Moscato and friends Il centenario delle cantine Marenco

Nell’Alto Monferrato questa famiglia coltiva uva di varietà autoctone e produce vino da ormai un secolo, combinando progresso tecnologico e principi sostenibili

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Tra pochi mesi, nel 2025, le cantine Marenco di Strevi compiranno cento anni. Una bella storia di famiglia, nata in una delle zone a maggior vocazione vitivinicola del Piemonte, nell’Alto Monferrato, tra le colline di Strevi, terra di Moscato, e Brachetto, paese predestinato fin dal nome, di origine romana, reinterpretato nella tradizione popolare come Septem Ebrii, sette ubriachi, e quelle di Nizza, nei comuni di Fontanile e Castel Boglione dove da secoli si coltiva la Barbera.

Dedizione, amore per il lavoro in vigna fatto bene, ma anche capacità e desiderio di accogliere e applicare in modo saggio l’innovazione, hanno segnato fin dall’inizio l’attività, dal nucleo da cui tutto è nato, la vigna di proprietà di Michele Marenco nella Valle Bagnario di Strevi, che dal 2014, come parte dei Paesaggi vitivinicoli di Langhe, Roero e Monferrato, è patrimonio mondiale dell’Unesco. Nel 1956, il figlio Giuseppe inaugura la Cantina nel centro del Borgo alto di Strevi, dove ancora oggi si svolgono tutte le fasi della lavorazione, dalla pigiatura all’imbottigliamento, all’affinamento; nei primi anni 2000 le tre figlie, Michela, con il marito Giovanni Costa, a cui nel 2014 si è unito il figlio Andrea, Doretta e Patrizia, scelgono di continuare l’impresa di famiglia, sempre con lo stesso obiettivo: coltivare al meglio i settanta ettari di vigneti della tenuta secondo i principi dell’agricoltura sostenibile, calibrando l’eredità del passato con le nuove tecnologie e senza mai perdere di vista il territorio: tutti i vini sono prodotti esclusivamente con varietà autoctone coltivate nei vigneti di proprietà.

Nel tempo, l’attività si è ampliata e arricchita. La bella cantina, nel cuore del borgo superiore di Strevi, è aperta tutti i giorni al pubblico e alle visite guidate. Si possono seguire il processo e la storia dell’azienda e dei metodi di vinificazione, anche grazie a una raccolta di vecchi utensili e arredi contadini del passato allestita come un piccolo museo, assaggiare i vini dell’azienda accompagnati da prodotti locali. Ma anche scoprire di persona la bellezza dei vigneti, godersi il paesaggio dalla grande panchina Giallo Moscato dell’Amicizia, in valle Bagnario, o un picnic organizzato tra le vigne.

E se la zona affascina – Acqui Terme, con la Bollente, i suoi monumenti storici e il suo centro termale, è a pochi chilometri, Torino, Milano e Genova a un’ora di autostrada – si può prenotare uno degli appartamenti della cascina Valtignosa, in mezzo ai vigneti.

Vigneti curati in modo il più possibile naturale, mettendo in atto accorgimenti come il contenimento dell’erosione del suolo tramite l’inerbimento che, insieme al sovescio e alla concimazione con sostanze organiche, serve anche a migliorarlo, facendo riposare i terreni e fertilizzandoli senza l’uso di sostanze chimiche ed evitando l’irrigazione artificiale. L’utilizzo di serbatoi di conservazione del vino in cemento e l’impianto fotovoltaico installato sul tetto della cantina aiutano il risparmio energetico e l’ambiente.

I vini sono tutti quelli che offre il territorio: Moscato, sia dolce che secco, Barbera nelle sue diverse declinazioni, ferma e frizzante; ma anche Dolcetto, Cortese, che insieme allo Chardonnay diventa un ottimo spumante, il riscoperto Brachetto, un vino che nel 1817 il naturalista Gallesio definì “celebre” da dessert paragonandolo al Porto, poi decimato dalla filossera, e infine di nuovo in auge a partire dagli anni Cinquanta e soprattutto dal 2008, con la spumantizzazione.

E anche vere curiosità enologiche, come il Carialoso, un bianco affinato in barrique per sei mesi, che regge tranquillamente alcuni anni di imbottigliamento, frutto di un raro e quasi dimenticato vitigno autoctono piemontese dal nome curioso e accattivante, Caricalasino. Noto anche come Barbera Bianca, una volta veniva coltivato insieme ad altre varietà bianche, ma fu poi abbandonato in favore del Cortese, uva più remunerativa e alla base di uno dei bianchi d’eccellenza dell’area, il Gavi.

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