Questo è un articolo del nuovo numero di Linkiesta Magazine, con gli articoli di World Review del New York Times. Si può comprare già adesso, qui sullo store, con spese di spedizione incluse. E dal 25 novembre anche in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia.
Conosco una città nel Sud dell’Ucraina in cui ogni singola casa è stata distrutta dai bombardamenti. Anche le macerie sono piene di fori di proiettile. Posad-Pokrovske, nella regione di Kherson, è stata occupata dai russi per la maggior parte del 2022, finché l’esercito ucraino non li ha cacciati fuori. Quando sono stato in quella città, un anno fa, ho incontrato Mariya che viveva in una capanna di lamiera ondulata collocata dietro le macerie della sua casa – le sue cose disposte ordinatamente, le bottiglie d’acqua in fila, le prolunghe del generatore ben nascoste. Era orgogliosa del governo della sua Ucraina e piangeva pensando con affetto al suo presidente, Volodymyr Zelensky, che le sembrava così giovane (Mariya ha ottantasei anni). Parlando con me lei usava, in ucraino, la parola “deoccupazione” e non, come mi sarei invece aspettato, “liberazione”. Avevo nello zaino le bozze di un mio libro sulla libertà. L’ho tirato fuori e ho preso nota. Ci piace pensare che le persone siano libere quando arriva l’esercito giusto – e che questo costituisca una “liberazione”. Ma eliminare il male non è sufficiente. Mariya sarebbe meno libera senza la sua abitazione temporanea, fornita da un’organizzazione internazionale. E sarà ancora più libera quando il sentiero scavato tra le macerie sarà abbastanza largo perché lei possa passarci con il suo deambulatore e quando gli autobus torneranno a circolare.
Gli ucraini non si aspettano che noi portiamo loro la libertà. Un soldato mi ha chiesto di ricordare agli americani che loro non hanno bisogno delle nostre truppe. Hanno bisogno delle nostre armi, come uno strumento tra i tanti per mantenere aperta una finestra sul loro futuro. Nessuno può portare la libertà a qualcun altro. Ma la libertà può nascere dalla cooperazione. Gli ucraini devono continuare a combattere perché sanno cosa significa l’occupazione russa. Hanno tutte le ragioni per pensare alla libertà in senso “negativo” – e cioè come una semplice rimozione di ciò che è sbagliato. Ma nelle centinaia di conversazioni che ho avuto con gli ucraini sulla libertà, comprese quelle del mese scorso con i soldati al fronte, non ho mai sentito nessuno esprimersi in questi termini. Per loro la libertà è fatta di impegni morali e di una raggiera di possibilità. Anche gli ucraini che guidano i furgoni verso il fronte e ricostruiscono le case parlano delle proprie azioni in termini di “libertà”.
Di recente, tra le rovine della periferia di Kharkiv – così com’era avvenuto l’anno scorso tra le macerie della regione di Kherson – mi è tornata in mente un’infermiera che arrivò in un campo di concentramento nazista nel 1945, dopo la “liberazione”, e scrisse nel suo diario che quella non era la parola giusta. I detenuti non potevano essere considerati liberi, pensava, finché non fossero stati rimessi in salute e non si fosse trovata una qualche soluzione per i loro traumi.
Certo, quello in cui le forze russe saranno allontanate dall’Ucraina sarà un momento importante. E, naturalmente, è stato importante il momento in cui le SS hanno abbandonato i campi. Nessuno è libero dietro il filo spinato o sotto i bombardamenti – che si parli del passato o del presente, dello Xinjiang, di Gaza o di qualsiasi altro luogo.
Ma la libertà non è solo determinata dall’assenza di male. La libertà è una presenza di bene. È il valore sotteso agli altri valori, è la condizione che ci permette di scegliere e combinare fra loro le cose buone, portandole nel mondo e lasciando la nostra personale impronta. La libertà è “positiva”.
Finché gli americani immagineranno la libertà solo in termini “negativi” – come se si trattasse solo di sbarazzarsi di un potere oppressivo – non avremo mai una land of the free [la terra dei liberi di cui parla l’inno americano, ndr]. Dovremo invece ascoltarci a vicenda su come il potere possa creare le condizioni che permettano alla libertà di svilupparsi. Come dicono i conservatori, la virtù è qualcosa di reale. E, come sostengono i liberal, ci sono molte virtù che dobbiamo prendere in considerazione e combinare fra loro. E, come sostengono i socialdemocratici, dobbiamo collaborare per creare le strutture che ci permettano di farlo.
La libertà ci aiuta a capire quale forma di governo adottare. La libertà, a mio avviso, assume cinque forme, che collegano filosofia e politica. La prima, la sovranità, corrisponde alla capacità sviluppata dai bambini di comprendere se stessi e il mondo. Pensiamo agli Stati come sovrani, ma una politica che si fonda sulla libertà necessita di un governo che aiuti le persone a essere sovrane. La seconda è l’imprevedibilità, che ci rende indisciplinati e vivaci. La terza, è la mobilità, che è costituita dalla molteplicità di percorsi nello spazio e nel tempo che si aprono davanti a noi. La quarta, è la concretezza, e cioè la presa sul mondo che ci permette di cambiarlo. E la quinta è la solidarietà, ovvero il riconoscimento del fatto che tutti dobbiamo godere della stessa libertà.
E per quanto riguarda la home of the brave [la patria dei coraggiosi di cui parla l’inno americano, ndr]? È da vigliacchi credere che la libertà sia solo “al negativo”, sia solo un’assenza. Quando pensiamo alla libertà in questo modo, lasciamo inevase tutte le domande più difficili: Chi siamo? Che cosa ci sta a cuore? Per che cosa siamo disposti a correre dei rischi? E, in realtà, stiamo dicendo che sarà qualcun altro, o qualcos’altro, a riempire il vuoto e a fare il lavoro al nostro posto. Che un leader ci dirà che cosa pensare. Che sarà il mercato a pensare per noi, oppure che lo farà una qualche macchina. O che, in qualche modo, sono stati i Padri fondatori a pensare già a tutto, molto tempo fa.
Abbiamo bisogno di un governo per risolvere alcuni problemi e poter quindi essere liberi. Solo un governo può fermare un invasore o rompere un monopolio. Ma questo è solo l’inizio. Quando le persone hanno l’assistenza sanitaria, sono meno preoccupate per il futuro e sono libere di cambiare lavoro. Quando i bambini hanno accesso alla scuola, da adulti sono più liberi di organizzare la propria vita. Chi da bambino ha avuto la possibilità di studiare può difendersi dalle bugie degli aspiranti tiranni. La libertà è un lavoro nazionale. Ci vuole un’intera nazione che collabora per creare degli individui liberi. Questa cooperazione si chiama governo. E la libertà è anche un lavoro generazionale. Affinché i bambini crescano liberi, le istituzioni e le politiche necessarie devono già essere presenti. I bambini non possono creare le condizioni della propria educazione. Nessun giovane può costruire le strade e le università necessarie per il sogno americano. Dobbiamo sempre guardare avanti. È questa prospettiva, questo senso di un futuro migliore che può essere realizzato grazie alle decisioni che prendiamo nel presente, a rendere libera una terra.
Negli Stati Uniti, quando crediamo che la libertà sia qualcosa “al negativo”, crediamo di avere sempre ragione. Ci separiamo dal mondo esterno, credendo che questo costituisca una liberazione. E ci ritroviamo in uno spazio sicuro con altri americani che la pensano come noi. A renderci liberi dovrebbe essere una qualche forza esterna e quando questo non avviene, chiamiamo comunque “libertà” la condizione in cui ci troviamo. Abbiamo una risposta per tutto: qualsiasi cosa accada, la colpa è del governo. E così viviamo all’interno di una storia fittizia.
Ma una persona libera sa che non c’è una sola risposta che vada bene per tutto e non c’è una sola storia che vada bene per tutti. Mentre ultimavo il mio libro sulla libertà, ho cercato di ascoltare delle persone la cui situazione fosse diversa dalla mia. Tra queste, Mariya mi ha fatto riflettere sulla de-occupazione e su come passare dal “negativo” al “positivo”. Mentre parlava mi sorrideva e mi ha offerto in dono l’unico oggetto bello che aveva recuperato dalla sua casa in rovina. Ho guardato il suo deambulatore e ho pensato a che cos’altro le servisse per essere libera.
Per essere liberi, dobbiamo essere capaci di vedere gli altri e, non da ultimo, dobbiamo anche essere in grado di vedere noi stessi. Se comprenderemo correttamente che cosa sia la libertà, se trarremo i giusti insegnamenti dalle situazioni estreme, potremo connettere la libertà con il governo. E allora ci attenderà un futuro migliore: una bella gamma di possibilità per persone imprevedibili e indisciplinate.
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