È lo stesso governo dell’Azerbaigian ad accusare ora la Russia dell’abbattimento dell’Azerbaijan Airlines Flight 8432, dopo che la pista era stata tirata fuori dal giornale russo di opposizione Meduza e rilanciata dal Consiglio di difesa e sicurezza ucraino. Un dato interessante è che il Cremlino neanche prova a smentire, ma fa sapere che aspetta i risultato di una inchiesta chiesta peraltro anche dalla Nato. Il governo dell’Azarbaigian ha annunciato una commissione d’inchiesta anche con esperti dal Kazakistan, dove l’aereo è caduto, e dal Brasile, dove era stato costruito. Ma non russi.
Da una parte, ci sono infatti le testimonianze dei sopravvissuti su una esplosione seguita da schegge che hanno colpito l’aereo e alcuni passeggeri. Dall’altro, le immagini hanno mostrato fori significativi sulle superfici della coda. Secondo fonti del governo di Baku, sarebbe stato un sistema di difesa antiaerea Pantsir-S1 russo sopra Grozny a sparare un missile che è scoppiato vicino all’aereo, ferendo passeggeri e membri dell’equipaggio.
Le stesse fonti aggiungono che, nonostante le richieste dei piloti di effettuare un atterraggio di emergenza, sarebbe stato loro negato di farlo in qualsiasi aeroporto russo, ricevendo invece l’ordine di volare verso la kazaka Aktau. Anche i sistemi di comunicazione erano stati bloccati da sistemi di guerra elettronica durante l’avvicinamento a Grozny. Fonti russe ammettono che mentre il volo 8243 sorvolava lo spazio aereo ceceno, le forze di difesa aerea russe erano impegnate contro droni ucraini. Anche il capo del Consiglio di sicurezza della Repubblica cecena, Khamzat Kadyrov ha confermato che Grozny era sotto attacco.
Bilancio: trentotto morti e ventinove sopravvissuti, tutti feriti. Sette in modo grave. Ma è il quarto caso del genere che coinvolge le difese aeree dela Russia e prima ancora dell’Urss in meno di mezzo secolo. Anzi, forse il quinto Se vogliamo la situazione è via via peggiorata.
Il primo caso fu infatti il 20 aprile 1978, quando vicno a Murmansk un caccia sovietico intercettò un Boeing 707 sud-coreano, il volo Korean Air Lines 902, che in viaggio da Parigi a Seul con scalo ad Anchorage nel virare sopra l’Oceano Artico era finito nello spazio aereo sovietico sopra la penisola di Kola. Il passaggio sul Polo Nord Magnetico aveva infatti causato gravi errori nei sistemi di navigazione basati sulla bussola magnetica dell’aereo, per cui rotta girò verso sud-est e sorvolò il Mare di Barents e lo spazio aereo sovietico, raggiungendo la costa sovietica circa tre ore e millecinquecento miglia dopo la sua virata verso sud.
I sovietici dissero che l’aereo non aveva risposto a vari tentativi di contatto via radio; il pilota sud-coreano ribatté che il caccia sovietico si era avvicinato al suo aereo dal lato destro anziché da quello sinistro come richiesto dalle norme dell’Organizzazione Internazionale per l’Aviazione Civile; il copilota aggiunse che era stato l’intercettore a non rispondere via radio; il pilota sovietico affermò che aveva cercato di convincere i suoi superiori che l’aereo non era una minaccia militare. Ma ricevette comunque l’ordine di abbatterlo. Sparò un primo missile R-60, che volò oltre il bersaglio. Ne sparò un secondo, che stavolta colpì l’ala sinistra e perforò la fusoliera, costringendo l’aereo a un atterraggio di emergenza su un lago ghiacciato.
I morti furono solo due tra le centonove persone a bordo, e gli elicotteri sovietici intervennero poi per salvare i sopravvissuti, e trasportarli nella città di Kem’ in Carelia, anche se poi Mosca si rifiutò di cooperare alle indagini. Il fatto di non aver mai restituito la scatola nera lascia ancora dei dubbi su cosa sia realmente successo.
Meccanica simile ma conseguenze molto più tragiche ebbe il primo settembre 1983 la vicenda di un altro volo sud-coreano: il Korean Air Lines 007, in viaggio da New York a Seul via Anchorage. Anch’esso, un Boeing 747, volando più a ovest del previsto aveva violato lo spazio areo sovietico e fu colpito con due missili da un caccia intercettore Su-15TM Flagon nei pressi dell’isola Moneron: a ovest dell’isola di Sachalin, nel mar del Giappone. Uno dei due missili, a guida radar, squarciò la coda. L’altro, a guida infrarossa, fece esplodere uno dei quattro motori. Stavolta, tutte le duecentosessantanove persone a bordo morirono, anche perché l’aereo si inabissò in mare. Tra l’altro, mentre a colpire era stato in realtà il Maggiore Vassily Kasmin, ad attribuirsi il «colpo» in una intervista al New York Times fu invece il maggiore Gennadij Nikolaevič Osipovič, giustificandolo come lecito in quanto qualsiasi aereo commerciale poteva essere convertito in aereo spia.
I rapporti iniziali circa un atterraggio forzato a Sachalin, divulgati dalle autorità sovietiche, furono presto smentiti, e per diversi anni, da parte delle stesse autorità, non fu chiarito se le scatole nere fossero state recuperate o meno. Solo nel 1993 Eltsin le consegnò, dopo che lo stesso Gorbacev aveva negato la loro esistenza. La organizzazione internazionale dell’aviazione civile Icao poté così avviare una seconda indagine, la cui conclusione fu identica a quella della prima: il sorvolo dello spazio aereo sovietico era stato accidentale.
Il pilota che veramente aveva effettuato l’abbattimento confessò allora che non era stata seguita la procedura internazionale per l’intercettazione e che le autorità militari gli avevano ordinato di riferire in televisione di aver sparato colpi di avvertimento: cosa non avvenuta. Sul momento, il 9 settembre 1983 a Mosca si tenne una conferenza stampa di due ore, in cui il capo di Stato Maggiore, Maresciallo Nikolaj Ogarkov, illustrò la versione sovietica secondo cui una commissione statale avrebbe «dimostrato in modo inconfutabile» che l’intrusione del volo Kal 007 nello spazio aereo sovietico era deliberata e diretta dai servizi di informazione occidentali.
Reagan rispose facendo diffondere dalla televisione uno speciale sull’accaduto, con estratti di comunicazioni intercettate dai servizi segreti, tra cui i dialoghi tra il pilota sovietico e il comando al suolo: per dimostrare come fosse assolutamente impossibile per il caccia scambiare il velivolo civile per un aereo di sorveglianza militare.
Anche l’ambasciatore americano alle Nazioni Unite, Jeane Kirkpatrick, mostrò un’altra serie di registrazioni intercettate ai sovietici in una presentazione audiovisiva alle Nazioni Unite. Nonostante le diverse prove presentate da parte statunitense, nessuna di esse poté provare con certezza che i sovietici avessero identificato il Kal 007 come un aereo civile. All’evento furono dedicate due canzoni: Murder in the Skies di Gary Moore e Spara Jurij dei Cccp Fedeli alla linea.
Quasi per una maledizione particolare contro i voli di compagnie asiatiche, dopo i due aerei sud-coreani abbattuti dall’Urss toccò a un aereo malaysiano essere colpito in seguito al revanscismo putiniano: il volo Malaysia Airlines Flight 17, in servizio fra Amsterdam e Kuala Lumpur, e colpito a un missile il 17 luglio 2014 mentre sorvolava Hrabove, sull’Oblast di Donetsk. Tutti i duecentottantatré passeggeri e i quindici membri dell’equipaggio del Boeing 777-200ER rimasero uccisi. I
l governo ucraino accusò dapprima i secessionisti filorussi, quindi direttamente la Russia. Fonti dei servizi segreti statunitensi affermarono che i secessionisti filo-russi avevano abbattuto l’aereo utilizzando un missile terra-aria del sistema Buk lanciato dal territorio sotto il loro controllo. Secondo questa ricstruzione, a poca distanza dall’aereo malaysiano avrebbe dovuto volare un aereo da trasporto militare ucraino con rifornimenti per l’esercito, e i ribelli avrebbero colpito l’aereo passeggeri per errore, scambiandolo per il trasporto ucraino.
In effetti nel pomeriggio dello stesso 17 luglio, prima che la notizia della caduta del volo Mh17 venisse diffusa dai mezzi d’informazione, un post pubblicato su un profilo Vkontakte (popolare social media russo) attribuito a Igor Strelkov (pseudonimo di Igor Girkin, allora comandante delle Forze armate della Repubblica Popolare di Donetsk e ministro della difesa della suddetta Repubblica, dimessosi da tali cariche il successivo 14 agosto), aveva rivendicato l’abbattimento in un aereo militare ucraino An-26 – «li avevamo avvertiti di non sorvolare i nostri cieli» – in un post poi rimosso.
I secessionisti hanno in seguito dato la colpa dell’incidente all’esercito ucraino, affermando che le milizie secessioniste non avevano armi in grado di abbattere un aereo che volava a diecimila metri di quota. «Testimoni che osservavano il volo del Boeing 777 lo hanno visto mentre era attaccato da un aereo da combattimento delle forze aeree ucraine, dopodiché l’aereo si è spezzato in due in aria ed è caduto sul territorio della Repubblica Popolare di Donetsk», fu un loro comunicato.
Anche il governo russo dichiarò che l’Ucraina si doveva «assumere piena e totale responsabilità» per l’incidente, in quanto avvenuto nello spazio aereo ucraino. Ma il 19 ottobre 2014 il settimanale tedesco Der Spiegel riferì come i servizi segreti tedeschi avessero accertato che il volo MH17 era stato abbattuto da un missile Buk lanciato dai secessionisti filorussi e che gli stessi si sarebbero impadroniti di tale sistema missilistico catturandolo in una base militare ucraina.
Alla fine fu un tribunale olandese che il 17 novembre 2022 condannò in contumacia all’ergastolo i due cittadini russi Igor Girkin e Sergej Dubinskij e il cittadino ucraino secessionista filorusso Leonid Charčenko, e stabilì anche che era la Russia ad avere il controllo delle forze secessioniste che all’epoca combattevano nell’Ucraina orientale. Ciò non impedisce alla propaganda filo-russa di continuare computare anche quei duecentonovantotto morti tra le quattordicimila «vittime del genocidio fatto dagli ucraini nel Donbas» che giustificherebbero l’aggressione di Putin.
Ma ci sarebbe anche il Tupolev Tu-154, volo 101 dell’aeronautica militare polacca, che il 10 aprile 2010 si schiantò nei pressi della città russa di Smolensk, con relativa morte di tutte le 96 persone a bordo. Tra le vittime il presidente della Polonia Lech Kaczyński, sua moglie Maria l’ex presidente della Polonia in esilio Ryszard Kaczorowski; il capo dello Stato maggiore polacco, vari alti ufficiali militari, il presidente della Banca nazionale di Polonia, funzionari del governo, diciotto membri del parlamento, alti membri del clero polacco, parenti delle vittime del massacro di Katyn. Tutti in viaggio da Varsavia per partecipare a un evento commemorativo del settantesimo anniversario dello stesso massacro. Incidente? Ufficialmente, sì. Ma in Polonia hanno ben più di un dubbio.