Gli strumenti di deterrenza della Russia potrebbero diventare ancora più aggressivi e pericolosi per l’Europa. Il Cremlino potrebbe mandare segnali di avvertimento all’Occidente facendo test di lanci di testate nucleari molto potenti, con il solo scopo di spaventare cittadini e istituzioni. È una follia, certo, sarebbe l’ennesima firmata da Mosca. Ma non è inverosimile: c’è chi lavora per mettere la pulce nell’orecchio di Vladimir Putin, per spingerlo verso un’escalation nucleare che sarebbe distruttiva e criminale, ancora più distruttiva e criminale della guerra al mondo libero portata avanti negli ultimi anni. È tutto scritto nel rapporto “Dalla limitazione alla determinazione: armi nucleari, geopolitica, strategia di coalizione” prodotto dall’Institute of World Military Economics and Strategy (Iwmes) della Scuola Superiore di Economia di Mosca, una delle principali università della Federazione Russa. Si tratta di un documento che vorrebbe suggerire ai vertici militari di Mosca alcuni aggiornamenti per la politica di deterrenza strategica.
È un libro di poco meno di cento pagine, riassume studi, workshop e analisi condotte tra il 2023 e il 2024. Gli autori sono i vertici dello stesso Institute of World Military Economics and Strategy, fautori di un nuovo concetto di deterrenza strategica per la sicurezza della Russia e critici verso la teoria classica di deterrenza nucleare sviluppata durante la Guerra Fredda – ritenuta insufficiente per proteggere la Russia dalle minacce esistenziali provenienti dal resto del mondo. La proposta consiste in un approccio più proattivo e flessibile rispetto all’uso delle armi nucleari: l’intenzione deve essere quella di “suscitare paura” (ustrashenie) e non una semplice di un’operazione “contenimento” (sderzhivanie).
Nelle pagine introduttive c’è un lungo elenco di operazioni che Mosca potrebbe condurre per far capire all’Occidente che la musica è cambiata. Ad esempio: testare sistemi spaziali progettati per disattivare i satelliti; dare la caccia ai droni della Nato nel Mar Nero; sorvegliare le coste degli Stati Uniti e dei suoi alleati con le Forze aerospaziali russe e la Marina; colpire i contingenti di truppe occidentali entrati in Ucraina; se gli aerei da guerra ucraini sono di stanza negli aeroporti dei Paesi Nato (come Romania o Polonia), colpire queste basi, inizialmente con armi non nucleari; eseguire attacchi informatici su infrastrutture critiche in Europa e Nord America; distruggere elementi infrastrutturali logistici della Nato; utilizzare sistemi non nucleari per colpire hub logistici fondamentali usati dai Paesi Nato per rifornire le Forze armate ucraine. E ovviamente, come segnalato in apertura, lanciare un segnale d’avvertimento con una testata nucleare ad altissimo rendimento (di oltre cinquanta megatoni).
Gli autori si premurano di specificare che la Russia dovrebbe oltrepassare la linea rossa delle armi nucleari contro obiettivi nei Paesi Nato solo come come ultima risorsa. Poi però spiegano che un concetto chiave di tutto il testo è proprio l’abbassamento della soglia di tolleranza per l’uso di armi nucleari.
Se la dottrina attuale prevede l’uso di certe testate solo in risposta a minacce esistenziali, il documento suggerisce di prendere in considerazione una casistica molto più ampia, includendo tutti gli «attacchi significativi alla sovranità, all’integrità territoriale o agli interessi strategici della Russia». Significa trasformare un Paese imperialista, armato fino ai denti e attanagliato da manie di persecuzione in una bomba dall’innesco troppo facile. E questo perché «il nemico deve essere convinto che la Russia è determinata a sconfiggere in modo decisivo chiunque minacci la sua integrità territoriale o la vita dei suoi cittadini». Sarebbe un’escalation improvvisa nei rapporti con l’Occidente: si tratta di una proposta con un grado di rischio difficile da stimare. Ma non deve sorprendere, leggendo le firme dei tre autori.
Dmitry V. Trenin è membro del Consiglio russo per gli affari esteri e la difesa, direttore della ricerca all’Institute of World Military Economics and Strategy; Sergei I. Avakyants è un ammiraglio in pensione e direttore dell’Institute of World Military Economics and Strategy; Sergei A. Karaganov è supervisore accademico della Facoltà di economia mondiale e affari internazionali alla Scuola Superiore di Economia di Mosca.
Quello di Trenin è il nome più conosciuto in Italia. Poco più di un anno fa avevamo raccontato come fosse coccolato e accolto come un esperto in certi salotti italiani, considerato un interlocutore indipendente per capire le ragioni del Cremlino. Peccato che non sia così. Da quando si è esposto a favore dell’invasione non ricopre più la carica di direttore del Carnegie Moscow Center ed è stato allontanato da altri think tank e istituti europei tra cui il Carnegie Endowment for International Peace e l’Accademia reale svedese delle scienze della guerra «a causa del suo attivo sostegno all’ingiustificata e illegale invasione russa dell’Ucraina». Ovviamente la rivista di geopolitica Limes nel 2023, in occasione del suo decimo festival, lo aveva invitato a partecipare a un panel sull’invasione russa in Ucraina.
Nel 2022, Trenin aveva proposto in un’intervista a Global Affairs di «trasformare le armi nucleari in un efficace elemento di deterrenza nella specifica situazione ucraina al fine di convincere gli Stati Uniti che seguirà un attacco sul territorio americano». Mentre nel 2023 Karaganov firmava un articolo di commento sul sito dell’agenzia russa Ria Novosti in cui considerava l’arma nucleare come uno strumento indispensabile e inevitabile. L’argomento, insomma, gli rimbalza nella testa da un po’ e il rapporto arrivato sulle scrivanie dei vertici militari russi può sorprendere solo fino a un certo punto.
Per Trenin, Avakyants e Karaganov la deterrenza è un concetto dinamico e multidimensionale che combina forza militare, geopolitica e cooperazione internazionale. Al fianco della potenza nucleare c’è quindi molto altro. C’è una deterrenza non nucleare, basata su forze militari convenzionali, da usare per prevenire aggressioni e mantenere un alto livello di preparazione militare per rispondere rapidamente a eventuali attacchi. C’è la deterrenza spaziale, costruita limitando «la presenza ostile nei confini strategici, agendo anche preventivamente se necessario». C’è una deterrenza psicologica, basata su una comunicazione strategica che deve trasmettere coerenza e fermezza: «Dichiarazioni pubbliche ambigue e contraddittorie danno l’impressione della nostra mancanza di concentrazione e hanno più probabilità di provocare che di scoraggiare il nemico. Particolarmente dannose sono le minacce pubbliche che non sono seguite da misure pratiche e che inducono il nemico a non prendere sul serio i nostri avvertimenti».
Per ottenere i risultati migliori in fatto di contenimento, gli autori del rapporto suggeriscono al Cremlino anche di rafforzare i rapporti con i Paesi che possono aiutare a raggiungere l’obiettivo di «contrastare l’egemonia Occidente».
Le coalizioni strategiche proposte sono alleanze flessibili con Stati che «condividono interessi simili». In breve, tutti quei regimi illiberali che reprimono le libertà dei loro cittadini e minacciano i Paesi vicini. I più importanti sono Cina e India, pilastri «dell’emergente Grande Eurasia, almeno finché i Paesi europei non cambieranno le loro élite dominanti globaliste e non rivaluteranno a fondo le tendenze mondiali, per scrollarsi di dosso la loro dipendenza vassalla dagli Stati Uniti». Alle due maggiori potenze asiatiche si aggiungono Iran, Corea del Nord, Pakistan. Poi il resto dei Paesi Brics e della Shanghai Cooperation Organization (Sco). E, curiosamente, si legge anche della Francia, vista «come potenza europea con inclinazioni autonomiste che potrebbe avvicinarsi in futuro».
Sulla Cina, però, c’è una grossa riserva – il timore di finire come partner di minoranza o, peggio ancora, come vassallo di Pechino: «La Russia dovrebbe costruire le sue forze di deterrenza nucleare in modo tale da escludere, anche in un futuro lontano, la possibilità di una pressione cinese sulla Russia». E quindi sul lungo periodo bisogna immaginare anche un potenziale contenimento nei confronti della Cina: «Non ha senso parlare ora in dettaglio dei possibili fattori che potrebbero richiedere tale contenimento, ma è necessario delineare alcuni degli aspetti attuali della posizione strategica della Russia in relazione alla Cina», si legge nel documento.
Con i Paesi alleati, la cooperazione dovrebbe diventare ancora più stretta sul fronte militare. Dopotutto, Putin sembra già avviato su questa rotta, ha già avvertito che in risposta alle forniture occidentali di armi a lungo raggio all’Ucraina, la Russia «si riserva il diritto di fornire armi a Stati o persino a strutture legali che subiscono determinate pressioni, anche militari». Peccato solo che al momento la sua capacità di sostenere altri governi militarmente sia ridotta ai minimi termini, come insegna la caduta del regime siriano. Ma Trenin e gli altri vogliono fare finta di niente: «La Russia può condurre esercitazioni militari il cui scenario prevede attacchi nucleari su specifici Paesi della Nato in conformità con i cambiamenti dottrinali annunciati».
Infine, tra i messaggi lanciati al Cremlino c’è anche una raccomandazione di politica interna. «La condizione principale per scoraggiare il nemico dall’intervento politico sul territorio della Russia è la mobilitazione della coscienza pubblica per preservare l’unità nazionale e sventare i tentativi di dividere la nostra società e provocare conflitti tra gruppi etnici, religiosi e di altro tipo nel Paese». È per questo – scrivono Trenin, Avakyants e Karaganov – che la Russia avrebbe bisogno di un sistema funzionante di valori sociali e pubblici «e di quella che può essere definita una piattaforma di civiltà russa, ovvero l’equivalente moderno di ciò che in passato chiamavamo ideologia».
L’ideologia a cui si fa riferimento è una versione sovietica dell’American Dream, trasfigurato in Russian Dream, un’immagine scintillante e attraente del Paese da vendere ai cittadini russi e al resto del mondo. «Tale ideologia – si legge nel rapporto – è vitale di fronte a un nuovo mondo emergente, altamente turbolento e instabile in termini geopolitici, geoeconomici e geoideologici, un mondo in cui la lotta per le menti e i cuori delle persone si intensificherà inevitabilmente. Il Paese deve trovare la propria strada in questo nuovo mondo».
Il documento non ha delle note conclusive, sembra troncato sul finale, si chiude d’improvviso su questioni di carattere diplomatico e su relazioni da intrattenere con potenziali partner. Nemmeno il buon gusto di dare una degna conclusione a quasi cento pagine di pericolosa esaltazione della guerra nucleare, di discorsi su un’Asse del Male e propaganda da vendere in tutto il mondo. E in Italia c’è chi considera gli autori delle menti razionali e affidabili.