Quando si dice nicchia La dolcezza dell’aglio di Resia

Questo prodotto della omonima valle friulana merita di essere assaggiato e conosciuto, per le sue caratteristiche e per le sue origini così peculiari

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L’aglio di Resia, in dialetto resiano rosajanski strok, dal 2004 è un presidio Slow Food ed è riconosciuto tra i prodotti agroalimentari tradizionali friulani e giuliani, ma soprattutto è un aglio glocal: noto e apprezzato dagli appassionati in Italia e all’estero, è coltivato esclusivamente nel comune di Resia, nel cuore del Parco Naturale delle Prealpi Giulie, e precisamente nelle frazioni di San Giorgio, Oseacco, Stolvizza, Pustigost, Scia, Ruscis, in piccoli appezzamenti familiari sparsi alle pendici del monte Canin, fino ai mille metri di altezza. Dal 2008 i trenta produttori locali garantiscono un raccolto di circa trentacinque quintali annui, anche se in genere la domanda è di gran lunga superiore all’offerta.

L’aglio di Resia viene piantato a mano, in novembre, o a marzo, dopo il disgelo, si raccoglie d’estate, ma si conserva e si trova in commercio tutto l’anno, tipicamente legato in trecce dalle donne della comunità. È di colore rossastro e molto piccolo, ha da sei a otto spicchi bianchi di odore e sapore aromatici, ma allo stesso tempo delicati, ed è molto digeribile, caratteristica che lo rende apprezzato e ricercato anche da chi non ama troppo l’aglio.

Lo strok è particolarmente adatto alla produzione di salumi perché è dolce, privo dell’odore, a volte acre, delle varietà più comuni.

La sua storia è legata a quella, particolarissima, della valle, chiusa tra alte montagne, il Canin e la catena dei Musi, scavata dal torrente Resia, e incastrata tra Italia, Austria e Slovenia, dove viene coltivato da secoli. Qui, tra il sesto e il settimo secolo, si stanziarono delle popolazioni di ceppo slavo al seguito degli avari e dei longobardi, che rimasero isolate, conservando immutate fino a oggi le loro tradizioni, tra le quali la musica, le danze, gli abiti, il Püst, cioè il carnevale, e la loro parlata, il resiano, una lingua paleoslava riconosciuta dall’Unesco come idioma in via di estinzione.

Dalla valle i contadini partivano a piedi, con la gerla sulle spalle, per vendere l’aglio e gli altri prodotti della loro terra nelle piccole cittadine dell’Impero austroungarico, e i loro servigi come arrotini.

Anche se le merci raggiungevano i mercati di Lubiana, Trieste, Udine, Vienna, l’isolamento geografico dell’area ha consentito la conservazione di interessanti biodiversità vegetali: oltre all’aglio, anche i fagioli e il mais resiani sono stati oggetto di studio da parte della Facoltà di Agraria dell’Università di Udine, che ha individuato questa specifica varietà di aglio, irreperibile in qualsiasi altra parte del mondo, e trenta differenti ecotipi di fagiolo.

Giovanni Clemente, scrittore resiano, nel suo “Torna al suo paesello – Memorie di vita resiana” racconta che «l’aglio era il rimedio contro i frequentissimi ascaridi, i vermi intestinali, e che veniva somministrato ai sofferenti, generalmente bambini e ragazzetti d’ambo i sessi, commisto con cibi adatti o sotto forma di perle infilate a mo’ di corona applicata al collo durante il sonno».

Oggi, l’aglio di Resia serve per ricette tipiche, come la vellutata, o le crespelle, o la minestra d’orzo e fasoi, o come ingrediente in preparazioni come la crema di scapi, cioè le infiorescenze dell’aglio.

Alcune aziende agricole ogni anno d’estate organizzano eventi per la raccolta dell’aglio e Slow Food propone una sagra dedicata alla vendita e alla degustazione dei vari prodotti.

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