Chi ne ama e frequenta la cucina, e anche la produzione cinematografica, non può non conoscerlo, perché il kimchi è uno dei grandi e onnipresenti protagonisti della cultura nazionale coreana. Si tratta di una preparazione relativamente semplice di verdure fermentate, salate o stagionate, condite con spezie – peperoncino in polvere, scalogno, aglio e zenzero – con un’aggiunta di jeotgal, una conserva di pesce sotto sale a base di gamberi, ostriche, vongole, pesce o uova di pesce, che viene servita per lo più come contorno, ma è anche la base di piatti popolarissimi come il kimchi jjigae e il kimchi bokkeumbap.
Esistono tantissimi tipi di kimchi, ciascuno con una verdura diversa come ingrediente principale, anche se comunemente vengono usati il cavolo napa, o cavolo cinese, e i ravanelli coreani, o daikon.
È una pietanza multiforme e il suo sapore può cambiare in base alla regione, alla stagione, alla tradizione familiare. Ciascun tipo, infatti, veniva tradizionalmente preparato in momenti diversi dell’anno, in base alla reperibilità delle verdure. Per questo ne esistono oltre 180 varietà riconosciute, anche se il periodo ideale per la sua preparazione, il Kimjang (cura del kimchi), sono i mesi invernali, quando riunirsi per scambiarsi ricette e mettere a fermentare le verdure diventa anche un’occasione sociale.
Patrimonio di ingredienti segreti tramandati di madre in figlia, considerato ricostituente e corroborante, in Corea è visto come un aiuto sicuro per affrontare le difficoltà quotidiane, tanto da essere stato garantito nelle razioni durante la guerra del Vietnam, perché «d’importanza vitale per il morale dei soldati coreani». Durante l’epidemia di Sars in Asia nel 2003, le vendite del prodotto aumentarono del quaranta per cento, anche se la sua efficacia contro il virus resta tutta da dimostrare.
Il kimchi è anche un amore condiviso dalle due divisissime Coree ed è entrato a far parte dei patrimoni culturali intangibili dell’umanità dell’Unesco dopo che sia quella del Sud sia quella del Nord ne fecero richiesta, rispettivamente, nel 2013 e nel 2015.
Un sudcoreano (per il Nord ovviamente non sono disponibili statistiche) mangia, a seconda delle stime, mediamente tra i diciotto e i trentasei chili di kimchi all’anno, rispettando così una tradizione antichissima, testimoniata da oltre duemila anni, richiamata nelle poesie fin dal Medioevo, ma versatile e via via arricchita di nuovi sapori. Come il peperoncino piccante, introdotto solo nel diciassettesimo secolo dai commercianti occidentali.
E non è solo il piacere del palato. Vale la pena di superare il disagio che alcuni occidentali provano per il forte aroma di pesce e fermentazione, e fare del kimchi una presenza quotidiana a tavola, dato che fa benissimo ed è pure dimagrante, come dimostrato scientificamente. Non è una novità, le sue virtù sono note: è un alimento probiotico, fonte di beta-carotene, calcio, potassio, fibre alimentari e vitamine A, B, C e K, che possono ridurre i tassi di malattie cardiache, cancro, ictus e diabete, assicurano gli esperti, e si può eliminare senza remore l’olezzante jeotgal per renderlo perfettamente vegetariano.
In occasione del Kimchi Day, una ricorrenza internazionale che si celebra il 22 novembre, però, sono stati pubblicati i risultati di vari studi sulle sue proprietà dimagranti. Oltre a essere associato a una riduzione dell’indice di massa corporeo e alla minore incidenza dell’obesità, le ricerche hanno evidenziato che l’azione dimagrante è legata anche ai cambiamenti che apporta al microbiota intestinale. In pratica vengono aumentate le popolazioni di batteri benefici per la salute e ridotte quelle legate ai chili in eccesso, come i proteobatteri.
Lo studio “Kimchi intake alleviates obesity-induced neuroinflammation by modulating the gut-brain axis” condotto sui topi, ad esempio, ha evidenziato che i roditori alimentati con una dieta a base di kimchi hanno perso quasi il trentadue per cento del loro grasso corporeo. Altre ricerche come “Effect of kimchi intake on body weight of general community dwellers: a prospective cohort study” hanno invece accertato una riduzione dell’indice di massa corporea del quindici per cento associata al consumo di kimchi, oltre a una diminuzione del dodici per cento dell’incidenza dell’obesità tra gli uomini di mezza età.
Per chi proprio non ne regge il gusto, il kimchi può essere liofilizzato e assunto in capsule. Che nella misura di tre al giorno da venti grammi, in pazienti obesi o in sovrappeso (fino a un indice di massa corporea di 30 kg/m²), hanno ridotto il grasso corporeo del 2,6 per cento, secondo uno studio condotto da scienziati del Kimchi Functionality Research Group e dell’Ospedale Universitario Nazionale Pusan.
C’è una controindicazione, però. In base a uno studio coreano del 2011, un consumo troppo elevato di kimchi potrebbe contribuire al cancro allo stomaco, che è la forma di tumore più diffusa nella Corea del Sud, dato il suo elevatissimo apporto di sodio.