RebrandingNo, Corvetto non è la banlieue di Milano

Il quartiere popolare del capoluogo lombardo è stato descritto come una periferia degradata e pericolosa. Non è così: ha un tessuto multietnico con sfide sociali problematiche, ma è anche al centro di un processo di gentrificazione, accelerato dai progetti legati alle Olimpiadi Invernali e dalla presenza di grandi investitori come Fondazione Prada

LaPresse

Nelle ultime settimane Corvetto è finito sotto i riflettori nazionali per la vicenda di Ramy Elgaml. Ramy, diciannovenne egiziano residente nel quartiere, è rimasto ucciso nella notte tra il 23 e il 24 novembre in un incidente stradale in scooter, durante un inseguimento dei Carabinieri. Attorno all’episodio, e al grido «Ramy vive», nei giorni successivi si è scatenata la rabbia del Corvetto, con tanto di cassonetti bruciati, autobus danneggiati, petardi e tentativi di blocco del traffico. Scene che a una certa parte dei media e della politica hanno evocato l’immaginario delle banlieue, la cintura di sobborghi periferici che circondano le metropoli francesi, abitata per lo più da famiglie straniere e caratterizzata da forti difficoltà socio-economiche. 

Il paragone tra Corvetto e le banlieue, però, non sta in piedi. Innanzitutto perché Milano non è Parigi – i numeri relativi alla popolazione sono un chiaro indizio (l’Île-de-France comprende oltre dodici milioni di persone, mentre l’area metropolitana del capoluogo lombardo si ferma a 3,2 milioni). E poi, perché Corvetto non ha niente a che vedere con le periferie della metropoli francese. Un po’ perché nel quartiere c’è una forte miscela sociale, con una presenza significativa di stranieri (35.276 su 165.393 residenti non sono italiani, in pratica uno su cinque), che però coesistono e interagiscono con realtà diverse dalla loro. Un po’ perché Corvetto è una periferia molto poco periferica: con la metropolitana si arriva in piazza Duomo in un quarto d’ora. E un po’ perché le sessantanove associazioni di volontari attive nel quartiere costituiscono un tessuto civile forte e vivace – il cui ruolo, educativo e d’integrazione, viene spesso fagocitato da narrazioni sensazionalistiche e strumentali provenienti dalla politica (quale che sia il colore). 

La Cooperativa Martinengo, frequentata anni fa anche da Ramy, è una di queste associazioni. Gestita dalle Suore di Carità dell’Assunzione (e da alcuni volontari), la Cooperativa è attiva nel quartiere dal 1985 e propone iniziative di vario tipo, tra cui il centro diurno e il doposcuola per centinaia di bambini e ragazzi. «In un quartiere come il nostro, segnato da tante sfide, a volte descritto sui giornali come una banlieue in cui vivere sembrerebbe particolarmente difficile, questi luoghi e queste persone ci sono», dice a Linkiesta Suor Cristina. «Come scrive Italo Calvino, in una situazione nella quale sembra prevalere il male, occorre “cercare e riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”», aggiunge. 

Sullo stesso fronte opera Dare Ngo, una giovane associazione no profit che propone diverse attività di assistenza a famiglie. «Vogliamo coinvolgere i residenti di Corvetto in attività che facciano sentire come proprio lo spazio in cui queste persone vivono», ci dice Alberto Sanna, presidente e fondatore di Dare Ngo. Una di queste è HerCity, un progetto sviluppato in collaborazione con le Nazioni Unite, che prevede la pianificazione da parte di ragazze e donne del quartiere di aree o elementi urbanistici («un lampione in più, oppure un campo da basket») per migliorare la vivibilità. «Corvetto è un luogo che ha molte potenzialità: bisogna intercettarle sistematicamente e costruire qualcosa di concreto assieme ai residenti», aggiunge Sanna. 

Eppure, Corvetto è oggetto di narrazioni fortemente stigmatizzanti, che lo descrivono come un quartiere pericoloso e da cui tenersi alla larga. A innescare questo tipo di visione è il Quadrilatero Mazzini, una delle più estese zone di patrimonio pubblico abitativo ancora esistente in città, storicamente abitata da ceti popolari con redditi bassi. Alcuni abitanti del quartiere, per lo più anziani, si sentono poco sicuri a girare da quelle parti. «Dopo le diciassette, quella zona diventa terra di nessuno», racconta Giorgia, una signora che vive a Corvetto dal 2007. «Io amo l’amministrazione comunale e sono totalmente distante dai partiti di governo, per cui non ne faccio una questione di razzismo. Ma qui la gente si ammazza», aggiunge. Analogo discorso per Sergio e Giovanna, pensionati che vivono a Corvetto da più di quarant’anni: «La situazione negli ultimi anni è peggiorata molto. Quando viene a trovarci nostra figlia, che abita dall’altra parte della città, siamo preoccupati che le possa succedere qualcosa nel tragitto», dicono. 

Non tutti i residenti di Corvetto, però, la pensano allo stesso modo. «Non ho paura delle persone che vivono qui. Mi sento sicura a girare per il quartiere, anche di notte. È uno dei pochi posti a Milano in cui si vive ancora la dimensione del quartiere, in cui tutti si conoscono per nome e si salutano», dice Maria, ventisei anni. Nata e cresciuta a Corvetto, dopo aver lasciato la casa di famiglia ha deciso di restarci. «Ciò che mi fa più paura è la gentrificazione: se continueranno ad aumentare gli affitti, chi abita qui sarà costretto ad andarsene», aggiunge. E non ha tutti i torti. 

A partire dall’inizio dei cantieri per le nuove costruzioni legate alle Olimpiadi Invernali Milano-Cortina 2026, il prezzo degli immobili al metro quadro in questo quartiere è passato da tremilasettecento a oltre quattromilacinquecento euro, con una crescita che ha già superato il dieci per cento, circa il doppio della media cittadina. Stretto tra il Villaggio Olimpico allo Scalo di Porta Romana e il Palaitalia, il nuovo palazzetto dello sport che sorgerà nell’area di Santa Giulia a Rogoredo, nei prossimi mesi Corvetto potrebbe dire addio alla sua anima popolare (è nato negli anni Trenta come quartiere di edilizia popolare pubblica) e convertirsi alla sempre più pervasiva operazione di rebranding milanese – come già avvenuto, ad esempio, nell’area di via Padova con il quartiere di North of Loreto (Nolo), più o meno dodici anni fa. 

Negli ultimi anni, infatti, diversi progetti di riqualificazione, di eventi e di iniziative pubbliche e private hanno contribuito alla produzione di una nuova immagine di Corvetto, alimentando uno storytelling urbano che associa alla retorica della percezione dell’ordine discorsi sulla vivibilità e sicurezza di un quartiere.

Ma i cantieri olimpici – alcuni partiti prima dell’assegnazione dei Giochi Olimpici fatta a luglio 2019, in quanto parte di progetti urbanistici più ampi – hanno solo accelerato un processo di trasformazione dell’area (e del suo racconto) che era già in atto da qualche anno, e di cui il principale responsabile è stato Fondazione Prada. Nel 2015, infatti, l’importante istituzione di arte contemporanea milanese finanziata dall’omonimo marchio di moda ha inaugurato la nuova sede nei locali di un’ex distilleria ristrutturata in largo Isarco. E attraverso un’efficace operazione di branding territoriale, ha ribattezzato l’area come South of Prada (Soupra). 

Quella del branding territoriale è una tendenza presente a Milano dai primi anni Duemila. Le amministrazioni comunali meneghine hanno voluto riscattare l’immagine della città, spesso associata a un immaginario post-industriale di centro fatto di uffici e fabbriche, e conferirle l’aspetto di città dell’intrattenimento, dell’arte e della cultura. L’Expo del 2015 ha contribuito al “rinascimento di Milano”: a partire da quell’evento sono infatti state promosse politiche di placemaking rivolte all’ambito culturale per attirare economie e professioni creative, sia nelle aree centrali che in quelle periferiche. 

Una riqualificazione diffusa, dunque, di cui Soupra è stato uno dei principali frutti. Oggi, con il placet del Comune, la zona si presenta come un importante polo culturale, artistico e, nel 2026, anche di eventi sportivi. In questo scenario, è Fondazione Prada a fare la parte del leone. E non solo per la preminenza simbolica e fisica nell’area (la sede è un torrione bianco di dieci piani ben riconoscibile). Ma anche perché la Holding Prada, la società del marchio dedicata al mercato immobiliare, fa parte della cordata che ha vinto l’appalto dello sviluppo dello Scalo insieme a Covivio e Coima, due Società di Grandi Risparmi, protagoniste di altre operazioni di finanziarizzazione nel capoluogo lombardo, come quelle di Porta Nuova o Tre Torri.

E Corvetto? Il quartiere non è rimasto immune alla metamorfosi dell’area e allo storytelling che l’ha accompagnata. Ne sono esempio piazza Angilberto II – dove la beautification si è tradotta in asfalto colorato, fioriere e tavoli da ping-pong – e il Parco di Porto di Mare – soggetto da qualche anno alla green gentrification, funzionale alla narrazione di un Corvetto cool e connesso con la terra. Operazioni di cosmesi urbana come queste contribuiscono a cucire addosso al quartiere la narrazione di polo creativo e culturale del Sud di Milano. Con questa nuova veste, è probabile che in futuro Corvetto finisca nel mirino di sempre più agenzie immobiliari e Real Estate, innescando dinamiche di sviluppo speculativo e di aumento del valore immobiliare dei suoi edifici. E tutto ciò con buona pace dei residenti, naturalmente. 

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