Palazzi soffocantiI migranti climatici che lasciano la città per trasferirsi in montagna

Il sociologo Andrea Membretti parla di «migrazioni verticali» all’interno dei singoli Paesi, Italia compresa, dove i centri urbani sono sempre più vulnerabili al caldo estremo e alle alluvioni

Marco Cremonesi/LaPresse

Nell’immaginario comune la migrazione è un movimento orizzontale. Corrisponde allo spostamento di una persona in uno spazio bidimensionale, da un luogo A a un luogo B, normalmente distanti tra loro. I flussi migratori, ai quali si fa più spesso riferimento, sono internazionali, da paesi nel Sud del Pianeta verso l’Europa. Quasi mai si parla di “europeo migrante”, se non in alcune occasioni. E lo stereotipo coinvolge anche l’idea di “migrazione climatica”, un movimento transnazionale da zone non più abitabili verso stati cosiddetti sicuri, non solo politicamente ed economicamente, ma anche da un punto di vista ambientale. 

Eppure, il cambiamento climatico non riguarda solamente Paesi distanti. Allo stesso modo il migrante climatico non è necessariamente qualcuno che viene da un luogo lontano. Negli ultimi anni, ad esempio, l’aumento delle temperature in particolare nei mesi estivi ha reso le città sempre più inospitali. 

UN-HABITAT, cioè il Programma delle Nazioni unite per gli insediamenti umani, nel “World cities report 2024” afferma che «l’esposizione al clima è sempre più urbanizzata». Inoltre, stima che oltre due miliardi di persone che attualmente vivono nei centri urbani, potrebbero essere esposte ad un aumento della temperatura di almeno 0,5°C rispetto alla temperatura attuale entro il 2040. Così, il peggioramento delle condizioni di vita in pianura e in città, fa emergere un altro genere di flusso, non più orizzontale e transnazionale, ma verticale e interno, dalle aree urbane alla montagna. 

Questo movimento è argomento del volume “Migrazioni verticali. La montagna ci salverà?”, pubblicato da Donzelli Editore e a cura di Andrea Membretti, Filippo Barbera e Gianni Tartari. L’opera è frutto di una riflessione nata all’interno del progetto MiCliMi, cioè Migrazioni climatiche e mobilità interna nella metromontagna padana, promosso da EuCliPa.IT e finanziato da Fondazione Cariplo. Si tratta di un lavoro collettivo e plurale che, coinvolgendo diversi ricercatori e autori, cerca di rispondere alla domanda: il cambiamento climatico porterà a un esodo verso la montagna?

Gli autori del libro hanno costruito un indice di propensione alla migrazione climatica. Come afferma Andrea Membretti, sociologo presso l’Università di Torino, né è emerso un quadro preoccupante: «L’impatto del cambiamento climatico sulla vivibilità delle città nella Pianura Padana sarà tale che, nei prossimi decenni, la propensione a migrare degli individui molto probabilmente aumenterà». 

«Oltre alla creazione di un indice, un secondo blocco di informazione – spiega Membretti –, riguarda la mobilità residenziale». Il gruppo di ricerca, ha analizzato i dati Istat sulle cancellazioni dai registri anagrafici, concentrandosi sui Comuni di Milano e Torino nel periodo tra il 2017 e il 2022. «Ci interessava capire quante persone, in quegli anni, avessero trasferito la loro residenza ufficiale, andando a vivere in montagna», continua il sociologo. 

Dall’analisi è risultato che tra coloro che hanno cancellato la propria residenza dal Comune di Milano il sette per cento lo ha fatto per trasferirsi in montagna, mentre nel Comune di Torino il numero sale al nove per cento. Questi valori possono apparire piccoli, ma suggeriscono che un movimento è già in atto. Inoltre, precisa Membretti, la residenza anagrafica non è un indicatore totalmente affidabile per valutare la mobilità delle persone: «In molti dichiarano la residenza in un luogo, ma poi di fatto vivono in un altro. Sappiamo ad esempio che alcune persone spesso si trasferiscono in montagna, ma non cambiano residenza».

Un altro elemento interessante è emerso da un questionario sottoposto a oltre duemila soggetti nelle città di Torino, Milano, Bologna, Padova, Venezia e Treviso. «Le persone sono molto preoccupate a causa del cambiamento climatico, per i suoi effetti su salute, qualità dell’aria, lavoro e mobilità urbana», dice il curatore del libro. In più, il 31,5 per cento degli intervistati ha affermato di avere desiderio di trasferirsi in montagna in futuro. Non solo. A incidere sulla scelta, tra i fattori più menzionati, sono proprio le «condizioni climatiche e ambientali insostenibili delle città». 

Nella possibilità di un flusso migratorio che dalle città della Pianura Padana parte verso le Alpi, si nasconde però un rischio. La montagna non subisce in forma minore gli effetti della crisi ambientale, essendo un territorio fragile. Sottolinea Membretti: «A meno che non siano attuate politiche di cura, la montagna non ci salverà. Il che significa, in primis, stanziare delle risorse che non siano legate a progetti puntuali. Al contrario, è necessaria una politica sistematica di messa in sicurezza del territorio», continua. 

Un altro tema, poi, è quello del ripopolamento: «Questo vuol dire incentivare l’immigrazione, tutta l’immigrazione, purché vi siano persone che accettino di essere corresponsabili dello sviluppo della montagna», conclude.

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