«Niente gas? E allora noi porremo il veto in Europa su ogni misura a favore dell’Ucraina». Il primo ministro slovacco Robert Fico continua con parole da rappresaglia la sua battaglia contro l’interruzione del transito di gas russo deciso da Kyjiv e in vigore dall’inizio dell’anno. La decisione di Volodymyr Zelensky di non rinnovare l’accordo con Gazprom era nota da tempo e Fico l’aveva presa di mira in più di un’occasione.
Giovedì 9 gennaio il premier slovacco è volato a Bruxelles per incontrare il Commissario europeo all’Energia Dan Jorgensen e discutere il dossier. La sua posizione è chiara: se il collegamento non verrà riattivato, la Slovacchia è pronta ad adottare misure reputate egualmente dannose nei confronti dell’Ucraina. Secondo Fico, lo stop al gas russo costa a Bratislava cinquecento milioni di euro di incassi derivanti dai diritti di transito. Per questo, ha detto in conferenza stampa, «se Volodymyr Zelensky intende continuare a danneggiare gli interessi del nostro Paese possiamo pensare di usare il diritto di veto nel Consiglio europeo su ogni misura a favore dell’Ucraina». Una minaccia che suona come un ricatto e fa seguito a quelle espresse pochi giorni, quando in un video su Facebook Fico aveva ipotizzato lo stop agli aiuti finanziari ai circa centotrentamila profughi ucraini presenti in Slovacchia e il taglio delle forniture di energia elettrica a Kyjiv. Su questo fronte, la Polonia ha già fatto sapere di essere pronta a sostenere Zelensky. «La Polonia sarà in grado di aumentare le vendite di elettricità all’Ucraina, ma solo se l’Ucraina lo richiederà», ha detto la ministra dell’Ambiente Paulina Hennig-Kloska, specificando che «il comportamento di Fico è contrario all’Europa».
Se il danno economico lamentato da Bratislava è ingente, lo stesso non si può dire di quello energetico. Secondo i dati di Gas infrastructure Europe, le riserve slovacche di gas sono piene al 71,39 per cento, tre punti percentuali sopra la media europea. Una condizione di cui è consapevole anche Fico, frutto delle politiche adottate dalla Slovacchia, che negli ultimi mesi ha firmato due accordi per diversificare il proprio approvvigionamento. A luglio la società pubblica Zse Group ha firmato un contratto con la polacca Pgnig Supply & Trading, del gruppo Orlen, per la fornitura di gas naturale proveniente da diversi luoghi, in particolare gli Stati Uniti. L’accordo, che soddisferà circa il trenta per cento del fabbisogno di Zse, sarà valido per tutto il 2025 e prevede che la sussidiaria di Orlen immagazzini gas liquefatto in un proprio terminale in Lituania per poi rigassificarlo e farlo viaggiare fino alla Slovacchia attraverso il gasdotto Vyrava. Il secondo accordo, invece, è stato siglato a novembre dalla società Spp per portare a Bratislava gas naturale dall’Azerbaigian. Si tratta di un contratto a breve termine, con possibilità di rinnovo, del quale non sono stati svelati i dettagli.
«I negoziati sono stati estremamente costruttivi», ha detto Fico a proposito dell’incontro con Jorgensen, «e il commissario europeo è consapevole dell’impatto che la decisione di Kyjiv di chiudere al gas russo avrà sulla competitività dell’Ue». Parole che stridono sia con quanto dichiarato a dicembre da un funzionario europeo a Euronews, secondo cui «i quattordici miliardi di metri cubi all’anno che attualmente transitano attraverso l’Ucraina possono essere completamente sostituiti da importazioni di Gnl e gasdotti non russi attraverso percorsi alternativi», sia con i dati. L’Europa si è fatta trovare pronta, avendo avviato già da tempo politiche di diversificazione che, dal 2022, hanno permesso di ridurre il peso gas russo nel mercato europeo dal trentacinque all’otto per cento. In particolare, i Paesi Ue hanno aumentato gli afflussi di gas liquefatto da Norvegia, Stati Uniti ma anche dalla stessa Russia. A far temere sul lungo periodo, però, non è tanto la quantità di gas reperibile sul mercato, quanto i suoi crescenti costi, al rialzo dall’entrata in vigore dello stop ucraino.
In attesa della stabilizzazione del mercato, Zelensky ha attaccato Fico per via delle sue esternazioni, accusandolo di voler aprire un «secondo fronte energetico» contro l’Ucraina per conto della Russia. Che Fico guidi, assieme al premier ungherese Viktor Orbán, il fronte anti-Kyjiv e pro-Mosca interno all’Unione europea è cosa nota. Negli ultimi mesi interrotto gli aiuti militari all’Ucraina e ha minacciato più volte di essere pronto a bloccare il suo ingresso nell’Unione. Proprio a causa delle sue posizioni filorusse (e del suo essere andato al governo con l’estrema destra) il suo partito, Smer, è stato espulso dalla famiglia dei socialisti europei. A fine ottobre, ha fatto discutere un suo intervento alla tv di Stato russa in cui Fico ha criticato le sanzioni contro il Cremlino e il sostegno europeo alla causa ucraina. A dicembre, poi, il premier slovacco è volato a Mosca per discutere direttamente con Vladimir Putin il tema forniture di gas, mentre ha fatto sapere che il 9 maggio presenzierà nella capitale russa alla parata militare per celebrare l’ottantesimo anniversario della vittoria sulla Germania nazista. Una vicinanza alla Russia neppure mascherata, testimoniata anche dal suo porsi come negoziatore di una tregua, posizione rispedita al mittente dai partner europei proprio perché fa il gioco di Putin più che di Zelensky.