Elly Schlein continua a ripetere in ogni intervista che la destra è stata sconfitta per i tagli alla sanità pubblica. Un tema concreto, allo stesso popolare e di sinistra, concreto e identitario, che la segretaria del Partito democratico ha identificato da subito come la bandiera con cui chiamare a raccolta i propri elettori e andare all’attacco dell’avversario. Una scelta sensata e condivisibile, che si scontra però con due problemi.
Il primo è che le critiche sullo stato attuale della sanità pubblica provengono pur sempre dal partito in cui militano tutti i ministri della Salute dal 2013 al 2022, con la sola eccezione del 2018, quando al vertice del ministero c’era comunque un’esponente del Movimento 5 stelle. Ma questo è un problema che il semplice passare del tempo risolve da sé, perché dopo due anni di governo nessun presidente del Consiglio può continuare credibilmente a prendersela con l’eredità ricevuta dai predecessori. E comunque la polemica sui tagli effettuati dal governo attuale consente di superarlo di slancio, spostando l’attenzione sulle responsabilità del centrodestra. Il secondo problema, invece, è un po’ più complicato.
Quando infatti Giorgia Meloni risponde che ci vuole una bella faccia tosta a rimproverarle di tagliare la spesa dopo avere buttato oltre duecento miliardi di euro per rifare case, seconde case e villette degli italiani – degli italiani proprietari di casa, cioè di quelli che stanno meglio – dice la verità. Al riguardo consiglio a tutti, ma soprattutto ai dirigenti del Pd, la lettura del libro di Luciano Capone e Carlo Stagnaro, «Superbonus, come fallisce una nazione» (Rubbettino), dove è ricostruita con pazienza l’incredibile voragine aperta nei conti pubblici, con la complicità di un’intera classe dirigente.
A Meloni e a tutta la sua coalizione andrebbe infatti rimproverato semmai di avere contribuito con convinzione ad allargare quella voragine, impedendo a Mario Draghi di chiuderla prima e continuando anzi a chiedere sempre nuove proroghe ed estensioni. Ma ovviamente un simile rimprovero non può venire da chi per primo ha voluto quella misura e ha continuato a difenderla fino all’ultimo, senza esitare a raccontare una gran quantità di balle sui suoi effetti reali.
Forse sono troppo ottimista, stato d’animo con cui peraltro ho scarsissima familiarità, ma la condizione di estrema debolezza del Movimento 5 stelle e al tempo stesso la sua manifesta inaffidabilità, che è già costata al centrosinistra la Liguria, mi pare aprano lo spazio per un ripensamento, almeno parziale, per una presa di coscienza e un minimo cenno di riconoscimento, se non altro, dell’esistenza del problema. Temo invece che continuare a far finta di niente non consentirà di costruire solide alternative.