Elly, ti presento Renzi. Ha il due per cento? Buttalo via, in un Paese dove i due schieramenti continuano malgrado tutto a essere pari: Liguria docet. Fai politica, segretaria, altrimenti finisce che ha ragione Pierluigi Bersani quando dice alla Stampa che «rischiamo un altro anno a pane e propaganda» (dal che si evince una sua inattesa bordata alla leader dem). Segretaria, qui servono atti. Anche piccoli. Qualche incontro, un convegno, un documento. Elly sa che Giuseppe Conte non funziona più come un tempo, che gli aviessini di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni non bastano. Qui servono tutti.
Ora, Renzi non è, e non sarà mai, un compagno, ma un alleato sì. Circa un anno fa, per prima cosa, quando si almanaccava di stampelle, di aiutini e di un Matteo di destra, ci disse: «Io non andrò mai con Giorgia». Però non se la sentiva di aprire un discorso con il Partito democratico, di cui avvertiva l’irriducibile ostilità, mai venuta meno, peraltro. La fase del Terzo polo già era nata morta per i dissapori con Carlo Calenda, una storia mai del tutto chiarita e ora per lui seppellita per sempre, e ci fu l’inevitabile naufragio alle elezioni europee con il mancato raggiungimento del quorum sia per Renzi-Bonino che per Azione.
Sono passati molti mesi. Cambiata la fase, Schlein non ha polemizzato mai con Italia viva e non ha messo veti, al che Renzi si è infilato in questo spazio collocando Italia viva con la sua autonomia nel centrosinistra. Giuseppe Conte si è molto irritato ma aveva e ha i suoi bei problemi, alle varie elezioni regionali ha avuto percentuali del cinque per cento, quando è andata bene. Ma è stata soprattutto Giorgia Meloni a invelenirsi, perché ha capito che Renzi di là è una mina vagante e soprattutto porta agli avversari un po’ di voti che sarebbe stato meglio congelare in un fantomatico e/o innocuo centro.
Siamo alla fase attuale culminata sabato al Senato con lo scontro tra Renzi e Ignazio La Russa definito «camerata», cioè il presidente del Senato che non riesce a non perdere le staffe quando parla il leader di Italia viva. Sono due temperamenti, il fiorentino e il siciliano, destinati a scontrarsi ancora nella bomboniera di palazzo Madama, la cosa si ripeterà perché La Russa presiede come presiede e Renzi le spara grosse (certo la battuta sull’età avanzata del presidente se la poteva risparmiare). Ma il leader di Italia viva ce l’ha con la presidente del Consiglio, più che con La Russa e i vari Fratelli. E non si fermerà. Anzi, sarà questa escalation contro Meloni che caratterizzerà il 2025 di Renzi: una chiave fondamentale per accreditarsi nei fatti come una punta dell’opposizione, dunque come un oggettivo soggetto – scusate il bisticcio – del centrosinistra.
Ma questo ancora non basta. Per incontrare seriamente il Pd è fondamentale mettere a fuoco la nuova cultura del partito schleiniano, questo impasto di nuovi diritti, ambientalismo, elementi di cultura cattolica e post-comunista, tratti assemblearistici, impeto antifascista, che dovrebbe non tanto mescolarsi ma più semplicemente allearsi con una impostazione neo-liberale che punta all’innovazione, alla meritocrazia, alla spinta che dalle élite urbane guarda a forme di comunitarismo sociale.
Un’alleanza dinamica che non cristallizzi le specificità, ma che sia in grado di alimentare una competizione virtuosa tra alleati. È probabile che Elly Schlein, oggettivamente la leader del centrosinistra, tutto questo lo senta ma forse debba ancora capire come farne il lievito di una strategia, mentre Renzi appare già più sintonizzato su questa lunghezza d’onda. Se Elly fa politica, prende Renzi e tutti gli altri si organizzano per bene; mentre la destra starà politicamente ferma, l’anno che sta arrivando potrebbe portare all’attuale opposizione un certo dinamismo e un concreto passo avanti: ed è questa la novità.