Questione di ripieni Dalla Francia al Vietnam, storia di una baguette che divenne un Banh Mi

Può un panino essere il simbolo di una rivoluzione culturale? In Vietnam lo è stato, e ancora oggi rappresenta il legame con le radici e le origini di un popolo, che ha saputo leggere tra le righe di un’alimentazione colonialista, riscrivendo l’approccio gastronomico attraverso una grafia territoriale e nuova

Ph. Cr Pexels

Quasi sicuramente, se vi è capitato di fare un viaggio in Vietnam o se ne state programmando uno, avrete letto una qualche lista di cibi da provare assolutamente, che non possono mancare in quella che sembra essere una delle esperienze di viaggio gastronomiche più interessanti del pianeta. La cucina vietnamita è, infatti, una fonte pressoché inesauribile di sapori regionali e piatti che ritrovano una loro chiave di lettura territoriale, in una lingua di paese in grado di toccare stagioni diverse nello stesso periodo dell’anno. Tra tutti i piatti, quello in cima, quello che rappresenta il gusto principale del Vietnam, il piatto nazional popolare, c’è lui: il Banh Mi. 

Signori e signori, ecco a voi il panino, il Banh Mi, l’alimento per eccellenza in questa parte di sud est asiatico. Aprite le pagine di un blog a caso, fate qualche ricerca in un qualsiasi quotidiano online che si occupi di cibo, comprate una o due guide di viaggio: lui, il Banh Mi, sarà sempre presente, e sarà primo in classifica, non importa quanti altri piatti il Vietnam abbia da offrire. Ogni città avrà il locale perfetto e la ricetta (quasi sempre segreta) del Banh Mi migliore in assoluto. 

Eppure stiamo parlando di un panino. E qui potremmo fare mille collegamenti anche con la nostra cultura gastronomica. Pensiamo a quanto gli stranieri hanno nel cuore e nella pancia un alimento ben preciso, quando si parla di Italia. No, non c’è carbonara o “spaghetti alla bolognese” che possano surclassare la pizza. Provate a cercarlo un altro cibo con quell’appeal, con quella fama e quella sostanza di desiderio goloso: non lo troverete. 

Di pizze, per restare sul tema, ce ne sono tante: tanti impasti, tante tipologie, topping sempre più diversi, ingredienti che cambiano da luogo a luogo, da mano a mano. E la pizza ha una storia che si intreccia con un passato nazional popolare di povertà italica e il movimento delle migrazioni. Lo stesso discorso lo potremmo traslare anche su questo panino asiatico, che ha un percorso evolutivo interessante quanto la storia stessa del suo paese. 

Il Vietnam è sempre stato al centro dei desideri colonialisti dell’occidente, nonostante il carattere coraggioso e testardo del suo popolo abbia fatto in modo che, alla fine, i vietnamiti giocassero il ruolo di canne al vento, pronte a piegarsi, ma anche a rinascere dalle proprie ceneri con orgoglio. Ecco, il Banh Mi nasce proprio da quell’epoca colonialista, con i francesi che dal 1887 al 1954 si stabilirono in Vietnam, portando con sé usi e costumi anche alimentari, in un luogo dove l’alimentazione comune non si basava e non si basa sicuramente sul grano, ma sul riso e dove quel grano i francesi dovevano farselo arrivare dall’altra parte del mondo con le navi, vista l’impossibilità climatica di poter anche solo pensare di iniziare delle coltivazioni locali. 

In Vietnam arriva la farina e si aprono i forni per realizzare le più classiche delle baguette, che qui, soprattutto a Saigon dove è nata poi la tradizione del Banh Mi, vengono chiamate Banh Tay, o pane straniero. Il panino, in quel caso, era quello più classico, quello che conosciamo tutti e che ancora mangiamo durante una passeggiata parigina o in giro in una qualsiasi città europea. Un panino, all’epoca del Vietnam occupato, farcito con ingredienti prettamente francesi: i prosciutti, il formaggio, il burro e il paté. Un pezzo della vecchia Europa trasportata dall’altra parte del mondo per nutrire i ricchi colonialisti, che di mangiare tagliatelle di riso forse non ne avevano poi così tanta voglia o, ancora più probabilmente, serviva loro qualcosa per distaccarsi, anche da un punto di vista alimentare, da quel popolo così resistente, nonostante la gentilezza congenita e l’apparente rassegnata accoglienza. 

La stessa identica cosa fecero anche i vietnamiti, una volta che, nel maggio del 1954, riuscirono a cancellare l’occupazione francese su quel suolo umido di giungla, fiumi e campi di riso. Presero quella baguette e la resero simbolo di indipendenza, o di resilienza come diremmo oggi, in epoca post pandemica. Da Banh Tay a Banh Mi, che vuol dire un po’ tutto: indica il pane, ma anche il panino stesso. Da panino dell’occupante a panino del popolo finalmente libero. 

Quando il dominio francese finì, il Vietnam aveva giustamente bisogno di prendere il controllo del suo destino e si mise mano a tutto, dal governo, all’istruzione alle finanze. Il cibo non poteva rimanere indietro in questa rivoluzione culturale. E il Banh Mi era  ormai disponibile ad ogni angolo di strada. Economico, facile da fare e semplice da trasportare, era facilmente adattabile a una cultura appena rivitalizzata che cercava una nuova identità. E, ovviamente, era modulabile in base a gusti nuovi, che sapevano di indipendenza e riscatto. Cambiarono i condimenti, che non rispecchiavano più la ricca società parigina, ma si immergeva a piene mani nel substrato popolare degli ingredienti vietnamiti: coriandolo, peperoncini, verdure sottaceto, maiale, pollo e manzo. E poi uova strapazzate e cipolle, pancetta di maiale, formaggio, tofu, sardine o polpette. Qui ritorna il concetto iniziale: l’alimento più famoso al mondo del Vietnam è un panino, ma dovreste provarli tutti per avere davvero un’idea di ciò che è nella realtà. E mangiarlo rigorosamente per colazione o per pranzo, perché qui la cena deve sempre comprendere un pasto caldo, di noodle o di Phở (la zuppa), mentre il Banh Mi rappresenta la velocità e l’immediatezza del pasto da consumare per una pausa durante le mille attività di una giornata qualsiasi. 

C’è una corrispondenza con il mondo occidentale anche in questo suo consumo, se andiamo a vedere bene: rapido, comodo, essenziale. Ma ciò che colpisce è quella sua capacità di essere fulcro e simbolo di una rivoluzione culturale ben più ampia della croccantezza di una crosta di pane. Il Banh Mi ha rappresentato non solo l’alzata di testa di un popolo, ma anche la sua capacità di adattamento a un prodotto non autoctono di quella terra, ma che poi ne è diventato parte integrante, a partire dagli ingredienti per la sua preparazione, fino ad arrivare alla creazione di un’economia, fatta di forni, di laboratori e di persone. E anche a una geografia di sapori ben distinta, che si snoda dal nord al sud del paese, così come accade anche in Italia da noi con la pizza e le sue infinite declinazioni territoriali e di pensiero. Il Banh Mi è diventato il gusto del Vietnam, sia per i viaggiatori che arrivano da queste parte, sia per i vietnamiti sparsi nel mondo, che ritrovano in quella baguette corta e cicciotta il sapore delle radici. Eccola la forza simbolica del cibo: non importa quali siano le nostre origini o il nostro assemblaggio cultura, il cibo rimarrà sempre il collante di un territorio e la cassa di risonanza della storia delle persone. 

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