Bipolarismo infantileL’incapacità di Meloni e Schlein di lavorare insieme per il bene del Paese

Ci sono situazioni in cui a maggioranza e opposizione è richiesta unità d’intenti, come sull’elezione dei giudici costituzionali. Invece i partiti non riescono nemmeno a dialogare: la destra al governo è la principale responsabile, ma la sinistra fatica anche solo a condizionare l’agenda

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Le due, Giorgia Meloni e Elly Schlein, non riescono mai a produrre un risultato quando si tratta di assumere decisioni condivise. Si sentono al telefono magari cordialmente ma sulla soglia del lavorare insieme qualcosa le blocca. È come se il loro indemoniato bipolarismo non le consentisse di superare lo schema “amica-nemica”, declinazione al femminile della formula schmittiana. Questo blocco è la causa, anche se può sembrare la conseguenza, delle fibrillazioni interne ai rispettivi poli: se non c’è il mega-accordo i topi ballano. Alla fine lo spettacolo parlamentare è penoso.

Laddove la Costituzione e la logica istituzionale richiedono una convergenza, come nel caso presente della (non) elezione di quattro giudici costituzionali, tutto si fa complicato, difficile, anzi impossibile. Ci sono contrasti dentro Forza Italia, tra Forza Italia e gli alleati, ci sono problemi nel Partito democratico: bene. Ma se le due, Giorgia e Elly, sapessero mettersi d’accordo tra di loro la cosa diverrebbe d’incanto più facile.

I grandi capi del passato lo sapevano fare, quando era necessario. Nel bipolarismo infantile di Giorgia e Elly, per di più in un Parlamento reso ancora più scadente dallo stupido dimezzamento imposto dai grillini – quando esistevano, con la complicità di un Partito democratico asservito al contismo – nel bipolarismo infantile delle due leader, dicevamo, non si quaglia mai: ricordate una seria legge bipartisan? E così un prevedibilmente costernato Sergio Mattarella è costretto ad assistere a un nuovo rinvio, e dopo mesi la Consulta resta ancora monca: Marco Pannella sarebbe in sciopero della fame da settimane. La circostanza di un Parlamento ridotto a teatro delle marionette, anzi, delle belle statuine, cade proprio mentre si è alzato nel Paese un bruttissimo clima, tra estremisti che mandano i poliziotti all’ospedale e un governo che vuole rispondere con leggi limitative delle libertà, in una spirale classica di strategie opposte ma convergenti nel creare situazioni incivili.

L’idea del governo di uno scudo penale per i poliziotti, che gli eviti l’iscrizione nel registro degli indagati, è figlia di una cultura della destra che lede lo Stato di diritto (Andrea Orlando ha parlato di «Stato di polizia») e sarebbe auspicabile che la proposta non venga inserita nel ddl Sicurezza ma eventualmente trattata a parte.

Questi aspetti politici vanno a innestarsi su tragiche follie, come quella della morte di Ramy Elgaml o quest’altra assurdità – vedremo come sono andati i fatti – della questura di Brescia dove sarebbero stati violati diritti fondamentali di cittadine fermate dalle forze dell’ordine, ragazze costrette a spogliarsi e a compiere atti forzati: a Brescia, civilissima città un tempo dominata dalla cultura cattolico-democratica, non a Abu Ghraib.

Da tutto questo emerge la fotografia di un Paese che sembra non starci più con la testa e di una politica inadeguata a riportare un minimo di razionalità. La responsabilità principale, così funziona, è di chi governa, cioè di una destra che su queste cose è quella di Andrea Delmastro, il protagonista dei “capodanni di piombo”, che non vede l’ora di ripristinare ordine e disciplina alla sua maniera. E in parte è anche colpa di un’opposizione che come le stelle di Cronin dà troppo l’impressione di stare a guardare. È il bipolarismo infantile.

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