidenza in quanto, secondo loro non sarebbe nato in America, quindi non eleggibile. Trump cavalca tutti gli argomenti anti-immigrazione, accusando gli immigrati di inquinare il sangue americano. E chiaramente cavalca tutta la rabbia di quella fetta di popolazione, bianca, che sente che il suo privilegio, costruito su principi razzisti, si sta sgretolando.
Trump non è solo, c’è anche il suo vice J.D. Vance. Possiamo considerare uno come Vance anche più pericoloso di Trump?
Trump è abbastanza unico, per il suo background, per certe posizioni apertamente fasciste, per il fatto che piace a persone che se ne fregano degli interessi del Partito Repubblicano, e a molti altri segmenti della popolazione. Vance forse però è ancora più interessante in un certo senso, perché lui è una specie di intellettuale di destra, se così possiamo definirlo, cioè uno che mette davvero in discussione la lettura storica sulle reali intenzioni dei Padri Fondatori dell’America. Lui sostiene un nazionalismo aggressivo, tipico dei cristiani bianchi, che solletica il monto illiberale, cioè è il nucleo del sostegno a Trump.
E cosa dobbiamo pensare di Elon Musk, nato e cresciuto nel Sudafrica dell’apartheid e ora nell’inner circle di Trump?
Non so se sono in grado di leggere le sue intenzioni, ma di sicuro sta assumendo posizioni sempre più razziste, antisemite, da bullo praticamente con chiunque. E lo vediamo anche sul suo social, X. Ma dico che è più difficile da inquadrare perché è anche un imprenditore e non si capisce se il suo interesse sia principalmente economico o ideologico o che altro.
Il nuovo governo, invece?
Non dovrebbe essere più una sorpresa che il livello umano e politico sia così basso. Trump non ha scelto solo americani medi, ma anche i suoi tipici sostenitori al Congresso, come ad esempio Marco Rubio, uno che aveva posizioni ben diverse in passato e si è dovuto allineare al trumpismo per sopravvivere politicamente. Molte scelte sono volutamente dirompenti e in quanto tali pericolose. Penso a Tulsi Gabbard all’intelligence, RFK Jr. alla Salute pubblica e così via. Sono scelte di rottura. E le ha prese consapevolmente. Perché devono essere, per lui, un’affermazione di una posizione di potere: è un’amministrazione pensata per distruggere le istituzioni.
Su Tulsi Gabbard, possiamo dire che sia un pericolo per la sicurezza nazionale americana, e anche internazionale?
Non ho conoscenze sufficienti per dire perché potrebbe essere un pericolo, ma di sicuro non si capisce perché Tulsi Gabbard dovrebbe essere qualificata per questo ruolo. E nei prossimi mesi, quando dovrà entrare in funzione il suo ufficio, già si capirà qualcosa di più.
Vedi un lento declino del sistema liberale americano e uno scivolamento verso il mondo illiberale verso Mosca?
L’America in questo momento sta lottando per salvarsi da questo declino, ma è una lotta che va avanti fin dall’inizio della storia americana, come scrivo anche nel libro. È un Paese diviso e lo dimostrano le ultime elezioni. Dai numeri sembra che abbiano vinto le forze illiberali nettamente, ma dobbiamo vedere quanti americani saranno disposti ad accettare questa intolleranza proposta da Trump. Insomma, la risposta alla domanda è che è una lotta continua che non credo affatto che sia finita: l’America non è definitivamente illiberale. E aggiungo che è una lotta che va avanti ancora a livello globale. È importante ricordare che ciò che chiamiamo liberalismo è la più rara forma di governo nella storia umana. È relativamente recente e molti Paesi non l’hanno mai conosciuto. Non voglio criticare Francis Fukuyama, ma l’idea che il liberalismo aveva trionfato alla fine della Guerra Fredda è chiaramente non vera. Semplicemente perché è una lotta che non è ancora finita. Né in una direzione né nell’altra.
Cosa possono fare le forze liberali per riprendersi e tornare a vincere?
Il liberalismo in America è nato dalla Rivoluzione. Quindi da una battaglia per i diritti, ed è su quelle battaglie che è nata la Costituzione. Molti americani di oggi sono i discendenti di quelle persone che in passato sono state discriminate e che volevano vivere in un Paese più tollerante. Sono irlandesi, italiani, polacchi, per non parlare degli ebrei. Loro, gli americani di oggi, ovviamente non hanno vissuto quelle battaglie in prima persona e hanno dimenticato il loro valore, il loro significato. Ma la speranza è che queste persone capiscano che in un’America illiberale i loro diritti sono in pericolo.
L’agenda di Trump può essere sia molto prevedibile sia, in un certo senso, altamente imprevedibile. Cosa ne sarà del suo piano per far finire la guerra in Ucraina in un giorno?
È una buona domanda. E per quanto si possa dire che Trump sia bravo a trattare, la sua soluzione semplicemente non è sul tavolo perché Vladimir Putin non si fermerà fin quando Mosca non avrà preso l’Ucraina per intero. Per fortuna almeno gli ucraini sanno bene quali sono le intenzioni di Putin. Ma per fortuna in America Trump non governa da solo. E il completo annientamento dell’Ucraina non è una soluzione accettabile, questo in America lo sanno tutti. Così alla fine a Trump non resta che la stessa possibilità di scelta di qualunque altro presidente: voltare le spalle all’Ucraina e permettere a Putin di vincere la guerra a modo suo, magari anche in Georgia, oppure opporsi a questo in un qualsiasi modo. E in questo la storia europea, in particolare quella degli anni Trenta, ci insegna che prima ci si oppone a queste mire imperialiste meglio è. E di sicuro Trump non vuole apparire come un perdente, in nessun caso. Ancor meno di fronte agli altri Repubblicani.
Cosa farà Trump ai rapporto con l’Europa e l’Unione europea?
Immagino che gli europei abbiano già capito che gli Stati Uniti non saranno più quel tipo di alleato per loro. Ora sanno che dovranno rinforzare i loro sistemi di difesa e sicurezza, e capisco benissimo perché non abbiano voglia di farlo. Perché non solo sarebbe economicamente dispendioso, ma cambierebbe la natura stessa dell’Europa. Sarebbe un colpo a quel miracolo politico che è stata l’Europa negli ultimi decenni. La mia speranza è che gli Stati Uniti non voltino totalmente le spalle all’Europa.