Questa estate ho iniziato la lettura del libro “Autocrazie” di Anne Applebaum a Ventotene, non era ancora uscito nell’edizione italiana curata da Mondadori, ma il saggio della Premio Pulitzer ed editorialista dell’Atlantic, letto nell’isola in cui l’Europa fu pensata durante il nazifascismo da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, ha un significato particolare. Se, come recita il Manifesto di Ventotene, «la via da percorrere non è facile, né sicura, ma deve essere percorsa», il modo con cui ogni giorno da Roma a Bruxelles, passando per Varsavia, si tutela la democrazia, e quindi la nostra casa comune, è ancora tutto da vedere.
Il libro di Applebaum è un manifesto di azione e di cura, di protesta, e di chiamata all’impegno, con un’analisi approfondita della minaccia complessiva che corriamo in questo tempo. L’asse delle autocrazie, che ha come capofila la Russia seguita dalla Cina, dall’Iran, dal Venezuela e dalla Corea del Nord, non è solamente una minaccia per la nostra sicurezza, ma è il fattore destabilizzante della quotidianità democratica, una minaccia sottovalutata da una classe politica a volte superficiale, a volte corrotta.
Nel suo saggio vengono delineate le caratteristiche politiche, ideologiche ed economiche delle autocrazie. Ritiene che le democrazie europee siano consapevoli della portata e della sfida storica che stiamo vivendo?
La risposta breve è no. Non credo che la maggior parte delle persone, e nemmeno la maggior parte dei politici, abbia ancora compreso la portata della sfida che ci troviamo ad affrontare. Nel mio libro descrivo che questo problema non riguarda solo la Russia, ma anche la Cina, e il legame che intercorre tra Cina, Russia e una rete di altre autocrazie che si oppongono al linguaggio e alle idee dell’Occidente, dell’Europa, degli Stati Uniti e del mondo democratico, e alle sue idee fondanti come lo Stato di diritto, il diritto internazionale, i diritti umani. Stanno cercando di minare questo patrimonio e non credo che la sfida sia stata compresa.
In che modo il nostro dibattito pubblico viene inquinato dalle autocrazie e dalla saldatura con i sistemi criminali?
In “Autocrazie” viene descritto un gruppo di regimi, non tutte le dittature del mondo, ma un gruppo particolare che non condivide un’ideologia comune. Parliamo della Russia nazionalista, della Cina comunista, dell’Iran teocratico e del Venezuela socialista bolivariano che hanno iniziato a lavorare insieme perché percepiscono che il linguaggio e le idee della democrazia liberale sono una sfida per loro e perché quel linguaggio è il linguaggio della loro stessa opposizione. Quindi, che si tratti del movimento delle donne in Iran, che è un movimento per i diritti umani, o del movimento di Navalny in Russia, che era un movimento contro la corruzione, o del movimento per la democrazia di Hong Kong, le autocrazie capiscono che questo linguaggio di libertà è pericoloso per loro. E così usano la repressione per respingere l’avanzata di queste idee, utilizzando anche campagne diffamatorie. Costruiscono un discorso pubblico in cui le autocrazie appaiono stabili e sicure, poste in difesa dei valori tradizionali, e le democrazie invece sono deboli, divise, degenerate moralmente e sessualmente. Arrivano a creare un senso di fallimento, di catastrofe e di divisione all’interno del mondo democratico attraverso mezzi diversi: false informazioni veicolate da falsi siti internet che amplificano alcune campagne in modo particolare.
Un esempio significativo?
In Spagna, ad esempio, hanno promosso un movimento separatista catalano perché era dannoso per il senso spagnolo di identità nazionale. Ma in generale producono in modo costante narrazioni anti europee, perché questo crea un senso di divisione all’interno degli stati nazionali. Ma voglio essere chiara, non lo fanno da soli, in ogni Paese hanno un partner interno del mondo democratico. La Russia è il Paese più attivo perché è nel suo interesse prossimo disintegrare l’Unione europea e la Nato. Vladimir Putin cerca di aumentare la sua sfera di influenza in Europa perché il rispetto dello Stato di diritto è il tema più minaccioso per la sua stabilità, e perché potrebbe contaminare la società russa attraendo proteste interne. È un decennio che lavora sulla creazione di questo dispositivo di destabilizzazione, cercando alleati tra l’estrema destra e l’estrema sinistra, sperimentando queste nuove misure di propaganda, e c’è da dire che ha avuto successo.
Tuttavia hanno lavorato su qualcosa che già covava nelle nostre società.
Si, hanno contribuito ad amplificare narrazioni arrabbiate e divisive, hanno trovato divisioni esistenti e le hanno ingrandite. I russi non hanno inventato nulla, non hanno inventato Marine Le Pen o Matteo Salvini, ma li hanno promossi a volte usando i bot e i troll su internet, altre volte attraverso il sostegno economico. In futuro, quando guarderemo questa situazione con gli occhi della storia, vedremo che queste attività hanno avuto un effetto importante. Non credo che siano l’unica fonte di insoddisfazione, ma sono un veicolo di espansione di un pensiero negativo nei confronti di quanto le nostre società hanno acquisito nel tempo.
L’invasione dell’Ucraina è divenuta uno spartiacque della storia. La propaganda russa ha trasformato un’invasione in una reazione alle politiche dell’Occidente. Quanto pensa che la classe politica occidentale fosse impreparata a questo cambiamento di scenario? Come valuta la reazione della stampa e della classe politica alla guerra?
Putin ha invaso l’Ucraina per tornare al sogno imperiale russo, quindi da un lato si tratta di una guerra coloniale classica con l’idea di trasformare, occupare, russificare e ripulire etnicamente l’Ucraina. Un conflitto che nell’ottica del Cremlino avrebbe reso nuovamente grande la Russia, insomma una guerra del XX e XXI secolo. Ma dall’altro lato è stata anche una guerra progettata per attaccare gli ideali fondamentali che hanno unito l’Europa dal dopoguerra ad oggi, l’idea che non si cambiano i confini con la forza e che esiste un diritto internazionale. Per Putin era necessario dimostrare all’Europa che lui può invadere, attuare una pulizia etnica, condurre arresti di massa, deportare oltre ventimila bambini ucraini in Russia e cambiargli le identità. Questo è un crimine che è l’esatta copia di ciò che i nazisti fecero durante la Seconda Guerra Mondiale, un’idea fascista. Il suo obiettivo era mostrare a tutti noi che la base del nostro senso di sicurezza non reale, e mostrare all’Europa che anche la base della sua esistenza non è reale.
In un certo senso, l’Europa ha reagito. Putin, credo, è rimasto molto sorpreso sia dalla risposta dell’amministrazione Biden sia dalle iniziali risposte britanniche, francesi e tedesche, sia dal fatto che ci sia stata un’azione della Nato, che ci siano stati qualcosa come cinquanta Paesi che in tempi diversi hanno fornito armi o aiuti all’Ucraina, che ci sia stato un sostegno finanziario all’Ucraina. Ma man mano che la guerra è andata avanti, è stato chiaro che il mondo democratico non era del tutto preparato alla portata di questa guerra. Non era preparato al fatto che i russi combattessero così a lungo, e con così tante perdite. E non era nemmeno preparato al fenomeno, di cui abbiamo già parlato e che ho descritto nel mio libro, della collaborazione del mondo autocratico con la Russia.
Così il fatto che gli iraniani abbiano fornito droni alla Russia, o che i nordcoreani abbiano fornito munizioni e persone, o che i cinesi abbiano aiutato i russi a infrangere le sanzioni, e li abbiano riforniti di componenti e parti per la loro industria della difesa, ha colto di sorpresa le nostre società, sia la politica sia il giornalismo. Ritengo inoltre che la gente non abbia compreso la portata di questo conflitto, perché la posta in gioco è la stessa di tre anni fa: la distruzione dell’Ucraina o una sua sottomissione a un governo filorusso avrebbe un impatto sulle nostre economie molto più grave rispetto al sostegno a un Paese aggredito. Se l’Ucraina dovesse crollare, ci costerebbe di più per la necessità di costruire i nostri sistemi di sicurezza, per le perturbazioni economiche e per il carico di milioni e milioni e milioni di rifugiati che si riverserebbero sui Paesi dell’Unione.
Non credo che l’opinione pubblica abbia chiaro tutto questo, assieme al fatto che un mondo autocratico, rinvigorito dall’alleanza tra Cina, Russia, Iran, Venezuela, Corea del Nord, significherebbe combattere un conflitto continuo, anche dentro i nostri confini. Il popolo europeo non ha ancora affrontato una vera scelta tra democrazia o autocrazia. Una scelta brutale e netta.
Negli ultimi anni, l’Italia ha registrato una forte presenza di oligarchi e propagandisti russi, e le forze progressiste in Italia sembrano sottovalutare il pericolo e il potenziale attacco alla democrazia liberale, e continuano a chiedere sforzi diplomatici da parte dell’Unione europea. Quindi, secondo lei, come viene considerata questa posizione nel dibattito internazionale, se viene considerata, e cosa pensa di ciò che sta accadendo nel dibattito pubblico italiano?
Sono consapevole della forte presenza della propaganda russa in Italia, lei conosce meglio di me la situazione attuale, ci sono partiti filorussi che nel corso del tempo hanno subito degli strani spostamenti. Ad esempio il Movimento 5 Stelle originariamente non aveva nulla a che fare con Putin, ma a un certo punto ha iniziato ad essere legato al Cremlino, e non ho mai capito bene il perché. Nel mondo economico italiano girano molti soldi russi, e i legami commerciali diventano legami politici. Credo che tutti noi vogliamo la pace e che la guerra finisca, ma c’è una differenza enorme se questa guerra finisce con la vittoria della Russia e la resa dell’Ucraina, perché l’Europa diverrà ancora più insicura e illiberale. C’è una tendenza alla semplificazione allarmante dettata dagli interessi o da una superficialità grave. In entrambi i casi, occorre essere consapevoli della posta in gioco.
Come lei ricordava, su questo giornale ci stiamo occupando di propaganda russa, cercando di svelare trame e complicità. Il panorama di gravità che lei racconta nel suo libro lo riscontriamo sul piano reale ogni giorno. Come è possibile curare la democrazia e combattere le autocrazie?
Occorre un’alleanza europea per scardinare un sistema che deve cambiare perché abbiamo permesso alle strutture cleptocratiche di proliferare tramite l’uso di società offshore, di banche, e di società anonime, permettendo che il denaro sporco divenisse una valuta di scambio grande e importante. Tra i maggiori contribuenti di questo mondo, ovviamente, ci sono gli Stati autocratici che tengono nascosto il loro denaro. Ma abbiamo permesso a molte delle nostre imprese di fare lo stesso. Penso che porre fine a questo, porre fine alla segretezza del denaro e alla facilità con cui alcune persone sono in grado di eludere tasse, regole e responsabilità sia qualcosa che deve essere fatto da molti Paesi, non solo dall’Italia.
Una seconda area di intervento è quella di internet e dei social media. In questo momento, abbiamo un modello di business su Internet che incentiva le persone a produrre contenuti cospiratori o fake. Abbiamo anche diverse forme di social media che sono, come dire, deliberatamente progettate per rendere le persone arrabbiate contro la democrazia, ad esempio TikTok che è una società di proprietà cinese che opera in modo molto opaco. Non sappiamo perché le cose diventino virali o che cosa lo diventi. Non sappiamo come vengono utilizzati i dati raccolti su TikTok. Non mi sembra sia chiaro che permettere a questo social di essere un attore politico importante è di estrema gravità.
Nelle ultime due settimane abbiamo prove evidenti che TikTok ha influenzato le elezioni in Romania, in modalità non visibili alle persone che non erano sull’app. Avremo bisogno di un consorzio di Paesi che lavorino sul controllo degli algoritmi e sulla responsabilità legali dei contenuti che circolano sulle piattaforme. Non si tratta ovviamente di un meccanismo censorio, ma occorre che le aziende – oltre i profitti enormi – condividano con gli Stati la responsabilità sociale del proprio agire.
L’Europa in questo può essere protagonista assieme agli Stati Uniti. Infine credo che occorre finalmente prendere atto che il modo con cui Russia e Cina hanno utilizzato il nostro sistema economico per acquisire influenza e potere politico debba indurci a rivedere i termini del nostro commercio con questi Paesi, e anche la nostra capacità di difenderci nel caso che la guerra in Ucraina diventi ancora più grave di quanto lo sia ora. Il modo migliore per prevenire una guerra è dissuaderla, e lo si fa con una dimostrazione di forza, non con la divisione e l’apatia.
Da qualche giorno si è insediata la nuova Commissione Europea. Ursula Von der Leyen ha iniziato il suo secondo mandato con qualche problema di tenuta. Cosa si aspetta dai prossimi cinque anni?
L’Europa si è mossa in una direzione migliore negli ultimi tre anni, il fatto che la difesa europea comune e la lotta alle autocrazie vengano discusse a Bruxelles, mentre prima venivano ignorate o sottovalutate, è significativo. Ma credo che siamo ancora molto lontani dal prendere delle decisioni grandi e difficili che riguardino le cleptocrazie, i social media e gli armamenti. Non serviranno solo grandi discorsi, ma anche decisioni difficili che devono ancora arrivare.