Rimandato a settembreGli agricoltori europei si oppongono all’accordo con il Mercosur

In attesa della votazione definitiva, i membri del settore primario mettono in guardia dai rischi del patto firmato a Montevideo: si teme una deregulation commerciale su scala globale. In generale, sulla sostenibilità le critiche arrivano sia da destra, sia da sinistra

Tiziano Manzoni/LaPresse

«Abbiamo la possibilità di creare un mercato di settecento milioni di persone, la più grande partnership commerciale e di investimento che il mondo abbia mai visto». Toni pieni d’entusiasmo per Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione europea volata settimana scorsa fino a Montevideo, in Uruguay, per la firma dell’accordo Ue-Mercosur. Un percorso lungo venticinque anni, fra trattative avviate e poi arenatesi, che sembra ormai in dirittura d’arrivo: commentando il patto di libero scambio tra l’Unione europea e il blocco economico sudamericano composto da Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay, von der Leyen ha affermato che «entrambe le regioni trarranno beneficio».

Tutto bene, quindi? Non proprio, a dire il vero. L’accordo è al centro di pesanti critiche soprattutto da parte del settore agricolo europeo, dal momento che l’apertura verso i Paesi sudamericani (e i relativi mercati) viene percepito come svantaggioso in termini di competitività e, soprattutto, squilibrato a livello normativo. Insomma, due pesi e due misure, a quanto dicono gli agricoltori: ma è davvero così? Le proteste dei trattori che hanno invaso tutta Europa negli ultimi mesi, arrivando fino al quartier generale delle istituzioni Ue nel cuore di Bruxelles, è sintomo di un malessere diffuso legato proprio ai presunti rischi che verrebbero innescati dall’entrata in vigore dell’accordo.

L’Unione europea, dal canto suo, dispone già di diversi strumenti normativi attraverso cui imporre vincoli e stabilire regolamentazioni, su tutti la Politica agricola comune (Pac) L’obiettivo dichiarato è quello di garantire la sostenibilità ambientale, la sicurezza alimentare e incrementare la competitività del settore agricolo. Spesso, però, accade l’esatto opposto, ossia che tali vincoli finiscono per costituire ingenti sfide di natura economica e produttiva per gli agricoltori, ripercuotendosi principalmente sulle aziende più piccole.

I vincoli alla produzione agricola in Europa…
Esistono norme di condizionalità, legate alla salute ambientale, animale e alla qualità del suolo, che determinano l’accesso ai fondi Pac: fra queste il regolamento “Reach”, che limita l’uso di sostanze chimiche pericolose, e la cosiddetta strategia “Farm to Fork”, che impone il dimezzamento dei pesticidi entro il 2030 e, contestualmente, l’aumento del venticinque per cento dell’agricoltura biologica. 

Tali investimenti di natura tecnica richiedono di utilizzare alternative spesso più costose o meno diffuse e si accompagnano ad altre regole atte a garantire standard di qualità più elevati, come il limite al trasporto di animali vivi o la disponibilità di spazi aperti per gli allevamenti. Da ultimo, la riforma della Pac nel quinquennio 2023-2027 ha introdotto ulteriori vincoli, fra cui gli “eco-schemi”, che prevedono la possibilità di accedere a sussidi in caso di adesione a pratiche agricole sostenibili, spingendo sulla riduzione delle emissioni di CO2 fino alla riforestazione o alla “classica” rotazione delle colture.

A questo, si aggiungono le cosiddette norme di mercato, come le quote di produzione che limitano la quantità di produzione in capo a ogni agricoltore ma ormai abolite per tanti prodotti (celeberrime furono le proteste contro le “quote latte”), e le regole di tracciabilità, secondo cui tutti i prodotti devono essere etichettati in maniera specifica lungo tutta la catena produttiva.

…e le critiche ai – pochi – vincoli per il Mercosur
L’accordo Ue-Mercosur punta all’eliminazione delle tariffe sull’import dal Sud America fino al novantadue per cento, e una riduzione quasi speculare (fino al novantuno per cento) di quelle sull’export europeo. Lungo i binari di questa rotta commerciale, attualmente da Bruxelles partono principalmente prodotti dell’industria automobilistica e tecnologica, ma anche tessile e vinicola, per un ammontare complessivo stimato nel 2023 in 55,7 miliardi. In direzione contraria viaggiano invece prodotti agricoli, ittici, pollame e carne bovina, per un valore di 53,7 miliardi.

Al netto della comprensibile soddisfazione per l’automotive europeo, l’accordo ha scatenato le ire degli agricoltori dell’Ue, spaventati dalla prospettiva di subire il contraccolpo di una concorrenza interna al mercato Ue che può contare su costi di produzione più bassi, non essendo obbligata a sottostare agli stessi vincoli che invece vigono per il settore agricolo nei Ventisette.  Il punto della questione è tutto qui: l’assenza di cosiddette “clausole specchio” che equiparino da una parte all’altra del globo gli standard di produzione, tutela ambientale e animale, rischia di innescare una concorrenza sleale e delle gravi ripercussioni di natura economica che potrebbero alterare il mercato favorendo i prodotti sudamericani.

Le preoccupazioni del mercato e della politica
Una delle principali critiche all’accordo riguarda l’impatto ambientale delle coltivazioni e degli allevamenti nei Paesi del Mercosur, dove l’aumento produttivo potrebbe tradursi in un incentivo alla deforestazione dell’Amazzonia causando una grave perdita di biodiversità, tutto l’opposto rispetto alle politiche comunitarie in termini di sostenibilità previste dal Green deal.

A preoccupare gli allevatori sono però anche i risvolti sull’etica lavorativa, che hanno spinto numerosi governi europei a schierarsi contro il via libera all’accordo per la carenza di attenzione nei confronti dei diritti dei lavoratori e in segno di protesta contro i rischi per la sovranità alimentare dell’Unione in caso di crisi globali, divenendo sempre più dipendente dalle importazioni di prodotti potenzialmente dannosi anche per l’ecosistema anziché dall’industria interna, tenuta a rispettare standard più stringenti.

Intanto in Europa si alza con forza il grido del “no” all’accordo con il Sud America: in prima linea la Francia di Emmanuel Macron, scombussolata dalla crisi nel governo Barnier e pronta a guidare il fronte degli oppositori. Fra questi, meno definito appare il posizionamento dell’Italia, ufficialmente favorevole all’accordo con il Mercosur ma con al suo interno forti spinte di opposizione provenienti da ogni lato. 

L’eurodeputato Brando Benifei, coordinatore del gruppo Socialisti e Democratici per la commissione del Commercio internazionale, ha dichiarato a Linkiesta che «l’accordo vede opposizioni da destra e da sinistra per le tutele ambientali, i diritti dei lavoratori, il rispetto dell’Accordo di Parigi, gli standard agroalimentari e le tutele per i nostri settori economici più esposti», specificando poi come quello firmato a Montevideo sia un testo «negoziato dalla Commissione europea e dai governi sudamericani, ma senza che ci sia stata alcuna votazione in Europa».

Accordo Ue-Mercosur, decisione rinviata
Nei prossimi mesi avverrà la traduzione integrale del testo normativo così da permettere al parlamento e al Consiglio di visionarlo per poi esprimersi in sede di votazione. Un processo lungo, la cui fine è prevista non prima della prossima estate, ma necessario ai fini dell’approvazione definitiva. «La traduzione è un aspetto fondamentale e funge quasi da “seconda battuta” del negoziato, perché è su questa che si gioca la vera partita», continua Benifei, prima di puntualizzare: «La portata politica e storica di questo accordo ci consegna una grande responsabilità, ma senza elementi chiari e non solo di principio, una maggioranza nell’Europarlamento per l’approvazione è matematicamente impossibile».

Decisamente più dura la posizione di Carlo Fidanza, coordinatore del gruppo Ecr in commissione Agricoltura al Parlamento europeo, che in una nota ha definito l’accordo Ue-Mercosur «eccessivamente squilibrato e penalizzante per l’agricoltura europea, privo di sufficienti garanzie sul rispetto delle norme Ue in materia di controlli veterinari e fitosanitari e sul rispetto dei nostri standard di salubrità e di qualità per i prodotti destinati ad entrare nel mercato interno». 

Nel frattempo, in attesa della versione definitiva del testo, Coldiretti e Filiera Italia hanno dichiarato «inaccettabile» l’accordo nella sua forma attuale, sia per il comparto agricolo europeo sia per quello del Belpaese: il riferimento è ai limiti massimi residui di pesticidi, molto più alti rispetto a quelli stabiliti dall’Ue, ma anche ai già citati abbattimenti daziari che innescherebbero una concorrenza sleale per i produttori europei.

A cercare di stemperare le critiche è stato un comunicato con il quale la Commissione ha sottolineato come gli standard sanitari e fitosanitari dell’Ue «non sono negoziabili e non sono influenzati da questo accordo di partenariato o da qualsiasi altro accordo commerciale», affermando al contempo il diritto dell’Unione all’individuazione dei livelli massimi previsti per pesticidi, farmaci veterinari o contaminanti e richiamando, inoltre, il principio di precauzione che consente all’Ue di adottare misure che tutelino la salute dei cittadini in presenza di evidenze scientifiche sulla non-sicurezza degli alimenti importati.

Fra tante posizioni anche molto dissonanti l’una dall’altra, l’unica certezza è che nei prossimi giorni il testo definitivo dell’accordo verrà reso noto e, su quella base, verrà avviato il processo di traduzione che permetterà alle istituzioni europee di valutarne l’effettiva validità in vista della sua approvazione finale. Con la speranza, comune a ogni parte coinvolta stando a quanto detto, di limare il più possibile ogni eventuale rischio per i lavoratori del comparto agricolo europeo. To be continued.

X