L’estragone, noto anche come dragoncello, erba dragona o dragonella, è una varietà di artemisia e appartiene quindi alla grande famiglia delle Asteraceae, la più numerosa del mondo vegetale con oltre ventitremila specie distribuite su 1.535 generi. In particolare, si tratta dell’Artemisia dracunculus, e il richiamo ai rettili ricorre in tutte le lingue: il termine dragoncello deriva appunto da dracunculus e significa piccolo serpente, diminutivo del latino draco; estragone dall’arabo tarkhun, diminutivo di dragone, che, nel passaggio alle lingue europee, è divenuto taragona (spagnolo), estragao (portoghese), estragon (francese) e infine estragone.
Con tutti questi draghi nel nome, rischia di passare per un’erba misteriosa, quasi esoterica, ma è semplicemente una simpatica e utile erba aromatica con un sapore piacevole, pepato, aromatico e dolce-amaro che ricorda l’anice, il sedano e la liquirizia. Ricco di vitamine A, B e C, oltre che di flavonoidi e tannini, il dragoncello è perfetto per essere impiegato come esaltatore di sapore e può servire a ridurre la quantità di sale negli alimenti. Nella medicina popolare antica i fiori sono utilizzati in infusi e decotti per stimolare l’appetito, per favorire la digestione e come metodo per alleviare il singhiozzo e hanno effetti antisettici, antispasmodici e stimolanti.
Si usa al meglio fresco, perché le foglie essiccate non conservano a sufficienza l’aroma e le caratteristiche organolettico/gustative che lo contraddistinguono. Può essere conservato a lungo, invece, tritato appena colto e poi congelato. Rende molto, sempre usato fresco, per aromatizzare olio o burro, o anche aceto bianco o senape. In cucina si sposa bene con il pesce, ma non sfigura nei piatti a base di carne, nelle insalate, ed è protagonista della salsa bernese come accompagnamento per le carni grigliate, ma anche per lo chateaubriand, e della salsa tartara, perfetta per carne cruda e uova sode.
L’uso di questa spezia è molto comune nella cucina francese, mentre in Italia è caratteristico di alcune ricette toscane.
Dal punto di vista erboristico, il dragoncello è consigliato contro la ritenzione idrica e contro l’inappetenza. Alcuni sostengono che le radici possono svolgere una blanda funzione antinfiammatoria in caso di faringite e gli antichi Greci lo usavano per alleviare il mal di denti. Se ne ricava anche un olio essenziale estremamente aromatico.
La pianta, originaria dell’Asia centrale, oggi è diffusa in molte parti del mondo, ma se ne distinguono due varietà principali, il dragoncello russo o siberiano, più resistente e robusto ma dal sapore meno deciso, e quello francese, dalle foglie più scure e delicate ma anche molto più saporite. Furono gli arabi a portarlo nell’area del Mediterraneo e sul suo arrivo in Italia ci sono almeno due versioni: una afferma che arrivò in seguito alle crociate, l’altra, sostenuta dai senesi, dice che il dragoncello giunse in Toscana nel 774 al seguito di Carlo Magno, dove fu piantato e coltivato nell’orto dell’Abbazia di S. Antimo
Grazie alle sue proprietà terapeutiche antifermentative e digestive, con il termine di “drago, draco, draconzio” risulta presente nei testi medioevali di medicina. Sembra invece, che, come ingrediente gastronomico sia stato citato per la prima volta solo verso il Cinquecento.
Resta l’interrogativo del nome. Le teorie sono numerose, e per lo più fantasiose. Si dice che il rizoma assomigli a un piccolo drago, o anche che le radici assomiglino a un groviglio di serpenti e c’è chi cita la credenza, peraltro non documentata, che servisse come antidoto al veleno dei serpenti. Secondo altri sarebbe il cespuglio a ricordare il manto spinato che di solito si attribuisce ai draghi.
Ma la storia più curiosa arriva dalla Toscana, luogo di prima diffusione locale della pianta e dove tuttora, a Siena, si prepara la salsa al dragoncello con foglie fresche amalgamate ad aglio e mollica di pane e inzuppate in aceto e olio d’oliva. Si racconta quindi che una ragazza senese si innamorò durante l’occupazione napoleonica di un dragone, nel senso di soldato a cavallo. Un giorno, scuotendo gli stivali dalla finestra, il soldato fece cadere dei semi in un vaso che la ragazza teneva sul davanzale. Il dragone presto ripartì per tornare in patria, ma da quel vaso nacque una piantina profumata che la ragazza chiamò dragoncello, in ricordo del suo amante perduto.