Attraverso un emendamento recentemente approvato, il governo pakistano ha posto fine all’obbligo per le madrase, le scuole islamiche molto presenti nel Paese e spesso contestate in quanto potenziali veicoli di radicalizzazione terroristica, di essere registrate al ministero dell’Istruzione. L’obbligo era stato approvato nel 2019 per far sì che il ministero potesse standardizzare i corsi di studio delle scuole islamiche, ottenere report annuali sulle attività educative e le donazioni finanziarie dei singoli istituti, quindi porre un freno agli insegnamenti afferenti all’Islam più radicale.
Uno degli obiettivi del provvedimento, che è stato poi raggiunto nel 2022, era quello di essere eliminati dalla cosiddetta “lista grigia” dell’organizzazione non governativa Financial Action Task Force (Fatf), che inseriva il Pakistan tra i Paesi che non rispettano i requisiti per combattere riciclaggio e finanziamenti ai terroristi: essere nella lista diminuiva la possibilità di grandi investimenti economici esteri nel Paese.
Adesso la nuova decisione del governo riporta alla situazione precedente al 2019: le madrase saranno nuovamente registrate a livello distrettuale, secondo una legge che risale al 1860, in un sistema decentralizzato che nega al governo la possibilità di interferire con gli insegnamenti. È la vittoria del partito Jamiat Ulema-e-Islam Fazl (Jui-F), formazione fondamentalista islamica con tredici seggi in Parlamento, che all’approvazione del regolamento del 2019 l’aveva contestato aspramente, giudicando il provvedimento una pressione governativa sui seminari religiosi e un’ingerenza cospiratoria occidentale in cui le madrase erano vittime incolpevoli.
Il motivo per cui il governo è tornato indietro rispetto alla legge del 2019 ha a che vedere con la situazione in politica interna. Dopo le elezioni di febbraio scorso a esprimere il primo ministro, Nawaz Sharif, è il partito di centrodestra Lega Musulmana del Pakistan. Uno dei piani del governo è stata una contestata riforma costituzionale, che ha creato un nuovo organo giudiziario, la Corte Costituzionale Federale, il cui giudice capo è di diretta nomina presidenziale sotto raccomandazione del primo ministro. Il principale partito di opposizione, Tehreek-e-Insaf (Pti), il cui leader ed ex-primo ministro Imran Khan è in carcere con l’accusa di corruzione, la ritiene una legge ad hoc per ampliare i poteri dell’esecutivo. Per ottenere i voti necessari all’approvazione della riforma costituzionale, Sharif ha contrattato con i fondamentalisti di Jui-F che in cambio hanno richiesto l’eliminazione degli obblighi di registrazione per le madrase del 2019, un loro cavallo di battaglia.
Alla nascita del Pakistan, nel 1947, le madrase non erano più di qualche dozzina, e sono cresciute significativamente in numero dagli anni Ottanta, dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan, quando l’islamizzazione crescente del Paese e i finanziamenti arabi e statunitensi le hanno fatte proliferare, rendendole veri e propri centri di reclutamento per i talebani. Durante la guerra milioni di afghani, in gran parte bambini orfani, entrarono in Pakistan da rifugiati e ottennero la possibilità di andare a scuola nelle madrase. L’autonomia che queste scuole avevano le rendeva però impermeabili a livello governativo nella scelta dei piani di studio: i bambini che si sono trovati a studiare lì hanno avuto un’istruzione basata prevalentemente sullo studio religioso, con tante ore di teologia islamica e arabo, lingua poco parlata in Pakistan, e nessun insegnamento di matematica o informatica. Molti sono usciti dal sistema scolastico senza alcuna competenza di base in materie fondamentali.
Dopo gli attentati terroristici di matrice fondamentalista islamica dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti e del 7 luglio 2005 a Londra, dato che molti leader talebani hanno fatto i loro studi nelle scuole islamiche, le madrase hanno iniziato a essere sospettate di formare terroristi. L’allora presidente del Pakistan Musharraf promise di riformare le madrase, ma non diede seguito alle promesse. Dopo il massacro alla scuola pubblica militare di Peshawar del 2014, in cui alcuni talebani hanno ucciso più di centocinquanta persone, anche da parte governativa si è assunta l’urgenza di fare delle riforme sulla gestione delle scuole islamiche, che in ultima istanza hanno portato ai nuovi obblighi del 2019, ora abrogati.
Il problema dell’istruzione in Pakistan, però, non ha a che vedere solo con le madrase. Anche la scuola pubblica ha evidenti problemi: l’Unicef stima che oggi il Pakistan sia il secondo Paese col numero più alto di bambini in età scolastica che non frequentano alcun istituto, ben 22,8 milioni. Le madrase, che nel 2019 erano diciassettemilacinquecento e accoglievano 2,2 milioni di studenti, sono col tempo diventate l’unica possibilità per molte famiglie povere, essendo più capillarmente presenti anche nelle aree rurali rispetto alle scuole pubbliche, e anche un veicolo di aggregazione di famiglie islamiche, che mandano volontariamente i figli a studiare lì non solo dal Pakistan, ma anche da Nord Africa e Sud Est asiatico.
Il ripristino del sistema precedente al 2019 per la registrazione delle madrase non è frutto di un ripensamento, ma è un puro accordo politico per ottenere risultati di breve termine. Le difficoltà sul lungo termine sono evidenti: non controllare chi finanzia le madrase e non avere voce in capitolo su cosa si insegna non ha potenziali ricadute solo sul Pakistan. La decisione porterà infatti a un ulteriore depauperamento della qualità dell’istruzione, già scarsa, ma non solo. Rischia anche di ricostruire ambienti impenetrabili al controterrorismo in cui nuovi giovani, imbevuti di ore di insegnamenti fondamentalisti, si potranno radicalizzare.