Le vie attraverso cui le persone decidono di intraprendere una carriera nel settore culinario sono numerose e differenti, spesso frastagliate. C’è chi imbocca questa strada da giovanissimo, magari scegliendo di frequentare l’istituto alberghiero, o vivendo la quotidianità di un’attività di famiglia. C’è chi vi finisce tra un lavoro e l’altro e vi si appassiona, o vi si abbandona.
E poi c’è chi questa cosa della fascinazione per la cucina l’ha sempre avuta dentro, un po’ sopita, un po’ tenuta a bada, un po’ messa da parte perché una vita dietro i fornelli proprio non se la immaginava.
Diego Turati e Elena Del Monte, fondatori di Ilde Bottega e Cucina, giovane insegna arroccata tra i vicoli del centro di Lodi, fanno parte di quest’ultima tribù. Classe 1985 lui, 1989 lei, entrambi lodigiani, compagni di avventure e di vita da diciassette anni, Turati e Del Monte hanno trascorso molto tempo a figurarsi un futuro l’uno nella scrittura gastronomica e l’altra nell’arte e nel design. E in anni non sospetti hanno anche posto le basi per costruirlo questo futuro, frequentando, dopo il diploma, corsi universitari coerenti con i rispettivi progetti e poi iniziando la gavetta tipica, tra stage e collaborazioni che soddisfano poco e promettono tanto. In quel periodo l’esiguo tempo libero i due lo dedicano agli interessi, spesso comuni, in particolare la buona cucina, i vini di qualità, le nuove aperture sperimentali e i grandi maestri della gastronomia.
Per la verità poi, Elena Del Monte non è esattamente una neofita in questo campo. Alle spalle infatti ha l’allegra memoria famigliare della trattoria fondata nel 1947, dai nonni Mario e Ilde e gestita dalla coppia fino ai primi anni Ottanta. La Trattoria due Agnelli, così si chiamava, in quegli anni diventò un punto di riferimento per chi cercava una cucina genuina, un calice di vino dell’Oltrepò e un po’ di autentica premura. Un luogo di ristoro insomma, nel vero senso della parola.
Potremmo trovare in questo ricordo la ragione che ha spinto Turati e Del Monte verso l’enogastronomia, ma sarebbe una storia troppo breve e forse un po’ scontata, di certo incompleta. Per fortuna c’è molto di più. C’è innanzitutto la sensazione sempre più ingombrante di star costruendo un percorso leggermente storto. Turati racconta che negli anni in cui lavorava nella comunicazione, a stretto contatto con cuochi e chef, era proprio quando parlava con chi immaginava e creava i piatti, nelle cucine, che si sentiva più a suo agio, stimolato, compreso, incuriosito, nel posto giusto, insomma. Tanto che a un certo punto, mentre l’ambiente lavorativo si fa sempre più stretto e scomodo, Turati inizia a chiedersi se forse quel mondo culinario, che continua a sfiorare per passione e per lavoro, non sia proprio il suo. E quindi perché non provare a sporcarsi le mani e vedere se dietro questa sensazione di pancia ci sia anche qualche possibilità concreta.
È sull’onda di questo sentimento che Turati convince la sua compagna a provare a mettere le mani in pasta, nel vero senso della parola, e a seguire quel desiderio che Turati definisce: “La voglia di tornare a fare fatica”. Non che i lavori svolti fino a quel momento fossero stati leggeri e spensierati, anzi, ma erano privi di quella fatica manuale che, pur prosciugando le forze, lascia dietro di sé una soddisfazione piena e rigenerante.
Non si tratta di un salto nel vuoto, la coppia decide di iniziare cautamente, mettendosi alla prova e al contempo acquisendo le basi del mestiere. Si iscrivono quindi a un corso di panificazione tenuto da Renato Bosco, a cui ne seguono altri sempre più professionalizzanti e totalizzanti. Quello che è stato un avvicinamento in punta di piedi si trasforma rapidamente in un investimento vero e proprio, con tanto di licenziamento dai rispettivi impieghi e l’approdo in territori inesplorati.
Il primo è il laboratorio di Davide Longoni. Turati racconta con un filo di nostalgia il periodo trascorso prima a Monza e poi a Milano al fianco di Longoni, nella squadra che allora comprendeva tra gli altri Aurora Zancanaro (che avrebbe poi fondato Le Polveri), Lorenza Roiati (anima di Assalto ai Forni, ad Ascoli Piceno), Giovanni Mineo (fondatore, insieme a Simone Lombardi, di Crosta).
Quelli che seguono saranno anni intensi, di formazione ed esplorazione, reciproca e individuale. Del Monte si scopre sempre più affascinata dalla pasticceria, Turati dalla panificazione, in una quotidianità vivace e movimentata. Ogni tanto la coppia condivide una casa, una città, magari anche il posto di lavoro, ogni tanto i due non si trovano nemmeno nello stesso continente: lui costruisce un percorso in Danimarca, prima al Relae di Copenaghen e poi al Beast, con un’importante tappa a metà, in Italia, presso la Cascina Lagoscuro, lei si dirige verso San Francisco all’Emporio Rulli, poi torna e si diploma all’ALMA come pasticciera e raggiunge il compagno in Danimarca, dove inizia a lavorare nella pasticceria del Noma.
Nel ripercorrere queste strade, Turati e Del Monte si soffermano su tante delle persone che hanno incontrato e che spesso sono state il tramite che ha permesso loro di scoprire opportunità nuove, come filiere a perdita zero o i cosiddetti vini naturali, tecniche sempre più raffinate, ma anche un modo diverso in cui scandire il tempo dedicato al lavoro e quello destinato al tempo libero e alla ricerca.
Traspare molta riconoscenza verso questi momenti di scambio e confronto tra colleghi, quasi come se, sommati, componessero il vero capitale che chi lavora con il cibo oggi dovrebbe puntare a costruire. Un patrimonio di studi, scoperte, sperimentazioni, messe in condivisione e mantenute in costante fermento.
Anche quando scoppia una pandemia. Nel marzo 2020 infatti la coppia si trova in Danimarca e ha appena dato le dimissioni. L’idea è di tornare in Italia, prendersi una breve vacanza in famiglia e poi magari tornare alla Cascina Lagoscuro. Il volo è prenotato per il 15 marzo. Ma tutto salta quando i confini chiudono, la situazione in Italia si fa sempre più instabile, soprattutto per chi lavora nella ristorazione, perdipiù se l’obbiettivo è tornare proprio a Lodi, una provincia che diventa rapidamente zona rossa.
Dopo diversi tentennamenti Turati e Del Monte riescono ad arrivare a Malpensa e da lì raggiungono subito la Cascina Lagoscuro, nella provincia cremonese. Qui si buttano subito nell’attività di delivery che è diventata la scialuppa di salvataggio per ristoranti, trattorie e bar. E si accorgono che la gastronomia, intesa come il negozio e l’attività che vi si svolge, non gli dispiace affatto. A dirla tutta potrebbe essere proprio il compromesso adatto a loro, perché permetterebbe di lavorare insieme, pur facendo cose diverse, lasciando spazio sia all’estro dolciario di Del Monte che all’amore per la panificazione di Turati.
È l’inizio di quello che poi diventerà Ilde Bottega e Cucina che apre i battenti a maggio 2023 proprio tra le mura che avevano ospitato per decenni la Trattoria Due Agnelli. L’idea è quella abbozzata nel 2020: una gastronomia con cucina, dunque un luogo dove ci sia posto sia per un banco per la vendita di preparazioni d’asporto come lasagne, nervetti, vitello tonnato, polpette o giardiniera, ma anche per una cucina come si deve, che possa servire a una trentina di commensali piatti selezionati da una carta costruita quasi quotidianamente. E il tutto naturalmente sullo sfondo di una provincia un po’ pigra, gastronomicamente parlando, come Lodi, dove le novità ci mettono un po’ prima di entrare nella routine dei concittadini, e senza abbandonare l’esperienza acquisita fino a quel momento.
Il risultato è un intermezzo tra una ristorazione attenta, composta di settimana in settimana con ingredienti realmente selezionati dai produttori del territorio, pensata per pochi clienti, in modo che non ci sia quasi mai un tavolo vuoto e un piatto buttato, e una gastronomia che accoglie sia i grandi classici locali sia le eccedenze del ristorante, dando spazio anche alla sperimentazione.
Le due realtà hanno clientele diverse, ma sono complementari e azzerano gli sprechi, proponendo piatti che prendono la tradizione e ne fanno qualcosa di più: vi infilano un ingrediente che esalta i sapori o una cottura che fa risparmiare tempo ed energie. Ma soprattutto sono piatti buoni, che piano piano si sono fatti conoscere e apprezzare anche dai conservatori più scettici, che non rinunciano alla loro porzione di trippa per la festa patronale. Non è una cucina proprio per tutti, ammonisce Turati, ma è la cucina che desideravano fare, plasmata sulle caratteristiche del territorio in cui si sono ritrovati.
A un anno e mezzo dall’apertura, oggi Ilde non solo fa parte delle “Eccellenze lombarde” e della guida “Pane e Panettieri d’Italia 2025”, secondo il Gambero Rosso, ma è un po’ – come lo era anche negli anni Cinquanta – un luogo di aggregazione e di ritrovo. Un luogo che raccoglie intorno ai suoi tavoli tipi umani sorprendentemente simili, attratti dalla buona cucina, dalle etichette più originali e da chi prova a costruire qualcosa di diverso. E ci riesce.