Uno è l’ex golden boy del mondo repubblicano, l’altro un reduce pluridecorato che fa la guerra alla cultura woke. Marco Rubio e Michael Waltz saranno i due nomi di punta della politica estera e della sicurezza americana per i prossimi quattro anni. Il presidente eletto Donald Trump dovrebbe nominarli rispettivamente Segretario di Stato e Consigliere per la Sicurezza nazionale per i prossimi quattro anni – sempre che non si stufi di loro nel giro di qualche mese, come è accaduto con quasi tutti gli uomini della sua precedente amministrazione.
Se questa doppia nomina può avere un valore simbolico, è soprattutto uno statement forte in funzione anticinese: Rubio e Waltz sono tra i falchi Repubblicani più critici verso Pechino, alfieri di quella battaglia politica, commerciale e culturale che vede nella Cina una minaccia.
Marco Rubio viene dalla Florida, è nato a Miami e ha origini cubane. È senatore dal 2010, non aveva ancora quarant’anni quando è stato eletto la prima volta: era il volto di una nuova generazione di leader conservatori del Tea Party. Oggi ha cinquantatré anni e una campagna elettorale presidenziale alle spalle. Nel 2016, alle primarie del Partito Repubblicano si era scontrato più volte con Trump: Donald lo chiamava “Little Marco”, lui rispondeva colpo su colpo, o almeno ci provava, ma con scarsi risultati. Negli anni seguenti Rubio ha cambiato casacca, ha sentito dove tirava il vento ed è diventato fedele a Trump. Qualche mese fa era addirittura tra i nomi in lizza per il ruolo vice nella corsa presidenziale: la scelta poi è ricaduta su J.D. Vance, ma il suo trumpismo non sembra scalfito.
Nel ruolo di Segretario di Stato, Rubio diventerebbe il volto della diplomazia statunitense, ma dovrà raccogliere l’eredità pesante di Antony Blinken, che negli ultimi anni ha svolto egregiamente il suo lavoro in contesti difficilissimi.
Sul fronte mediorientale, Rubio ha sempre dato il suo sostegno incondizionato a Israele, ritenendo i terroristi di Hamas responsabili in prima battuta del dramma umanitario della Striscia di Gaza. Da questo punto di vista, la posizione di Washington avrebbe una sfumatura di continuità rispetto all’amministrazione attuale e soprattutto alla storia americana.
Su altri fronti, invece, Rubio potrebbe fare fondo a tutte le idee più radicali che ha espresso in questi anni. È un grande sostenitore di una politica estera muscolare contro i regimi illiberali e ha sempre avuto posizioni durissime – in linea con il Tea Party repubblicano – sull’Iran, sul Venezuela e su Cuba. Non è difficile immaginare la nuova amministrazione con un atteggiamento poco dialogante, perfino ostile nei confronti di queste dittature che reprimono il dissenso e le libertà dei loro cittadini.
È sulla questione ucraina che ci sono più interrogativi. Perché in passato Rubio ha criticato duramente la Russia di Vladimir Putin, ma in questa sua nuova versione trumpizzata sembra aver cambiato postura. Già lo scorso aprile aveva votato contro il pacchetto di aiuti militari da novantacinque miliardi di dollari per l’Ucraina. «Il conflitto ha raggiunto una situazione di stallo e deve essere portato a una conclusione», aveva detto. Insomma, sembra perfettamente allineato a Trump, che dice di poter chiudere il conflitto il ventiquattro ore. Solo che non si capisce come questa retorica populista – di Trump e di Rubio – possa convincere Putin ad abbandonare la sua guerra d’invasione, far rientrare le truppe dalle zone occupate e smetterla di minacciare quotidianamente l’Ucraina.
Il grande focus della nomina di Rubio però è sulla Cina. «Rubio è stato tra i senatori più schietti sulla necessità per gli Stati Uniti di diventare più aggressivi nei confronti della Cina», ha scritto il New York Times in un articolo firmato da Maggie Haberman, Jonathan Swan e Edward Wong. «Ha adottato posizioni che in seguito sono diventate più diffuse in entrambi i partiti. Ad esempio, mentre prestava servizio al Congresso durante la prima amministrazione Trump, ha iniziato a sostenere una politica industriale volta ad aiutare gli Stati Uniti a competere meglio con l’economia cinese guidata dallo Stato».
Peraltro Rubio è sotto sanzioni cinesi da agosto del 2020 a causa della sua campagna, condotta insieme all’altro senatore repubblicano Ted Cruz, contro le restrizioni alle libertà e all’autonomia di Hong Kong applicate da Pechino. Proprio per questo, a Rubio è vietato l’ingresso in Cina: una condizione scomoda per uno che dovrebbe guidare la diplomazia statunitense e avere un ruolo da protagonista nelle relazioni bilaterali.
Sulla Cina ha una posizione da falco della destra anche Mike Waltz, prossimo Consigliere per la Sicurezza nazionale. È stato critico sulle operazioni di Pechino nell’Asia-Pacifico e ha già consigliato a Trump di ridurre la dipendenza dalla Cina sulle materie prime critiche. Nel libro pubblicato all’inizio dell’anno, “Hard Truths: Think and Lead Like a Green Beret”, Waltz ha tracciato una strategia in cinque punti per prevenire o una guerra con la Cina, tra cui armare Taiwan più rapidamente, rassicurare gli alleati nel Pacifico e modernizzare la flotta e gli aerei a disposizione.
Prima delle Olimpiadi invernali del 2022 invece aveva chiesto il boicottaggio statunitense a causa del coinvolgimento della Cina – Paese ospitante – nell’origine della pandemia da Covid-19 e per la repressione della minoranza musulmana uigura nello Xinjiang.
Ex berretto verde della Guardia nazionale, il corpo speciale dell’esercito, Waltz sarà la vera spalla destra di Trump in politica estera. Anche lui viene dalla Florida, come Rubio, e la settimana scorsa è stato eletto per la terza volta alla Camera dei Rappresentanti. Anche lui prima criticava Putin, ora nega gli aiuti all’Ucraina. Negli ultimi anni è salito sul carro di Ron DeSantis, governatore della Florida ed è stato in prima linea nel sostegno a tutti i disegni di legge “anti-woke”. Nel 2023, è stato lui stesso a presentare al Congresso una legge che avrebbe imposto «un controllo dei programmi Dei (diversità, equità e inclusione, ndr) inutili e politicizzati nelle forze armate, e ripristinato una cultura basata sul merito tra i nostri ranghi». Mentre nel 2021 aveva criticato l’Accademia militare degli Stati Uniti di West Point per l’insegnamento della “teoria critica della razza”, secondo cui le eredità della schiavitù e della segregazione avrebbero creato condizioni di parità per gli afroamericani.
Ovviamente anche Waltz è un trumpiano inossidabile: «I personaggi dirompenti raramente sono gentili nei modi, ma francamente il nostro apparato di sicurezza nazionale e certe vecchie cattive abitudini al Pentagono hanno bisogno di questa forza distruttrice che ha Trump», ha detto durante un comizio all’inizio di quest’anno.
Con Waltz e Rubio, Trump riempie con uomini di fiducia due terzi della squadra di politica estera. Resta da capire chi sceglierà per guidare il Pentagono, ma probabilmente andrà sul generale più ossequioso e deferente presente nella lista dei papabili, un uomo pronto ad assecondarlo senza obiezioni. Durante il suo primo mandato aveva licenziato tre segretari della Difesa e la sua amministrazione ne aveva pagato le conseguenze in termini di capitale politico. La speranza è che almeno non trovi il profilo perfetto, quello che avrebbe nel suo mondo ideale, visto che già una volta da presidente aveva chiesto dei generali «come quelli che aveva Hitler».