«Sono un percettore del Supporto per la formazione e il lavoro e, come noto, uno dei requisiti per accedere e mantenere il sussidio è partecipare alle cosiddette “politiche attive”. Ho iniziato a percepire il sussidio a marzo 2024. A luglio, presso il centro per l’impiego, mi sono pre-iscritto a due corsi di formazione, e mi è stato detto che sarebbero iniziati a settembre. Non ho mai ricevuto alcuna chiamata.
Inizialmente non ci ho dato troppo peso. Tuttavia, il problema si è complicato con la possibilità di prorogare il sussidio. Come condizione necessaria per il rinnovo, la frequenza ai corsi è imprescindibile. Ormai vicino alla fine del periodo di percezione, con solo due mensilità rimanenti, ho deciso di andare direttamente all’ente formativo per chiedere notizie sui corsi a cui ero iscritto.
Con mio grande stupore, mi è stato detto che i corsi non sarebbero mai partiti e che già al momento della mia iscrizione c’erano problemi organizzativi che rendevano impossibile avviarli. In pratica, il centro per l’impiego ha iscritto numerose persone a corsi che esistono solo sulla carta, quasi esclusivamente per riempire una piattaforma. Sono tornato al Cpi per segnalare questa grave situazione, dato che la mancata partenza dei corsi mi impedisce di accedere al rinnovo del sussidio. Qui ho scoperto un altro aspetto del problema: una volta scelti, i corsi non si possono cambiare, né è possibile cambiare l’ente formativo».
Il racconto è arrivato via email da Leonardo (nome di fantasia), fotografo di 50 anni, residente in Puglia, con un diploma di tecnico delle industrie elettriche ed elettroniche. Per una serie di eventi – clienti che non pagano e il furto dell’attrezzatura – si è ritrovato in una situazione di disagio economico. Poi, dice, la pandemia «è stata la mazzata finale».
Leonardo ha fatto quindi domanda per quello che prima si chiamava reddito di cittadinanza e che poi il governo Meloni ha smantellato, dividendolo in due sussidi: Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl), 350 euro al mese per 12 mesi, destinato agli occupabili e vincolato alla partecipazione a progetti di formazione e accompagnamento al lavoro; e Assegno di inclusione (Adi), pensato come sussidio contro la povertà.
La scorsa settimana avevamo raccontato dell’inutilità della piattaforma Siisl, alla quale i percettori sono obbligati a iscriversi. Ma offline le cose vanno anche peggio. Così come è successo con il reddito di cittadinanza dei Cinque Stelle, neanche il nuovo meccanismo di Meloni si è rivelato efficace per trovare un lavoro ai percettori.
Senza dati
Sul monitoraggio di queste misure in realtà non esistono dati aggiornati. Il governo dice che arriveranno, con calma. E il tema è scomparso del tutto dal dibattito pubblico.
Dal Rapporto annuale dell’Inapp, però, vengono fuori alcuni dati significativi sulle caratteristiche dei beneficiari che spiegano quanto il lavoro da fare dovrebbe essere molto più complesso di quanto dicano dal governo. Per Meloni e colleghi, gli occupabili avrebbero trovato subito un lavoro anziché stare sul famoso divano (la stessa promessa fatta dai Cinque Stelle qualche anno prima).
Ma così non è.
A un anno dall’introduzione, dice Inapp, il Supporto per la formazione e il lavoro ha coinvolto poco più di 171mila persone (molto meno rispetto alla platea potenziale di 320mila occupabili). Ma, come ha fatto notare il presidente della Fondazione Adapt Francesco Seghezzi, queste persone considerate occupabili presentano caratteristiche che rendono l’inserimento nel mondo del lavoro molto complesso.
In primis, il 65 per cento ha al massimo la licenza media. A questo si aggiunge che il 71,8 per cento non ha avuto alcuna esperienza lavorativa negli ultimi tre anni. Il quadro si complica ulteriormente con la presenza di una consistente percentuale di over 50, pari al 47 per cento. Inoltre, il 90 per cento di coloro che hanno lavorato lo ha fatto in posizioni a bassa qualifica, mentre il 54 per cento ha accumulato esperienza unicamente in impieghi part-time (65 per cento tra le donne).
Tra quelli che percepiscono ancora il sussidio, circa il 76 per cento ha sottoscritto un Patto di servizio personalizzato, ma solo l’83,6 per cento ha percepito almeno una mensilità di beneficio economico.
E poi un conto è la presa in carico, un altro è l’effettiva attivazione. Da alcune indiscrezioni dell’Inps, si sa che finora solo 43.175 percettori sono stati assunti con contratto di lavoro dipendente (non si sa di che tipo e con che durata) e 58.895 hanno svolto corsi di formazione. Numeri molto bassi. Quello che non sappiamo, tra l’altro, è che tipo di formazione stiano realmente seguendo i beneficiari e quali sono gli esiti concreti in termini di competenze acquisite e possibilità di inserimento lavorativo.
È evidente, a guardare la platea, che servirebbe qualcosa in più dei soliti corsi di formazione a catalogo. Ammesso che poi si facciano davvero, come dimostra il racconto di Leonardo.
La storia del fotografo pugliese, con i corsi di formazione inesistenti inseriti nei Patti di attivazione, è solo una delle tante. E lo stesso sta accadendo per il piano Gol, Garanzia per l’occupabilità dei lavoratori, finanziato con quasi 5,5 miliardi del Pnrr: si inseriscono qui e lì corsi di formazione, senza alcuna analisi personalizzata dei soggetti senza lavoro, e il gioco è fatto. Ma, anche in questo caso, nessuno ne parla.
Nel mondo di Calderone
All’ultimo question time alla Camera, la ministra del Lavoro Calderone ha detto che le misure che hanno sostituito il Rdc si stanno rivelando efficaci. «Il 2025 sarà l’anno della riforma delle politiche attive», ha annunciato poi in un’intervista al Giornale. E con la piattaforma Siisl «il nostro obiettivo è portare l’ufficio del lavoro a casa di ognuno».
Qualcuno dica però alla ministra che gli «uffici del lavoro», al momento, non funzionano né online né offline. Basta fare in un giro in un qualsiasi centro per l’impiego italiano. O anche solo scrollare la piattaforma Siisl per dieci minuti.
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