CampanilismiNon toccate i bruscitti

Piatto simbolo di Busto Arsizio, il ricco intingolo di carne è stato protagonista di un errore di attribuzione che ha fatto infuriare i puristi locali. Ne parliamo nel giorno della festa della città

LukeWiller, CC BY-SA 4.0 , via Wikimedia Commons

Oggi a Busto Arsizio si festeggia la Gioeubia: in città si brucia il fantoccio che prende le sembianze di una vecchia che simboleggia l’anno vecchio che ci lascia, come buon auspicio per l’anno che verrà. E proprio in questa occasione il piatto più preparato e apprezzato è il re della tavola in tutta la città, ed è una questione su cui non si scherza. E non stiamo parlando di tematiche etiche o di politica, bazzecole in confronto alla sacralità che per noi italiani ha il cibo e alla suscettibilità che dimostriamo quando si tratta di campanilismi gastronomici. Non ci si possono permettere errori nell’attribuzione di una paternità tra paesi (o addirittura tra frazioni), figuriamoci tra regioni. Così quando a Busto Arsizio hanno scoperto che la guida TasteAtlas ha definito i bruscitti un piatto piemontese non l’hanno presa bene. Il giornale Il Bustese ha denunciato l’abuso culinario, sottolineando che la guida «ha tolto alla nostra città la paternità della ricetta bustocca per eccellenza, eliminando anche la “i” finale e aggiungendo il cavolo durante la cottura». In questo caso, non è una questione di gastronazionalismo, ma di certificazione notarile.

I bruscitti sono uno di quei piatti che rappresentano un’intera cittadina: Busto Arsizio, in provincia di Varese, forse non è una metropoli ma con i suoi quasi 84.000 abitanti è più popolosa dello stesso capoluogo, ed è la quinta città lombarda per popolazione. E soprattutto ha un’identità culturale fortissima. Che ovviamente si riflette nella sua cucina. «Ricetta corposa – si legge sul sito del Magistero dei Bruscitti, vera e propria istituzione cittadina – nata in tempi di povertà per riciclare la carne attaccata alle ossa (bruscitti significa infatti briciole), quella che i ricchi scartavano dalle loro tavole: i bruscitti sono un piatto di carne molto saporito, dove si sente il gusto delle spezie (in tempi di scarsa conservazione le spezie avevano il loro perché)».

Briciole, dunque, non uno spezzatino e non un ragù, la cui ricetta, certificata con atto notarile, è stata depositata presso la Camera di Commercio di Varese.

Trova l’errore (e non è difficile)
Ma cos’è questo TasteAtlas? Si tratta di una guida gastronomica online dotata di uno sterminato database in cui si registrano ricette, articoli, recensioni su ingredienti e piatti della tradizione. Nata in Croazia, la guida è redatta in inglese ed è diventata un punto di riferimento per appassionati, turisti gastronomici, professionisti e curiosi, ma non è esente da errori. Come in questo caso.

I bruscitti sono, dicevamo, la bandiera della cucina bustocca, e nulla hanno a che vedere con il Piemonte. La ricetta non prevede cavolo o aglio, ingredienti indicati erroneamente dal sito. Il Comune di Busto Arsizio pubblica l’unica versione ufficiale del piatto, titolando “I Bruscitti di Busto Grande” (per i non autoctoni, Busto Piccolo è Busto Garolfo, di qui la specifica): ci vogliono innanzitutto tagli precisi di carne, quali il reale, il fustello, il cappello del prete, il diaframma, tutti di manzo. Vanno rigorosamente tagliati a coltello e non tritati, per ottenere dei dadini minuti, grandi circa mezzo pollice. Si pongono in una casseruola di terracotta il burro e il lardo, che alcuni sostituiscono con pancetta a dadini, quindi si unisce la carne a freddo e si porta il tutto su fuoco dolce. Poco sale e pepe “discretissimo”.

Dopo una prima cottura si unisce quella che qui chiamano “erba bona”, i semi di finocchio, raccolti in un sacchettino di garza. Si incoperchia e si lascia cuocere a lungo. Solo un quarto d’ora prima della fine della cottura si toglie il sacchetto aromatico e si unisce il vino rosso, Gattinara è la scelta d’elezione. Si lascia prendere il bollore, si toglie il coperchio e si fa evaporare.

Si servono i bruscitti con una fumante polenta, ovviamente gialla.

L’importanza del nome
Non ci sono solo errori nell’attribuzione geografica e nella ricetta su TasteAtlas. Sbagliato, sbagliatissimo è anche il nome: si chiamano bruscitti, con la “i” finale, e non bruscitt come scritto sulla guida. L’errore può essere spiegato con una assonanza generica con i dialetti lombardi.

Ma c’è un ma, tanto filologico quanto sostanziale: Busto Arsizio è una “isola linguistica”, una zona in cui si è conservata nel dialetto la traccia dell’idioma parlato dalle popolazioni liguri che abitavano l’alta pianura lombarda prima dell’arrivo dei Celti. Di qui, tra le altre caratteristiche uniche in Lombardia, la conservazione della vocale finale. Cosa significa in termini gastronomici? Che questo piatto è tanto caratteristico della sua patria quanto lo è il suo nome.

Dove mangiare i bruscitti
Ovviamente i bruscitti si possono gustare nelle case dei Bustocchi Doc, ma chi non ha la fortuna di essere della zona o di avere un parente nei paraggi troverà una golosa offerta nei ristoranti e nelle trattorie del territorio. Tra i locali che propongono i bruscitti tradizionali vanno segnalati senz’altro la Cascina del Lupo e l’Osteria dul Tarlisu.

Da non dimenticare infine la versione dolce del piatto, talmente amato in città che è stato trasformato anche in un dessert: la Pasticceria Campi ha nella “polenta e bruscitti” il suo fiore all’occhiello, delizia di crema pasticcera, panna, pan di Spagna, gocce di cioccolato e croccante. Semplicemente irresistibile.

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