Opzione antipopulistaLa Francia può uscire dalla crisi separando i riformisti dagli estremisti

L’apertura del Parti socialiste propone nuovi scenari per il governo, che finalmente può provare a liberarsi della France Insoumise di Mélenchon e della destra di Le Pen. Così Macron riprende le redini del gioco, nella speranza di essere affiancato da un esecutivo capace e moderato

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Lezione francese: staccare i riformisti dagli estremisti. Isolando questi ultimi. La grande novità di ieri a Parigi, che si può definire una svolta, attendendo ovviamente i risultati che essa produrrà o non produrrà, è la decisione del Partito socialista francese di rendersi disponibile a un compromesso politico per dar vita a un nuovo governo in grado innanzitutto di varare una nuova legge di bilancio. Il segretario del Parti socialiste Olivier Faure, che ha colto di sorpresa anche i dirigenti del suo partito, è stato ricevuto all’Eliseo e si è detto pronto a discutere di «concessioni reciproche» con i macroniani.

È un sussulto di responsabilità in un momento delicatissimo in cui la Francia ribolle, e attraversa una non indifferente crisi economica ed è praticamente senza un governo da mesi, considerando che, a parte il fallimento del tentativo di Michel Barnier, anche quelli precedenti non stavano certo funzionando. Emmanuel Macron annuncerà il nome del primo ministro probabilmente lunedì, dovrà essere gradito ai socialisti senza scontentare gli altri potenziali partner. Sulla carta ci sono i numeri per un governo comprendente tutti tranne le “estreme”, la France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon e il Rassemblement National di Marine Le Pen.

Non è facile, ma l’impressione è che con il discorso alla nazione di giovedì sera Macron abbia ripreso le redini del gioco, e rimesso il problema su binari più politici e meno personalizzati. Ed è in questo quadro che l’annuncio dei socialisti potrebbe sbloccare l’impasse, aprendo un percorso che riguarda altre forze di sinistra, come i verdi e i comunisti.

Questo significa la rottura politica con la France Insoumise del leader estremista Mélenchon, l’uomo che ha egemonizzato la sinistra, congelandola di fatto nel ghetto dell’indisponibilità a qualunque mediazione con i macroniani, senza i quali non si può fare alcun governo. Molti critici di Macron infatti dimenticano che il Nuovo Fronte Popolare (Mélenchon più socialisti, verdi, eccetera), non avendo da solo i numeri, si sarebbe dovuto subito mostrare disponibile a un accordo con Macron – invece Mélenchon aveva addirittura chiesto l’impeachment del presidente.

Macron, che da parte sua ha troppo giochicchiato con il politicismo, ha poi tentato di aprire una strada a destra con il governo Barnier: tentativo fallito.

Adesso si torna laddove si sarebbe dovuto cominciare, cioè a un tentativo di accordo serio con il “taglio” della destra di Le Pen e dell’estremismo di Mélenchon. Tutto questo ovviamente non sarebbe possibile se Macron si fosse dimesso. La sua popolarità è ai minimi, ma è necessario garantire che, caduta la “testa” del governo, rimanga intatta quella del presidente (secondo la celebre espressione di Maurice Duverger, la Francia è istituzionalmente come «un’aquila a due teste»).

Ecco la lezione francese: i riformisti non devono mai essere subalterni alla sinistra estrema, ma guidare loro i processi politici in un’ottica di governo. Se un nuovo esecutivo partirà sarà una buona notizia per la Francia e per l’Europa. E se sarà capace di guidare seriamente il Paese è anche possibile che tanti francesi si stanchino del populismo estremista.

Mentre in agguato resta madame Le Pen, peraltro con gravi problemi giudiziari che potrebbero azzopparla definitivamente, leader di una destra di massa, aggressiva, reazionaria e antieuropea. Un nuovo governo con gente con la testa sulle spalle potrebbe metterla più in ombra, nella fase che, forse, sta per aprirsi a Parigi. È il tutto per tutto. Ma con la sinistra riformista che è rientrata in gioco.

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