Uno dei paradossi di questa scombiccherata stagione politica rischia di essere, e forse già è, quella di un pezzo di centro che scavalca a sinistra la sinistra. Forse è solo un’illusione ottica dovuta al grande sonno, più presunto che vero (ma nella politica contemporanea vale l’immagine), del Partito democratico.
Sta di fatto che da qualche tempo il “centrista” Matteo Renzi appare non solo più tempista ma anche sostanzialmente più duro dei compagni del Nazareno. Ha ragione uno che di centro politico s’intende come pochi, Marco Follini, quando scrive che «è ovvio che se ci si limita ad accodarsi diligentemente agli alleati confidando solo di raffreddare i lori bollenti spiriti diventa poi difficile illudersi di poter dettare condizioni troppo severe».
Il che vuol dire, fuori dai denti, che un centro deve sapersi fare sentire. Anche imbracciando le armi di una propaganda estremista se non addirittura larvatamente grillina, che è quello che si ritrova per esempio nelle due interrogazioni di Francesco Bonifazi, senatore stra-vicinissimo a Renzi, nelle quali chiede lumi sui «regali ricevuti dalla premier in questi anni e sull’abitazione recentemente acquistata da Giorgia Meloni», questione tirata fuori dall’odiato Fatto Quotidiano.
Un attacco personale alla presidente del Consiglio che si inscrive nel duello tra Meloni e Renzi, il quale non le perdona la norma ad personam sul divieto per i parlamentari di compensi all’estero. Per quanto paia assurdo, questi mesi stanno vivendo più sul duello Giorgia-Matteo che su quello tra Meloni e Schlein, come dovrebbe essere secondo il copione bipolarista in uso nel teatro politico italiano.
L’altro punching ball del capo di Italia viva è Matteo Salvini, colpito dove in queste ore fa più male, i disastri delle ferrovie, con Renzi che ne chiede le dimissioni e raccoglie le firme (anche qui c’è del grillismo) per sostenere la richiesta.
Addirittura, in uno scambio sui social, Renzi ha affibbiato all’altro Matteo, che ha disertato il question time dove avrebbe dovuto rispondere, l’epiteto di «buffone», quasi in una tenzone d’altri tempi, una cosa che nella sua leggerezza Elly non ha fatto e non farà mai.
Ora, non è che il Pd abbia tralasciato di attaccare il ministro dei Trasporti, o che non dia battaglia in tutte le sedi. Solo che la pressione di Renzi è, o sembra, più forte. È come nelle sedute del Senato: i discorsi dell’ex presidente del Consiglio bucano di più di quelli dei senatori del Pd. È come quando lui batte sul tempo il Nazareno con dichiarazioni critiche contro il governo. Certo, lui è abile e veloce eccetera eccetera. Ma comunque resta da spiegarsi questa impressione del grande sonno del partito di Elly Schlein che si registra anche in ambienti a lei non ostili. Il risultato, combinando le due cose, è che il centro pare più tosto della sinistra.
La cosa potrebbe preludere a uno schema inedito, ammesso e non concesso che questo benedetto centro riesca ad assumere una forma politica stabile, e cioè che non solo per volontà soggettiva di Renzi, ma per una oggettiva esigenza di rapidità e incisività, si apra uno spazio che per comodità possiamo definire di centro ma che altro non sarebbe che una forma diversa, e tutta da inventare, di azione politica dentro il centrosinistra. Che questo poi riesca a calamitare i venti che spireranno sabato a Milano e Orvieto è troppo presto per dirlo. Ma che qualcosa si sta mettendo in moto, questo sembra di poterlo dire. Ed Elly Schlein farà bene a cogliere i segnali di questo possibile movimento attorno e fuori dal suo partito se non vuole rimanere spiazzata.