Truffa delle etichetteGli slogan vuoti del governo, e l’illusione populista delle risposte facili a problemi complessi

Lo scontro con la magistratura sui migranti è solo l’ultimo capitolo di una storia già sentita. A questa destra sovranista non interessa trovare soluzioni efficaci, ma solo dare l’impressione di farlo

Lapresse

Il presidente della Repubblica ha firmato l’ennesimo provvedimento spot (denominato come propaganda impone “Paesi sicuri”) del governo Meloni, con cui la premier si è posta lo scopo di tagliare le unghie alla magistratura che ha osato opporsi alla campagna di Albania. Una lunga teoria, quella delle leggi eccezionali, cominciata con un provvedimento contro i “rave” e che poi si è dipanata all’insegna del marketing politico in tema di sicurezza, carcere, reati etico-universali che non apparivano in un ordinamento statale dai tempi degli Stati totalitari del secolo scorso.

Il tutto accompagnato da un ossessiva e ansiogena campagna di comunicazione sui vari media, dalla tv a TikTok, tesa a trasmettere un’aura di successo e di autorevolezza intorno alla premier. Toni di cui è facilmente individuabile l’ascendenza all’esaltazione della bonifica agro-pontina del governo Mussolini, e del grande ruolo internazionale del Duce ai tempi del patto di Monaco.

Contemporaneamente fanno capolino toni di velata pressione e minaccia contro i critici e i possibili sabotatori istituzionali delle grandi riforme dell’attuale esecutivo. Ecco dunque gli ammonimenti (e come nel caso del giudice Marco Patarnello l’aggressione ad personam) ai magistrati “rossi”, mentre si fanno ponti d’oro a quelli di destra che, come ha ricordato Francesco Cundari su questo giornale, vengono entusiasticamente arruolati nella compagine governativa a partire dalla “mente giuridica” di Meloni, il sottosegretario Alfredo Mantovano, magistrato impeccabile e politico più che opinabile (lo si scrive con particolare dispiacere, ricordando il giudice che da magistrato faceva sperare nella sua riuscita istituzionale).

Che a fornire aiuto e vicinanza al governo sia la corrente (Magistratura “Indipendente”) di provenienza di Mantovano è considerato un particolare di cui non menare scandalo, ancorché da essa provengano buona parte dei protagonisti delle memorabili notti dell’“Hotel Champagne” ai tempi dello caso di Luca Palamara. Ma anche questo è secondario.

L’ultima categoria bersagliata è quella dei medici, presa di mira dal ministro Eugenia Roccella, anche lei esule dal proprio passato, che vengono diffidati dall’osservare gli obblighi di riservatezza in relazione ai nati da gestazione per altri che dovranno denunciare. Un’aberrazione da narrazione distopica: Mattia Feltri ha evidenziato quale panzana sia l’innovazione del “reato universale”, giacché già l’articolo 9 del codice penale consente di perseguire il cittadino italiano che commetta reati all’estero. Il che fa capire quali finalità, esclusivamente pubblicitarie, abbiano i provvedimenti in materia penale del governo. Tramite una vera e propria “truffa delle etichette” si varano slogan pubblicitari la cui sostanza è ben diversa da ciò che viene declamato.

L’ultimo esempio è quello dei protocolli e dei decreti albanesi. Lo scopo prefissato era quello di introdurre una miracolistica “procedura accelerata” per i rimpatri (in realtà si tratta di respingimenti come quelli di Matteo Salvini, senza chiudere i porti, ma solo il controllo della giurisdizione).

Molto si è detto sulla famosa sentenza della Corte di Giustizia che secondo l’ineffabile ministro della Giustizia sarebbe stata mal tradotta dal francese. Umilmente, ci permettiamo di rilevare che a capire male non sono stati i giudici romani che si sono rifiutati di collaborare col governo, e che il governo ha violato i diritti di dodici disgraziati non si sa come selezionati per il soggiorno nel villaggio vacanze detentivo in Albania (sesso, religione, nazionalità: c’erano solo bengalesi ed egiziani delle diciannove provenienze individuate come “sicure”?).

Tralasciando la diatriba su cui fin troppo si è discusso sul concetto di Paese sicuro, il punto cruciale della sentenza europea è il paragrafo 87 che, se abbiamo ben tradotto (ce lo dirà Nordio), ha ribadito come «un ricorso effettivo (contro il rigetto della domanda di asilo) preveda un esame completo sia dei fatti sia dei punti di ordine giuridico che devono essere interpretati nel senso che gli Stati membri sono tenuti, in virtù di tale disposizione (la direttiva europea 13/32 che la corte ha interpretato erga omnes), ad adattare il loro diritto nazionale in modo che il trattamento dei ricorsi in questione comprenda un esame, da parte del giudice, di tutti gli elementi di fatto e di diritto che gli consentono di procedere a una valutazione aggiornata del caso in questione».

Evidentemente al governo qualcuno non ha avuto notizia che circa otto secoli fa in Inghilterra veniva varato un documento denominato Magna Charta in base al quale veniva fissato il principio dell’Habeas Corpus, secondo cui «nessun uomo libero può essere arrestato, imprigionato […] o danneggiato in alcun modo, eccetto dal giudizio legale dei suoi pari e dalla Legge del Paese.»

Questo il vero punto della sentenza, se lo annotino gli zelanti corifei del governo di  “liberali immaginari”. Un provvedimento limitativo della libertà personale, un sequestro di persona governativo (altro che Open Arms) può essere autorizzato solo da un giudice, e solo dopo una procedura garantita davanti a un tribunale, malauguratamente coi tempi che ciò richiede.

Per porre rimedio a questa sciagurata necessità che gli Stati autoritari, così cari alla classe di governo, sanno risolvere, il governo in fretta e furia ha varato un decreto con due sostanziali novità.

La prima è una lista di diciannove Paesi da cui apprendiamo essere stati espunti, pensate un po’, la Nigeria di Boko Haram e la Colombia dei narcos.

La seconda “innovazione” è prevedibile che scatenerà la sollevazione dei magistrati delle ventisei Corti di Appello italiane. Che vengono gravate, oltre che delle ordinarie procedure di ricorso contro i rigetti delle domande di asilo, anche di un’ulteriore incombenza: l’esame dei reclami contro l’immediata esecutività dei rigetti.

Infatti, sempre al fine di usare il pugno di ferro contro «cani e porci» (cit. Salvini), il respingimento di una domanda di asilo effettuato dalle commissioni governative secondo la famosa lista è immediatamente esecutivo, salvo che non venga sospeso con un decreto dal Tribunale che può essere appunto impugnato dal ministro dell’Interno innanzi le Corti di Appello. Roba da impazzire che sta già suscitando la ribellione dei capi dei vari distretti – alcuni dei quali sostengono che con questo ulteriore aggravio non saranno in grado di rispettare gli obiettivi di riduzione del carico di pendenze previsto dal Pnrr.

In realtà il governo ha dovuto alzare bandiera bianca davanti ai giudici, riconoscendo che essi debbano avere l’ultima parola e che non siano possibili procedure automatizzate di espulsione di migranti come fossero calcoli renali. Del tutto velleitari sono i termini (pochi giorni) in cui le procedure di ricorso dovrebbero svolgersi. Sarà un ennesimo fallimento.

Il punto è che al governo non interessa risolvere i problemi che non consentono procedure miracolistiche, ma dare l’impressione di farlo. È il dramma dei regimi populisti: l’illusione di risposte semplificate di fronte a questioni complesse che richiedono competenze e strategia, doti con essi non compatibili.

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